La cancel culture è l’esito finale di un lungo percorso della Rivoluzione che ha visto come sue ultime tappe le ideologie assassine del novecento, il socialcomunismo e il nazionalsocialismo, e da ultimo la dittatura del relativismo nichilista. Può cancellare tutto ma non la sete di verità e giustizia che rimangono nei figli e nei nipoti di chi è stato ucciso per causa loro
di Aurelio Carloni
Il webinar organizzato il 18 febbraio da Alleanza Cattolica – che ha visto l’intervento di Guido Giacometti, dell’Associazione nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, e di Susanna Manzin, dell’associazione organizzatrice, che lo ha intervistato – ha fatto emergere con chiarezza quanto l’uomo, pur violato nella sua stessa natura dalle ideologie rivoluzionarie, possa conservare e trasmettere comunque una sete ardente di verità e giustizia. A dimostrarlo le testimonianze commoventi ma sempre pacate di questi due amici, figli di esuli che hanno vissuto storie drammatiche e convissuto con la scomparsa nelle foibe di parenti, amici e conoscenti per mano dei partigiani comunisti di Tito. Una pagina di storia a lungo nascosta o negata, e ora riemersa grazie all’istituzione del Giorno del Ricordo.Una commemorazione importante, ma ancora sottoposta agli attacchi di chi vorrebbe giustificare quanto accaduto o ridurne le dimensioni. Nelle terre che ora chiamiamo Venezia Giulia e Dalmazia per secoli hanno condiviso la propria esistenza, fianco a fianco, popolazioni di diverse lingue, quali, solo per citare le più diffuse, il croato, l’italiano, lo sloveno, il tedesco, l’ungherese. Una pacifica convivenza che attraversava città e paesi, attività economiche, ma anche le famiglie grazie ai matrimoni misti. Giacometti ha raccontato di un esule la cui nonna «parlava normalmente in dialetto veneto, pregava in croato, ma quando la facevano arrabbiare rispondeva in tedesco». Ma all’inizio dell’Ottocento hanno cominciato a diffondersi i virus degli opposti nazionalismi, che hanno infettato minoranze numericamente esigue, ma assai influenti.
Le due guerre mondiali sconvolsero quelle terre, ma la catastrofe per la popolazione di lingua italiana fu la presa del potere da parte dei comunisti. Fin dall’arrivo delle prime bande di partigiani comunisti cominciarono gli “infoibamenti”, termine crudo che descrive l’atrocità del fatto. Giacometti sottolinea che non si trattò di una jacquerie, come certa storiografia di sinistra cerca di insinuare. Se ne trova la prova evidente nelle direttive inviate dalla federazione del PCI di Trieste nel dicembre del ’43 alla banda partigiana “Giuseppe Zol”: «non rinunciate alla tattica delle foibe» (Raoul Pupo – Roberto Spazzali “Foibe” pagina 64). Scomparvero così migliaia di italiani di ogni età e sesso, ma ancor più croati e sloveni, spesso gettati ancora vivi in quei profondi squarci della terra. Era così che veniva eliminato chiunque potesse diventare un oppositore del nascente regime comunista.
L’esodo di massa da quelle terre cominciò quando, come la definì Winston Churchill, calò la “cortina di ferro” «da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico» (Discorso al Westminster College di Fulton, Missouri, del 5 marzo 1946). Da tutti i regimi comunisti la popolazione ha sempre tentato di fuggire anche rischiando la vita, ieri cercando di superare il muro di Berlino, oggi via mare da Hong Kong. Al contrario del caso degli infoibati o comunque scomparsi, nell’esodo sono prevalsi nettamente gli italiani rispetto ai croati e agli sloveni. Questo perché l’articolo 19 comma 2 del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 prevedeva che coloro «la cui lingua usuale è l’italiano” potessero trasferirsi in Italia.
Quale sia stata la spinta all’esodo, abbandonando beni, lavoro, affetti, ogni cosa per un futuro ignoto, lo ha spiegato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso in occasione del Giorno del Ricordo del 2019: «L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case……. Chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla».
Il webinar si è chiuso con il ricordo di 3 giovani di cui la Chiesa ha riconosciuto il martirio in odio alla fede per mano dei comunisti: don Miroslav Bulesic, croato, don Francesco Bonifacio, italiano, e lo studente Lojze Grozde, sloveno. Di quest’ultimo il Papa san Giovanni Paolo II ha detto: «è solo una delle innumerevoli vittime innocenti, che levano in alto la palma del loro martirio quale incancellabile ricordo ed ammonimento» (Omelia del 18 maggio 1996 a Lubiana). Giovanni Cantoni ricordava come i peccati individuali, soprattutto se gravi come i crimini delle foibe, avessero una loro “socialità” che poteva lacerare nel profondo anche le generazioni che sarebbero venute. Per cinquant’anni e oltre la storia della comunità giuliano-dalmata è stata scritta al contrario come la macchina della menzogna di matrice sovietica insegnava: le vittime diventavano carnefici e i carnefici eroi. I vincitori possono scrivere la storia come vogliono, ma se i figli e i nipoti delle vittime raccolgono la testimonianza dolorosa dei padri e dei nonni, allora la sete di verità e di giustizia finisce col prevalere come un fiume in piena, che abbatte la sporcizia delle menzogne e restituisce dignità alle vittime e alle povere famiglie, colpite dall’odio delle ideologie. Contro ogni cancel culture antica e nuova.
Giovedì, 24 febbraio 2022