Domenica di Pentecoste
(At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16.23b-26)
Una Chiesa nata dal vento
Dunque, la Chiesa è nata da un «soffio».
E’ nata nel giorno in cui un drappello di uomini paralizzati dalla paura, asserragliati in una stanza per difendersi dal mondo esterno, sono stati investiti da una specie di folata di «vento gagliardo».
E si è manifestata, fatta conoscere, ha provocato stupore, quando quegli stessi individui si sono ritrovati scaraventati dal vento fuori di casa e si sono messi a parlare facendosi capire da tutti.
Dunque, la vocazione della Chiesa non è la staticità, l’immobilità, la difesa di se stessa, l’arroccamento nelle proprie strutture, ma un dinamismo di irradiazione, una forza centrifuga, un mescolarsi nella diversità, un comunicare con tutti. A Pentecoste si celebra la nascita di una Chiesa che non sta al proprio posto, non mantiene le posizioni, impara subito a camminare (anzi, è costretta prepotentemente a muoversi da quel soffio impetuoso). “Essere mandati” significa non restare al proprio posto. Neppure Cristo è riuscito a stare al proprio posto, non ha tenuto le distanze. La sua missione è stata originata dall’abbandono dell’isolamento celeste. E la cosa deve continuare: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».
Una Chiesa statica, che si aggira nelle proprie stanze, badando che tutto sia in ordine, si limita a comunicare con l’esterno attraverso proclami solenni o denunce indignate, finanche allarmi più o meno frequenti, è la Chiesa prima della Pentecoste. Non è mai esistita, ma potrebbe raggiungere questo stadio di involuzione se si mettesse a camminare all’indietro…Una Chiesa nata dal «vento gagliardo» non può morire per il venir meno di quell’elemento divino generatore, ma ha la possibilità – altrettanto nefasta – di “mettersi al riparo”, sottrarsi al soffio, mortificarlo. La gente accorre a motivo del fragore provocato dallo Spirito, non certo attirata dal brusio delle discussioni interne, delle polemiche, dei discorsi che si intrecciano tra addetti ai lavori. La folla è interessata dallo sconquasso operato dall’Alto, non dalle alchimie, dai sapienti dosaggi, dagli equilibri, dall’ordine che gli uomini tendono a realizzare. Il vento crea scompiglio, spazza via la carta insieme alle foglie secche. Gli uomini della Pentecoste, “figli del vento” (così venivano chiamati i monaci antichi), di fronte all’assalto di quelle raffiche non si sono precipitati a rinforzare porte e finestre, ma le hanno spalancate. La Chiesa della Pentecoste non ha ottenuto dallo Spirito il rimedio contro la paura. Ha accolto il coraggio come dono, come dovere.
E la paura è stata dimenticata.
L’Eredità del fuoco
E la Chiesa, scaturita dal vento, riceve in consegna il fuoco della Pentecoste. Gesù è venuto, precisamente, a recare il fuoco («Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!», Lc 12,49). Ora lo stesso fuoco viene affidato agli Apostoli («apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno»). Si realizza la profezia di Giovanni Battista: «Egli vi battezzerà in spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11). Lo Spirito, più che riempire il cervello di quegli uomini, rimpinzarlo di idee, gli incendia il cuore. E’ un fuoco che purifica, libera dalle scorie, brucia alla radice l’orgoglio e la vanità, incenerisce fronzoli e orpelli. Ma, soprattutto, attizza una passione divorante, incontenibile. Ne sapeva già qualcosa Geremia:
«Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa: mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). Nella Pentecoste non vengono licenziati degli scolari diligenti che hanno imparato la lezione e vanno a trasmetterla in tono accademico, con uno stile burocratico, distaccato, impersonale, anonimo, neutro, impassibile.
Gli uomini della Pentecoste sono degli amanti di Dio, appassionati di Cristo e di Maria, non degli esecutori di ordini, non degli incaricati di trasmettere notificazioni dall’alto. E sono “pericolosi”, incontrollabili, imprevedibili, perché bruciati da una santa passione e non mossi da altri interessi.
Sono degli innamorati, non funzionari, non impettiti cerimonieri, ingessati diplomatici, scodinzolanti cortigiani, severi esattori dei tributi dovuti a Dio, sussiegosi impresari della salvezza. Lo Spirito Santo, ossia il contagio del fuoco. La Pentecoste, ossia: “vietato spegnere l’incendio”.
Gli uomini della Pentecoste, oltre ad aprire le porte all’irrompere del vento, si sono lasciati bruciare dal fuoco. A chi poneva la domanda “In caso di incendio universale, che cosa salveresti?” rispondevano: “Metterei in salvo il fuoco”. La vita è fuoco di carità, come si manifestò a Mosè nel roveto ardente e agli Apostoli nel cenacolo. La Chiesa rimane fedele alla Pentecoste nella misura in cui non si accontenta del funzionamento, della disciplina, dell’amministrazione della cenere, ma non ha paura di scottarsi dita e cuore maneggiando i carboni ardenti.
Nell’anima inabitata dalla SS. Trinità fioriscono i doni dello Spirito Santo. Il Timor di Dio
In questo giorno di Pentecoste, nel quale la Chiesa intera rivive il mistero dell’effusione dello Spirito Santo, disponi la tua anima nel modo migliore verso Gesù stesso: tutto di noi sarà subito chiaro. Oggi molti desiderano ricevere doni e carismi, senza riflettere che solo in un’anima abitata dalla SS. Trinità e seriamente impegnata nel cammino di perfezione lo Spirito Santo può far fiorire i suoi mirabili sette doni. Nessuno si illuda di avere e di conservare i doni dello Spirito Santo, se si trova in stato di peccato grave. In questo caso la sua anima è come un ramo secco, su cui non è possibile nessuna fioritura.
Tutti i doni del Paraclito confluiscono nel santo timore di Dio. Il timore di Dio non è paura, ma consapevolezza che l’Onnipotente è santo e non tollera il peccato. Con questo dono attenderai con “timore e tremore” ( che è un “gustoso” stato di vigilanza, che dà primato alla verità e alla gioia) all’opera della tua salvezza, cercando di essere un figlio di Dio irreprensibile in mezzo ad una generazione perversa, chiamato a convincere chiunque ti incontri del valore di Dio e della vita.
Domenica, 5 giugno 2022