Stefano Nitoglia, Cristianità n. 412 (2021)
1. L’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione italiana
Dopo un lungo dibattito (1), il 25 marzo 1947 l’Assemblea Costituente approvò l’art. 7 della Costituzione, che recita: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».
Questo articolo è stato oggetto, nel corso degli anni, di diverse interpretazioni e orientamenti da parte della giurisprudenza e della dottrina.
La tesi largamente dominante nei primi anni 1950 era quella della «costituzionalizzazione» dei Patti Lateranensi, in quanto, si diceva, l’art. 7 fa riferimento non a un generico regime pattizio ma espressamente ai Patti Lateranensi e afferma che la modificazione unilaterale degli accordi necessita di un procedimento di revisione costituzionale.
Altri, invece, ed è questa la tesi che sembra essere ora prevalente, sostenevano che l’art. 7 si sarebbe limitato a costituzionalizzare il principio pattizio (2).
In quegli anni la gran parte del mondo cattolico italiano rivendicava gli aspetti positivi del Concordato, nel quale ravvisava una difesa e una garanzia della propria presenza nella società italiana (3).
In particolare, il gesuita Salvatore Lener (1907-1983), con una serie di articoli pubblicati su La Civiltà Cattolica fra il 1947 e il 1951, sosteneva che i Patti Lateranensi avevano dato alla Questione Romana una soluzione che fissava un «sistema» coordinato, tramite una «connessione oggettiva» fra il Trattato e il Concordato (4).
Secondo padre Lener tale sistema non poteva essere disarticolato, per cui, in caso di denuncia unilaterale del Concordato da parte italiana, la Santa Sede avrebbe avuto il diritto di ritenere decaduto lo stesso Trattato. Ciò, secondo il gesuita, sia per una considerazione politica, per la quale sarebbe stato impossibile alla Chiesa mantenere relazioni amichevoli con l’Italia, sia per il «diritto di rappresaglia», che costituisce un principio di diritto internazionale universalmente riconosciuto (5).
Da parte «laica», invece, si cominciò fin da subito a parlare di possibili antinomie fra i Patti Lateranensi e le norme costituzionali.
A queste critiche risposero in quegli anni sia padre Lener, sia l’esperto di diritto ecclesiastico Vincenzo Del Giudice (1884-1970).
Il primo, insistendo sull’importanza dell’art. 7, sosteneva che fosse compito dell’interprete eliminare le «antinomie apparenti», «comprimendo» non le norme antiche concordatarie, «ma quelle nuove più ampie e generali» (6), ovvero quelle costituzionali. Il secondo, proponendo la via interpretativa per eliminare eventuali divergenze fra le due norme, attraverso la costituzione di conferenze «al vertice», e prospettando, come ultima ratio, la possibilità della revisione attraverso gli strumenti contemplati dall’ultima parte dell’art. 7 (7).
2. Il lungo processo di revisione concordataria
Si innescava, in tal modo, il lungo processo che avrebbe portato alla revisione del 1984.
In una riflessione «privata» destinata al card. Giacomo Lercaro (1891-1976), arcivescovo di Bologna, in occasione dell’assemblea dei presidenti delle conferenze episcopali regionali italiane tenutasi a Pompei nel gennaio del 1955, lo studioso, più tardi sacerdote, Giuseppe Dossetti (1913-1996) esprimeva i propri dubbi sulla tenuta dell’art. 7: «la garanzia giuridico-politica rappresentata dal Concordato e dalla sua sanzione costituzionale è oggi in concreto una garanzia estremamente fragile, che da un momento all’altro, anche senza rivolgimenti eccezionali, potrebbe essere infranta per le cause più disparate e imprevedibili» (8).
Per Dossetti, la gerarchia italiana non aveva saputo sfruttare appieno le opportunità che le dava l’art. 36 del Concordato sull’insegnamento della religione cattolica. Aggiungeva che le dinamiche culturali e sociali che si stavano innescando allora in Italia, con l’inizio del processo di secolarizzazione, avrebbero in pratica sterilizzato l’art. 7 se non vi fosse stata una riforma religiosa, sociale e di costume della nazione.
