Da Avvenire del 18/03/2022
«Abbiamo aperto le porte di tutto quanto avevamo a disposizione: dal polo pastorale diocesano al Seminario, dalle aule dell’istituto teologico al monastero delle suore benedettine inaugurato un anno fa. Persino la sede della nostra Conferenza episcopale è diventata un centro d’accoglienza». L’arcivescovo latino di Leopoli, Mieczyslaw Mokrzycki, ha un tono pacato. Sembra quasi voler trasmettere serenità – o, come dice lui, «speranza» – in mezzo a una guerra che «per ora non lascia intravedere sbocchi», sottolinea. L’emergenza profughi ha fatto dell’ultima grande città dell’Ucraina a ottanta chilometri dalla Polonia l’approdo di chi fugge dalle bombe e dall’esercito russo. «Leopoli è stata risparmiata dagli attacchi – spiega – . Però ogni giornata è segnata dal suono delle sirene che ci avvertono dei potenziali pericoli. Certo, sono stati bombardati gli aeroporti di Lutsk e Ivano-Frankivsk». E poi è arrivato il raid russo nella base di addestramento a meno di quaranta chilometri. «Ma ciò che marca il nostro quotidiano è la presenza degli sfollati da Est», afferma il vicepresidente della Conferenza episcopale dei latini.
Giorno dopo giorno, Mokrzycki visita parrocchie, case religiose, strutture e punti Caritas per incontrare i rifugiati e coordinare la distribuzione dei generi di prima necessità.
Originario della Polonia, 61 anni che compirà il 29 marzo, è stato secondo segretario particolare di due Papi, prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI, fino a quando nel 2007 è diventato vescovo fra i 700mila abitanti della città di frontiera. Mentre parla con Avvenire, cita gli ultimi tre Pontefici. Il primo è Francesco che domenica scorsa all’Angelus ha lanciato quasi un “grido” per denunciare il «massacro» in corso e che poi ha accolto l’invito dei vescovi ucraini di consacrare il Paese e la Russia alla Madonna. «Dall’inizio dell’in- vasione sentiamo il Papa al nostro fianco. Lo dimostrano i suoi continui e accorati appelli, il richiamo a tutta la Chiesa a pregare per l’Ucraina e poi lo straordinario gesto di voler consacrare due nazioni al Cuore Immacolato di Maria, Regina della pace, come chiesto dalla Vergine a Fatima. Inoltre ha voluto testimoniare la sua attenzione alla nostra gente attraverso l’invio degli aiuti umanitari e mandando qui il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, che è rimasto con noi per toccare con mano il nostro dolore». Poi rivela il gesto del Papa emerito. «Ringrazio anche Benedetto XVI che mi ha scritto una lettera personale per capire quale sia la situazione e per assicurarci la sua vicinanza nella preghiera». Quindi ricorda Giovanni Paolo II. «Rammento ancora quando durante la guerra in Bosnia aveva ribadito la possibilità di bloccare anche con la forza la mano dell’aggressore. Adesso dico che questa via è lecita anche in Ucraina per fermare il nostro genocidio».
Eccellenza, torniamo ai profughi che Leopoli continua a vedere arrivare.
Parlare di esodo non è così esagerato. Già prima che l’esercito russo entrasse nel Paese, in tanti avevano cominciato a lasciare le proprie terre. C’è chi percorre anche 1.500 chilometri in auto; chi approda dopo 20 o 30 ore di viaggio in treno o autobus. Si giunge a Leopoli stanchissimi, sfiniti. Si tratta soprattutto di donne, anziani, bambini o ragazzi con meno di 18 anni. Anche se gli uomini devono restare a combattere, l’esercito può concedere a qualcuno che ha almeno tre figli il permesso di unirsi alla famiglia che parte.
Si lascia solo la guerra o anche il Paese?
Direi che l’80% di chi passa dalla città intende raggiungere l’Europa. Si rimane qualche giorno: il tempo di riprendere le forze. Soltanto il 20% sceglie di fermarsi in attesa di capire come si evolverà il conflitto e per restare vicino ai propri cari. Giustamente il sindaco Andrij Sadovyj ha chiesto all’Europa di sostenere la città realizzando campi d’accoglienza. Comunque c’è un particolare che mi sorprende.
Quale?
La maggioranza degli sfollati non dice di fuggire perché ha perso la casa o è stato costretto ad allontanarsi, ma di voler salvare i figli da un trauma. Si scappa per il bene dei ragazzi che qui incontro magari con un piccolo zaino sulle spalle accanto alla mamma. È nei loro volti che si vedono gli effetti della guerra. Si sentono orfani: non sanno di preciso dove andranno. Come uomo e come pastore, ne soffro terribilmente.
Quale l’impegno della Chiesa latina?
Ad oggi siamo capaci di dare ospitalità a 800 profughi grazie alla rete diocesana. Non solo offriamo un letto, ma anche docce calde e pasti: cosa non da poco. Sono grato ai sacerdoti, alle religiose, ai numerosi volontari fra cui gli scout, i Cavalieri di Colombo o gli appartenenti ad alcuni movimenti che ci sostengono. Non avremmo potuto fare tutto da soli. Inoltre abbiamo mobilitato le famiglie per dare un riparo a qualche persona. A coloro che accogliamo in città, si aggiungono quanti vengono aiutati nelle parrocchie di tutta la diocesi che conta ben sei i valichi di frontiera. Allora accade che lungo le strade i fedeli mettano a disposizione ambienti delle comunità a chi resta per ore in coda con l’auto oppure gli portino cibo e coperte visto che ogni notte la temperatura scende fino a 9 gradi sotto zero.
Anche loro arrivano qui. Non sono soltanto militari ma anche civili.
Leopoli si è trasformata nell’hub degli aiuti per tutta l’Ucraina che l’Europa fa recapitare.
Dalla Polonia entrano camion con beni sia per i profughi, sia per le zone di guerra. Ho contatti con tutti i nostri vescovi latini, a cominciare da quelli di Kiev e Odessa. Alcune città sono chiuse, spesso con ristrettezze di acqua e cibo. Vorrei ringraziare la Cei e la Chiesa italiana che ci hanno spedito importanti carichi e si sono fatti prossimi anche con le telefonate di numerosi vescovi.
Che cosa c’è dietro questa guerra?
Nessuno può capire. È un atto diabolico, frutto dell’egoismo di un presidente. Nel 2021 avevamo festeggiato i trent’anni di indipendenza. Le nostre città si stavano sviluppando guardando a Occidente. E anche chi tornava, dopo un periodo di lavoro all’estero, immaginava il futuro con uno stile europeo. Per questo ci sentiamo parte dell’Europa.