Di Marco Invernizzi da Tempi del 15/02/2022
Benedetto XVI è stato un papa inviso al “mondo mondano” che non ha mai smesso di suscitare attacchi contro di lui. Ma sembra che la sua “scomodità” continui anche dopo la sua rinuncia. Diversamente sarebbe inspiegabile il modo in cui è stato coinvolto nella vicenda relativa ai casi di pedofilia nella storia della Chiesa tedesca dalla fine della Seconda Guerra mondiale a oggi, con l’accusa di scarsa attenzione nei confronti di quattro episodi di pedofilia risalenti a quando era arcivescovo di Monaco dal 1977 al 1982.Molti hanno cercato una spiegazione a questo accanimento nei confronti di un pastore ultranovantenne che vive ritirato come un certosino, mite come è sempre stato, che non ha mai usato la sua profonda cultura per deridere o umiliare gli avversari suoi e della fede, ma ha sempre cercato un dialogo paziente, rivolto alla ricerca della verità e quindi mai irenistico ma sempre corretto, educato, senza forzature ideologiche. Alcuni hanno creduto di trovare in questo “tirare in ballo Ratzinger” un vero e proprio attacco alla Chiesa proveniente dall’esterno e favorito all’interno da pastori come quelli che stanno portando avanti il Sinodo della Chiesa tedesca, convinti che l’unica risposta possibile agli attacchi del mondo sia farli propri almeno in parte, nella speranza di ritagliare per la Chiesa uno spazio di sopravvivenza in un panorama ostile. Non è una novità. Le cosiddette “eresie bianche” che scelgono di rimanere nella Chiesa per “cambiarla” dall’interno, di fatto per “mondanizzarla”, hanno già provato questa strategia. Lo fecero il giansenismo nel XVIII secolo e, soprattutto, il modernismo all’inizio del XX secolo. Cedere qualcosa, non dire tutta la verità per rimanere vivi, o almeno per provarci. Di fatto, si trattava e si tratta di una mancanza di speranza, quella teologale, ma anche quella umana, che nelle situazioni più drammatiche e difficili non dimentica la vicinanza della Provvidenza.
La lettura corretta del Concilio
Ratzinger non è mai stato così. La sua vita e la sua straordinaria produzione dottrinale, ma soprattutto il suo magistero pontificio sono a dimostrare come egli abbia sempre cercato di coniugare riforme e continuità per rendere sempre più accessibile all’uomo contemporaneo l’unica Verità che salva. Questa posizione lo portò a sancire definitivamente, con tutta l’autorità del magistero petrino, nel celebre discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005, che la lotta attorno al Concilio Vaticano II doveva finire perché l’unica lettura veramente cattolica è «l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa». Questo perché «l’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare». Nella stessa prospettiva ha sempre cercato di non sottovalutare la portata enorme dello scandalo della pedofilia clericale. Un peccato che grida vendetta al Cielo perché commesso da chi approfitta dell’abito clericale per circuire bambini che si fidano del sacerdote. Ratzinger è stato colui che ha impresso alla Chiesa un atteggiamento di attenzione speciale e di richiesta di perdono nei confronti delle vittime degli abusi e delle loro famiglie. Così fa un buon padre, che non volge lo sguardo dall’altra parte quando i suoi figli compiono dei delitti. Nello stesso tempo, però, il buon padre non può accettare che il “mondo” si approfitti di questi comportamenti infami per accusare tutta la Chiesa e per invitarla a cambiamenti radicali nella direzione del “pensiero mondano”, come ha fatto per esempio Gad Lerner il 26 gennaio sul Fatto quotidiano, ma come purtroppo fa anche una porzione di pastori, specie in Germania.Nel 2019 l’allora già emerito Benedetto XVI scrisse un testo in vista dell’incontro di papa Francesco con i responsabili delle Conferenze episcopali del mondo per riflettere sulla crisi della fede e della Chiesa in seguito alla diffusione delle notizie degli abusi commessi da chierici su minori. Questi appunti ricostruiscono perché e come la pedofilia divenne un fenomeno accettato e praticato nel contesto di una rivoluzione culturale, il Sessantotto, che aveva nella componente sessuale un aspetto importante. Quella rivoluzione penetrò anche nella Chiesa, in particolare nei seminari, con l’esito di mettere in discussione la teologia morale fondata sul diritto naturale. Le conseguenze sono state devastanti anche per colpa di molti pastori che non vollero vedere e contrastare questa deriva relativistica.
Non solo scandali e peccati
Ma la Chiesa non può essere ridotta agli scandali e ai peccati dei suoi figli, ribadisce con forza Ratzinger nei suoi appunti, perché la fedeltà e l’amore per la gloria di Dio di tanti cattolici sono sempre rimasti saldi e continuano a essere presenti nella vita della Chiesa stessa. Proprio a causa di questa posizione, caratterizzata dall’et-et, cioè dallo sforzo di combattere tutti gli errori che sconvolgono la Chiesa, cioè di non rispondere a un errore ideologico con l’errore opposto, come appunto nel caso dell’interpretazione del Concilio, papa Ratzinger è sempre stato attaccato dal “mondo”, sia come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sia come pontefice e poi come papa emerito. Chi avesse la pazienza di leggere il capitolo “La demondanizzazione” della biografia di Benedetto XVI scritta da Peter Seewald (Benedetto XVI. Una vita, Garzanti 2020) scoprirebbe come il sistema dei media orchestrò il proprio attacco al Papa e quanto era già allora difficile il rapporto di Ratzinger con la Chiesa tedesca, dalla quale proveniva e che conosceva molto bene.Pertanto, anche in questo caso, et-et: i cattolici chiedano perdono alle vittime per i delitti dei loro confratelli, come ci insegnò san Giovanni Paolo II nel grande Giubileo del 2000, ma non accettino mai la pressione del “mondo mondano”, che vuole la trasformazione della Chiesa perché sa che il corpo di Cristo è l’unico ostacolo al suicidio della civiltà occidentale. E amando la Chiesa cattolica si ricordino di non dividerla, portando obbedienza al suo magistero perenne, come insegna lo stesso Ratzinger, che conclude i suoi appunti ringraziando papa Francesco «per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!».