Successivamente, nel 1986, Dossetti fece capire, anche se non lo affermò esplicitamente, che con quella memoria voleva auspicare il «superamento del Concordato», ma, come fa notare Roberto Pertici, non «[…] per un’esigenza di maggiore pluralismo religioso o di laicizzazione della società italiana, ma proprio perché il Concordato gli sembrava una fragile diga contro questa laicizzazione, che sentiva progredire e di cui intravedeva il possibile scenario politico: l’apertura a sinistra» (9). Dossetti precisava che su tre aspetti principali — il matrimonio, l’educazione religiosa e gli enti ecclesiastici — «[…] bisognava dire che la garanzia concordataria non bastava più e che bisognava cambiare la politica e fare un’azione sostanziale della Chiesa. La garanzia concordataria non avrebbe tenuto, sia che si fosse osservato formalmente il Concordato, sia che non si fosse osservato, e non bastava per raggiungere i risultati sostanziali che si volevano ottenere nell’interesse della Chiesa. Perciò li mettevo in allarme nel ’55, assai prima che si cominciasse a parlare di divorzio» (10). Insomma, Dossetti voleva dire che la battaglia doveva essere culturale e spirituale, di riconquista dei valori cattolici, mentre non bastava trincerarsi dietro il dato formale e legale del concordato.
3. La nascita del movimento d’opinione liberal
Nella seconda metà degli anni 1950, infatti, nacque e si diffuse una cultura laicista, libertaria e anticlericale che aveva, all’inizio, nel Partito Socialista Italiano (PSI) il suo riferimento politico e le cui tesi venivano veicolate da varie riviste, tra le quali Belfagor, Il Ponte, Il Mondo di Mario Pannunzio (1910-1968) e L’Espresso di Arrigo Benedetti, all’anagrafe Giulio (1910-1976), amico di Pannunzio.
Pannunzio e Benedetti furono tra i fondatori del Partito Radicale, in cui confluirono gli esponenti della sinistra liberale per i quali il nemico non era più il comunismo ma quei settori della Chiesa cattolica e della Democrazia Cristiana che si opponevano all’apertura a sinistra.
Questa struttura culturale, politica ed editoriale diede vita a un movimento d’opinione liberal, nel senso anglosassone del termine, che propugnava la «modernizzazione» dei costumi e della società italiani e si coniugava, in un certo senso, con il nascente progressismo cattolico (11).
In questo milieu videro la luce le prime iniziative per la riforma e anche l’abolizione del Concordato.
L’8 luglio 1956 si tenne a Milano un convegno sul tema Libertà religiosa e libertà costituzionali nel quale si trattarono i temi dell’art. 5 del Concordato, concernente la condizione degli ex preti, e la mancata attuazione delle norme costituzionali sulla libertà religiosa. L’anno dopo, il 6 e 7 aprile 1957, si svolse al teatro Eliseo a Roma il sesto convegno degli «amici de Il Mondo» sul tema Stato e Chiesa, che ebbe grande risonanza mediatica e alla fine del quale si approvò una mozione, presentata da Ernesto Rossi (1897-1967), per chiedere l’abrogazione del Concordato.
La linea radicalmente anticlericale prevalsa al convegno provocò una frattura all’interno del movimento laicista e la parte più moderata di esso se ne distaccò. Si creò, in tal modo, di fatto, una sinergia fra i liberali moderati e i cattolici progressisti riuniti attorno alla rivista bolognese il Mulino, che propugnava il dialogo fra cattolici «adulti» e liberali non laicisti.
Il Partito Comunista (PCI) di Palmiro Togliatti (1893-1964), da sempre attento, per ragioni meramente politiche, al rapporto con il mondo cattolico, non seguì il Partito Socialista e il gruppo de Il Mondo nella deriva laicistica. Almeno sulle prime, perché la questione del vescovo di Prato mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), che vide coinvolto un proprio tesserato e per di più si svolse in una tradizionale zona «rossa», fece cambiare indirizzo al PCI (12).
Nel 1959, infatti, con un intervento di Aldo Natoli (1913-2010), il PCI propose la revisione del Concordato: in particolare, l’art. 43 sull’Azione Cattolica, l’art. 34 sul matrimonio concordatario, l’art. 5 sui sacerdoti colpiti da censura ecclesiastica, gli articoli 29 e 30 sulle attività economiche e le esenzioni fiscali degli enti ecclesiastici.
Si crearono, così, due schieramenti. Da una parte, i radicali de Il Mondo, su posizioni rigidamente abrogazionistiche, dall’altra parte, su posizioni revisionistiche, i comunisti e anche i socialisti, dopo la svolta del 1962, che li vide entrare al governo. Anche i settori di sinistra della DC, con l’appoggio di alcuni esponenti progressisti della gerarchia, iniziarono a considerare, dapprima timidamente, poi più apertamente, l’ipotesi della revisione.
