Il Santo Padre condanna il suicidio assistito proprio nel giorno ein cui alla Camera comincia la discussione sulla legge che lo vuole legalizzare
di Michele Brambilla
Papa Francesco dedica l’udienza del 9 febbraio ad un tema “caldissimo”: «nella scorsa catechesi, stimolati ancora una volta dalla figura di San Giuseppe, abbiamo riflettuto sul significato della comunione dei santi. E proprio a partire da questa, oggi vorrei approfondire la speciale devozione che il popolo cristiano ha sempre avuto per San Giuseppe come patrono della buona morte», espressione oggi quanto mai abusata e mistificata dalla cultura dominante.
Il Papa rievoca le antiche confraternite della buona morte, che scortavano i moribondi, ma anche la tradizione secondo la quale san Giuseppe ebbe il privilegio di andare in Paradiso preparato dai migliori compagni che, in quel momento, si possono avere: Gesù e la Madonna. Francesco cita il suo diretto predecessore, Benedetto XVI, precisamente la lettera divulgata proprio in queste ore: «cari fratelli e sorelle, forse qualcuno pensa che questo linguaggio e questo tema siano solo un retaggio del passato, ma in realtà il nostro rapporto con la morte non riguarda mai il passato, è sempre presente. Papa Benedetto diceva, alcuni giorni fa, parlando di sé stesso che “è davanti alla porta oscura della morte”. E’ bello ringraziare il Papa Benedetto che a 95 anni ha la lucidità di dirci questo: “Io sono davanti all’oscurità della morte, alla porta oscura della morte”. Un bel consiglio che ci ha dato! La cosiddetta cultura del “benessere” cerca di rimuovere la realtà della morte, ma in maniera drammatica la pandemia del coronavirus l’ha rimessa in evidenza», con accenti spesso drammatici. Basti pensare a coloro che sono morti in terapia intensiva, salutando i parenti attraverso lo schermo dei cellulari, pietosamente tesi dalle infermiere.
La prova è stata tremenda, ma la “cultura della morte” non si arrende e intende banalizzare quello che per tutti è il “passaggio” (“Pasqua”, Pesach in ebraico, vuol dire proprio “passaggio”) decisivo, oscurandone il significato. «Ma la fede cristiana», dice il Pontefice, «non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla. Prima o poi, tutti noi andremo per quella porta», e sarebbe meglio farlo in compagnia di Colui che l’ha attraversata in entrambi i sensi di marcia, Gesù. «La vera luce che illumina il mistero della morte viene», infatti, «dalla risurrezione di Cristo. Ecco la luce» invincibile, fondamento certo del cristiano: «c’è una certezza: Cristo è resuscitato, Cristo è risorto, Cristo è vivo tra noi. E questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte».
Nessuno di noi conosce la data della propria morte. Il Papa ribadisce un’espressione a lui cara, ovvero che il sudario non ha le tasche, per ricordare che alla morte non ci si prepara accumulando corredi funerari da faraoni, ma “apparecchiando”, direbbe sant’Alfonso Maria de’ Liguori, la nostra anima all’incontro decisivo con il Mistero di Dio. Un tempo nelle scuole cattoliche si predicavano anche ai bambini gli “Esercizi della buona morte”, meditazioni specificamente dedicate a questo tema. Oggi sembra una cosa improponibile, ma «il Vangelo ci dice che la morte arriva come un ladro, così dice Gesù: arriva come un ladro, e per quanto noi tentiamo di voler tenere sotto controllo il suo arrivo, magari programmando la nostra stessa morte, essa rimane un evento con cui dobbiamo fare i conti e davanti a cui fare anche delle scelte».
Richiama così una questione spesso dibattuta ai giorni nostri: la Chiesa condanna risolutamente ogni accanimento terapeutico, tanto che anche a livello popolare si dice «lascialo morire in pace», ma «dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati». Il Pontefice conferma, quindi, un principio cardine: «la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti», dato che si parla di legge naturale, non di etica meramente confessionale. Eutanasia e suicidio assistito sono «un problema sociale», non una presunta “conquista” da celebrare o, addirittura, un “dovere” dopo una certa età.
Denuncia, infatti, il Santo Padre: «tante volte si vede in un certo ceto sociale che agli anziani, perché non hanno i mezzi, si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano: questo non è aiutarli, questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano». Meglio riscoprire san Giuseppe e la Madonna, perché «per un cristiano la buona morte è un’esperienza della misericordia di Dio, che si fa vicina a noi anche in quell’ultimo momento della nostra vita. Anche nella preghiera dell’Ave Maria, noi preghiamo chiedendo alla Madonna di esserci vicini “nell’ora della nostra morte”. Proprio per questo vorrei concludere questa catechesi pregando tutti insieme la Madonna per gli agonizzanti, per coloro che stanno vivendo questo momento di passaggio per questa porta oscura, e per i familiari che stanno vivendo il lutto», affinché ogni uomo acceda alla Salvezza, unica vera preoccupazione del morente.
Giovedì, 10 febbraio 2022