Prendere spunto dal passato per non compromettere il futuro
di Marco Invernizzi
Nessuno si spaventi dal titolo, che vuole soltanto mettere insieme in un’unica riflessione cose diverse ma in qualche modo tutte utili per comprendere meglio la situazione.
Cominciamo dalla terza, la pace. Certamente fa bene Papa Francesco a insistere sul dovere di cercare la pace e di farlo uscendo dalla logica della guerra, cioè cambiando mentalità. Cambiare mentalità, tuttavia, significa convertirsi, cioè cambiare direzione alla propria vita. Trasportato nell’ambito politico, significa rinunciare all’egoismo nazionalistico, ripudiare la violenza come mezzo per fare valere le proprie ragioni, ritenere sacra la vita innocente e quindi rifiutare la guerra, che comporta inevitabilmente il sacrificio delle vite dei civili, e molte altre cose. Tutto questo va predicato e insegnato, ma il realismo cattolico insegna a perseguire anche obiettivi più limitati, ma utili, come per esempio la tregua pasquale auspicata dallo stesso Francesco, sulla scia degli interventi della Chiesa nei secoli per almeno regolamentare, non potendo impedirla, la guerra fra i contendenti.
Prima o poi, però, la guerra finisce, ma come finisce è importante. E qui entra in gioco il Congresso di Vienna (che peraltro non è stato esente da mancanze anche importanti). Nel 1815 le forze che avevano finalmente sconfitto Napoleone (Austria, Inghilterra, Russia e Prussia) formarono una Santa Alleanza per combattere la Rivoluzione e difendere la pace dal possibile ripetersi della violenza rivoluzionaria praticata da Napoleone. Ma non esclusero la Francia, che nel 1818 venne integrata nell’Alleanza, cioè non confusero Napoleone con il popolo francese, nonostante quest’ultimo lo avesse servito, magari con entusiasmo. Non fecero l’errore del 1918, dopo la Prima guerra mondiale, quando le potenze vincitrici umiliarono la Germania sconfitta invece di cercare di integrarla, favorendo così l’avvento del nazionalsocialismo e la Seconda guerra mondiale.
Prima o poi anche la guerra in Ucraina finirà. Ma anche in questa occasione non si dovrà confondere Putin con la Russia, cercando di integrare quest’ultima in un progetto comune, come si tentò di fare nel 2002 a Pratica di Mare e come, appunto, fecero le potenze europee a Vienna nel 1815. Il costante invito di san Giovanni Paolo II affinché l’Europa, dopo il 1989, possa respirare con i due polmoni, quello occidentale e quello orientale, può essere un punto di rifermento importante.
La pace è un bene grandissimo, ma presuppone la giustizia e non tollera il nazionalismo. Quest’ultimo non è la soluzione alternativa al globalismo e al relativismo che stanno distruggendo le identità dei popoli. Il nazionalismo è l’erba cattiva che ha minato la pace che il Congresso di Vienna, con il suo “concerto europeo”, ha potuto garantire all’Europa fino al 1914. Questo non verrà riconosciuto da tanti pacifisti, che amano le “guerre liberali” dell’Ottocento, ma viene invece confermato da storici seri, per esempio Vittorio Criscuolo, nella prefazione al suo libro Il Congresso di Vienna (il Mulino, 2015).
Che i potenti del nostro tempo abbiano l’umiltà di guardare a Vienna, quando dovranno rimediare i disastri provocati dall’iniqua e folle aggressione di Putin all’Ucraina.
Venerdì, 15 aprile 2022