4. L’epoca della secolarizzazione
Gli anni 1960 sono quelli della svolta a sinistra, della fine della società rurale e della religiosità tradizionale ad essa legata, del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) — che con la Dichiarazione Dignitatis humanae e la Costituzione Gaudium et spes delineò nuovi rapporti fra Chiesa e Stato —, dell’esplosione della protesta studentesca del cosiddetto Sessantotto e della conseguente rivoluzione in interiore homine, la cosiddetta Quarta Rivoluzione, analizzata dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nella sua opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (13), nonché dell’avvento dell’«epoca della secolarizzazione», descritta dal filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) (14).
«Il lungo processo che porta alla revisione del Concordato, in un primo tempo segnato dal dibattito politico e culturale, poi da quello più propriamente istituzionale, si svolge in un momento tormentato della storia italiana.
«Gli equilibri e le sicurezze dell’età del centrismo sono ormai lontani; il partito dei cattolici deve fare i conti con una sinistra sempre più esigente, anche se dalle molte anime. Profonde trasformazioni normative e istituzionali marcano in particolare gli anni settanta, certamente quelli più riformatori della storia della Repubblica. La società, anche se non ne è ancora chiaramente consapevole, è investita da un consistente fenomeno di secolarizzazione. La questione della laicità torna ad affacciarsi nel dibattito pubblico, mentre un laicismo aggressivo fa di nuovo vedere il proprio volto dopo tanto tempo, forse addirittura dalla fine del secolo precedente.
«Per quanto riguarda il mondo cattolico, questo è attraversato da sentimenti e fermenti da cui, per contrasto, si esalta la differenza con la Chiesa di Pio XII, compattamente e saldamente unita attorno a un progetto ideale condiviso; Paolo VI [1963-1978] è consapevole di difficoltà e malesseri e cerca da par suo di governare la transizione italiana, ma ne soffre: il “Papa del Golgota” lo definirà [Arturo Carlo] Jemolo [1891-1981], pensando anche alla situazione del Paese» (15).
Tutti questi elementi crearono le premesse per la revisione del Concordato, dando l’avvio a un lungo processo, che si sarebbe concluso con gli Accordi di Villa Madama del 1984.
5. I dibattiti parlamentari del 1965 sulla politica ecclesiastica
Il processo ebbe inizio nel mese di febbraio del 1965 con i dibattiti parlamentari sulla politica ecclesiastica, conseguenti alle polemiche innescate dal divieto posto dalla Questura di Roma alla rappresentazione di una pièce teatrale, Il Vicario, che accusava Pio XII di passività nei confronti dello sterminio nazionalsocialista degli ebrei.
Alcune settimane dopo, il 12 aprile 1965, incontrando Papa Paolo VI, il leader socialista e vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni (1891-1980) espresse l’esigenza di «[…] preparare la revisione del Concordato non in termini di scontro ma di adeguamento alla Costituzione repubblicana e di rifiuto dello spirito illiberale con cui il Concordato fu promosso e firmato dal fascismo e da Mussolini». Il Pontefice replicò che «in una situazione di buoni reciproci rapporti con lo Stato italiano non aveva motivo di opporsi alla revisione del Concordato» (16). E quasi vent’anni dopo, il 18 febbraio 1984, fu un altro uomo politico socialista, l’allora presidente del Consiglio Bettino, all’anagrafe Benedetto, Craxi (1934-2000) a firmare per l’Italia il nuovo Accordo.
Da parte cattolica si schierarono per la revisione del Concordato alcune importanti istituzioni, quali l’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI) — che dedicò alla revisione il suo XXVI Convegno nazionale di studio, svoltosi a Roma dal 6 all’8 dicembre 1975, e che nel 1977 si fece promotrice della pubblicazione di un periodico intitolato Documentazioni di Iustitia, che sosteneva la revisione concordataria — e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che promosse, fra l’altro, un seminario sul tema Stato democratico e Chiesa conciliare di fronte alla revisione del Concordato (17).
Su un fronte apertamente abrogazionista si schierò, invece, il cosiddetto «dissenso cattolico», espresso da movimenti come le Comunità di Base e i Cristiani per il socialismo, per i quali il Concordato era «una espressione antievangelica della Chiesa italiana» (18).
6. Il Nuovo Concordato
Tralascio il complesso iter diplomatico e parlamentare del processo di revisione e arrivo direttamente al nuovo Accordo, siglato nel 1984 da Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli (1914-1998), quale segretario di Stato vaticano.
