Dal principato di Kiev alla turbolenta quotidianità, l’Ucraina è un mosaico complesso e delicato, che è bene conoscere per comprendere il retroterra del conflitto in atto
di Silvia Scaranari
Posta all’attenzione di tutti a causa delle tensioni internazionali dell’ultimo anno e dalle recentissime operazioni russe, l’Ucraina è da sempre una terra vezzeggiata, ambita e ciclicamente conquistata. In questi giorni si dibatte sull’identità nazionale ucraina e in che misura essa sia diversa da quella russa. Pochissimi, però, considerano fra gli elementi che possono essere unificanti, o ulteriormente divisori, quello religioso, che in realtà pervade la storia delle relazioni sia storiche che recenti fra i due Paesi, nel bene e nel male.
Secondo alcune statistiche, come sempre imprecise e discutibili, i cristiani sono l’86% della popolazione, gli atei circa il 10%, i musulmani l’1,5%, un 0,1% di ebrei.
L’incontro con il cristianesimo risale alla metà del X secolo, quando il principe Vladimir attua una politica di espansione della Rus’ di Kiev, cercando di annettere parte della Galizia, nel 981, e poi la Crimea bizantina, nel 987. L’incontro con i Bizantini segna una svolta determinante, perché il principe nel 988 decide di convertirsi al cristianesimo affascinato dalla liturgia orientale, così almeno riportano le cronache che lo vedono decidere fra l’originario paganesimo, l’islam, il cristianesimo latino e quello bizantino.
La Chiesa russa segue i Bizantini nello scisma da Roma nel 1054 e mantiene nel tempo la sua identità ortodossa, spostando nel 1326 la sede della Chiesa da Kiev a Mosca ad opera del metropolita Petr, seguito l’anno dopo dallo zar Ivan I, che pone proprio a Mosca la capitale dei suoi territori. Quando nel 1439 Bisanzio firma l’unificazione con Roma nel concilio di Firenze, Mosca si dissocia e rivendica un patriarcato autonomo, che tale rimane nei secoli successivi, includendo anche la sede di Kiev.
Accanto agli ortodossi rimane, però, fin dalle origini una realtà fedele a Roma, che sancisce ufficialmente questo legame con l’Unione di Brest del 1595, riconfermata nel 1596 a Brest-Litovsk. Sottoposta a continue discriminazioni, quando non a vere e proprie persecuzioni, i cosiddetti “uniati” restano una parte considerevole della popolazione cristiana dell’Ucraina ancora oggi.
La presenza dell’islam risale, invece, alle invasioni mongole operate da Batu, nipote di Gengis Khan, quando invade la zona e conquista Kiev nel 1240. Rientrato in patria nel 1242, causa la morte di Gengis Khan, lascia una comunità musulmana che si rafforza significativamente con le nuove incursioni dei Tatari mongoli nel XIV sec., definitivamente fermate solo da Ivan III nel 1480. L’islam rimane una costante in diverse aree dell’Ucraina – Lipka, Volinia e Podolia – e soprattutto nella penisola di Crimea. Sunnita di appartenenza, riconosce l’autorità di un mufti, oltre che degli imam che guidano le comunità locali.
Anche i musulmani sono da sempre discriminati. Subiscono una violenta persecuzione sotto il governo di Stalin, che li accusa di collaborazionismo con Hitler e li condanna alla deportazione in Kazakistan e Uzbekistan. Più del 45% dei musulmani muoiono tra il ‘44 e il ’45 per fame e anche i sopravvissuti vedono le loro proprietà incamerate dal governo russo. La possibilità di rientrare pacificamente si concretizza solo nel 1989 con il cambio di regime, la caduta dell’URSS e l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991.
Quando, nel 2014, i russi pretesero di riconquistare la Crimea, i musulmani si sono trovati in lotta per l’indipendenza. Nel 2014 l’allora presidente della Mejlis, l’assemblea rappresentativa dei musulmani tatari, Refat Chubarov, aveva invitato a non andare a votare il referendum di annessione, mentre il mustafa Dzhemilev, deputato a Kiev, aveva invocato la resistenza violenta. Posizioni accompagnate dal sostegno turco, tanto che sempre nel 2014 il ministro degli esteri Davutoglu aveva dichiarato che «il futuro dei nostri parenti, i tatari di Crimea, è la priorità per noi. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto il necessario per questo scopo». Dichiarazioni che hanno lasciato poco segno, visto che il referendum si è tenuto e l’annessione è avvenuta.
La risposta islamica si è differenziata: da un lato la chiusura delle comunità in sé stesse, l’attenzione ad attività formative e di assistenza, dall’altro posizioni più combattive che hanno suscitato le attenzioni del governo russo e operazioni di intelligence per identificare e catturare esponenti di Hizb ut Tahrir, organizzazione inserita nell’elenco dei gruppi terroristi. Il leader Zekirja Muratov, nel 2015, è stato condannato a 11 anni di carcere in un lager, accusato di operazioni terroristiche. Nell’agosto del 2021 altri 5 esponenti sono stati arrestati e condannati con l’accusa di detenere materiale di propaganda a favore dello Stato islamico.
Secondo la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, anche diverse comunità cristiane, non filorusse, sono da tempo sotto pressione. Chiese e luoghi di preghiera sono stati occupati da forze governative e destinati a scopi diversi, la stampa degli ortodossi del patriarcato di Kiev e degli uniati è sotto controllo. Nella Costituzione del 16 maggio 2014 della Repubblica Popolare di Donetsk si specifica che la religione dominante è il cristianesimo ortodosso, facente capo al Patriarcato di Mosca. Secondo quanto riportato dall’ultimo Rapporto sulla libertà religiosa dell’ACS, questo ha dato modo di agire con detenzioni e imprigionamenti, torture, confische di proprietà, incluse chiese e sale per incontri, aggressioni fisiche e minacce di violenza, atti di vandalismo, multe e restrizioni alle attività missionarie, alle funzioni religiose, alle cerimonie, ai raduni e alla letteratura, e il divieto di formare gruppi religiosi pacifici in Crimea e nelle zone controllate dai russi del Donbass. Le tensioni si sono acuite dopo che la chiesa ortodossa di Kiev ha ottenuto da Costantinopoli l’autocefalia nel 2018, trasformandosi in un Patriarcato separato da quello di Mosca.
Sempre secondo ACS, oggi tra le comunità religiose più colpite figurano la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, precedentemente denominata Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev, la Chiesa greco-cattolica ucraina, i cristiani protestanti, i Testimoni di Geova e i Mormoni.
Dopo l’invasione da parte della Russia della scorsa settimana, tutte le chiese, indistintamente, con un’operazione che forse sarebbe dovuta avvenire qualche tempo prima, si sono dichiarate contro la guerra e hanno fatto appelli alla pace e al dialogo. A loro si sono unite le comunità islamiche ed ebraiche. E forse, sull’esempio di quanto fatto dal Santo Padre Francesco, un vero tentativo di riportare i contendenti al tavolo delle trattative può essere operato proprio dal mondo religioso.
Il fronte oggi è in continuo divenire, ma nell’immediato e in futuro, fra i tanti fattori, un minimo di attenzione dovrà essere rivolto anche al mantenimento della libertà religiosa in quest’area.
Mercoledì, 2 marzo 2022