Più precisamente, Craxi e Casaroli in quell’occasione firmarono un Accordo di modificazioni del Concordato lateranense, un Protocollo addizionale e un Atto di nomina della Commissione paritetica italo-vaticana per la Riforma della legislazione concordataria in tema di enti e beni ecclesiastici.
7. Un nuovo tipo di convenzione concordataria
Con l’Accordo si è data forma a un nuovo tipo di convenzione concordataria, un «concordato-quadro», caratterizzato da una cornice di norme-principio, da attuare dettagliatamente e successivamente attraverso la stipula di ulteriori accordi fra la Santa Sede o la Conferenza episcopale italiana con le competenti autorità dello Stato (19).
Questa nuova formula di convenzione concordataria è divenuta un punto di riferimento per i successivi concordati. Essa sembra incentrata piuttosto che sulla garanzia della libertas Ecclesiae, come avveniva in precedenza, su quella della libertà religiosa, intesa non solo come libertà negativa, ma anche come libertà positiva. La libertà religiosa diviene, così, «al contempo, fondamento e limite dei concordati» (20).
Una libertà religiosa, però e nonostante questo, che viene sempre più insidiata nel mondo dai più disparati regimi. Del resto, la storia insegna che il carattere confessionale dello Stato non sempre ha assicurato la libertas Ecclesiae né ha garantito la Chiesa dall’intromissione giurisdizionalistica del potere civile negli affari ecclesiastici.
8. Il testo dell’Accordo del 1984
Tratterò del testo del nuovo Accordo seguendo un ordine non cronologico — la disposizione ordinata dei suoi articoli — bensì logico, cioè il loro tema e la loro importanza (21).
Il testo dell’Accordo del 1984 è molto più snello di quello del 1929, contando solo 14 articoli rispetto ai 45 del precedente. Nonostante ciò, esso, in alcune parti è più completo del precedente, meglio esplicitando alcuni princìpi. Per esempio, mentre l’art. 1 richiama letteralmente il primo comma dell’art. 7 della Costituzione italiana, che ha inserito il principio pattizio nella Carta costituzionale («Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»), gli articoli da 2 a 6, trattando della libertà religiosa nelle sue varie articolazioni, aggiungono qualcosa di molto importante.
9. Il diritto alla libertà religiosa come diritto originario e naturale
Il primo comma dell’art. 1 del Concordato del 1929 dispone: «L’Italia, ai sensi dell’art. 1 del Trattato, assicura alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiastica in conformità alle norme del presente Concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero spirituale la difesa da parte delle sue autorità» (22); invece, secondo il corrispondente art. 2, comma 1, dell’Accordo del 1984 «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». Ne consegue che:
a) il termine «riconosce», usato dall’Accordo del 1984, dice qualcosa in più rispetto a quello, «assicura», adoperato dal Concordato del 1929. Il termine «riconoscere», infatti, significa che la libertà religiosa della Chiesa è un diritto originario e non derivato da una legge positiva dello Stato; è un diritto naturale e, come tale, non può essere revocato né conculcato dal potere civile;
b) il libero esercizio del potere spirituale e di culto della Chiesa, assicurato dal Concordato del 1929, viene meglio declinato nell’Accordo del 1984, dove si sostiene che la sua libertà consiste nella «piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» e di «organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica», con ciò richiamando i «tria munera Ecclesiae», ovvero il munus docendi (insegnamento), il munus sanctificandi (amministrazione dei sacramenti) e il munus regendi (governo della Chiesa).
Il sistema «privilegiario» e i residui giurisdizionalistici ancora presenti nel Concordato del 1929 riguardo le norme sulla comunicazione e la corrispondenza, le associazioni, l’organizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, il servizio militare degli ecclesiastici, il segreto ministeriale, le nomine agli uffici ecclesiastici, sono definitivamente superati (artt. 2, 3 e 4 dell’Accordo).
Il carattere «sacro» della città di Roma, previsto dal Concordato del 1929, è stato sostituito dal riconoscimento, da parte della Repubblica Italiana, del «particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità» (art. 2, comma 4, dell’Accordo). È stato, questo, insieme alla normativa sul matrimonio concordatario, di cui infra, uno dei punti più contestati da parte di alcuni (23).
La natura degli enti ecclesiastici viene limitata, dall’art. 7, a quelli aventi fini di religione e di culto. Richiamando l’art. 20 della Costituzione, infatti, l’art. 7, primo comma, stabilisce che il carattere ecclesiastico e il fine di religione e di culto di tali associazioni o istituzioni «[…] non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività». Il comma 3 parifica tali enti, ai fini tributari, a quelli aventi scopo di beneficenza o di istruzione, con conseguente esenzione fiscale delle loro attività; mentre tale esenzione non vale, ai sensi del successivo quarto comma, per gli enti aventi fini diversi da quelli di religione e di culto.
10. La ridefinizione del matrimonio concordatario e l’insegnamento della religione cattolica
Il matrimonio concordatario, già intaccato dall’introduzione del divorzio in Italia e da alcune sentenze della Corte Costituzionale, viene ridefinito dall’art. 8 dell’Accordo.
In esso, la Santa Sede, pur riaffermando «il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società», prende atto che la trascrizione del matrimonio religioso nei registri dello stato civile ai fini degli effetti civili in alcuni casi non può avvenire: età degli sposi difforme da quella richiesta dalle leggi civili e impedimenti previsti dalle medesime leggi.
Nella norma si stabilisce, inoltre, che la delibazione delle sentenze di annullamento dei tribunali ecclesiastici non è più automatica ma soggetta a un più penetrante controllo delle competenti Corti d’Appello, come avviene per le sentenze dei tribunali stranieri (24).
La libertà dell’insegnamento cattolico è regolata dall’art. 9, che garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente e in piena libertà scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione e continua ad assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, riconoscendo a ciascuno, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento; diritto da esercitarsi all’atto dell’iscrizione, su richiesta dell’autorità ecclesiastica (25).
L’art. 10 ribadisce che gli istituti ecclesiastici di formazione — seminari, noviziati, università e facoltà ecclesiastiche — «[…] continueranno a dipendere unicamente dall’autorità ecclesiastica», mentre l’assistenza spirituale, prima prevista per le sole forze armate, viene estesa dall’art. 11 anche agli istituti ospedalieri e a quelli di prevenzione e di pena.
L’art. 13 abroga sostanzialmente il Concordato del 1929 e stabilisce che «ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana», mentre l’art. 14 affida le eventuali future difficoltà di interpretazione o di applicazione dell’Accordo a una Commissione paritetica per «la ricerca di un’amichevole soluzione».
11. La «commissione paritetica» e l’«otto per mille»
Tale commissione paritetica è prevista e regolamentata dal comma 7 dell’art. 7, il quale stabilisce che all’atto della firma dell’Accordo le Parti istituiscono una commissione paritetica «[…] per la formulazione delle norme da sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici».
La commissione fu subito istituita e insediata il 23 febbraio 1984 e venne presieduta per la parte vaticana da mons. Attilio Nicora (1937-2017), allora vescovo ausiliare di Milano e successivamente cardinale, e dal professor Francesco Margiotta Broglio per la parte italiana. I suoi lavori furono conclusi nell’agosto del 1984 e formalmente approvati dalle Parti il 15 novembre di quell’anno.
La riforma più importante introdotta dalla nuova normativa è consistita nel superamento del tradizionale sistema di sostentamento del clero, fondato sulla cosiddetta «congrua» (26), in pratica un assegno mensile dato dallo Stato ai sacerdoti, finanziato, a partire dal 1° gennaio 1990 e tramite i neocostituiti Istituti per il Sostentamento del Clero, con l’8 per mille del gettito dell’Imposta sulle Persone Fisiche (IRPEF) di quei contribuenti che lo avessero espressamente destinato alla Chiesa cattolica in sede di dichiarazione dei redditi.
La nuova normativa venne resa possibile anche dalla riforma del Codex iuris canonici della Chiesa, nel 1983, che superava il tradizionale sistema beneficiale e lo sostituiva, appunto, con i nuovi istituti per il sostentamento del clero (27).
Il nuovo sistema si è rivelato estremamente vantaggioso per la Chiesa cattolica. Leggiamo, per esempio, su Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica del 23 maggio 2019: «come comunicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, la somma relativa all’otto per mille dell’Irpef assegnata alla Chiesa Cattolica per il 2019 risulta pari ad euro 1.133.074.425,15 determinati da euro 1.072.457.725,79 a titolo di anticipo per l’anno in corso, ed un conguaglio sulle somme riferite all’anno 2016 di euro 60.616.699,36».
Questi fondi sono stati ripartiti dalla Chiesa cattolica nel seguente modo: esigenze di culto e pastorale, euro 436.473.000; edilizia di culto, euro 132.000; fondo per la catechesi e l’educazione cristiana, euro 73.473.000; Tribunali Ecclesiastici Regionali, euro 13.500.000; esigenze di rilievo nazionale, euro 61.500.000; interventi caritativi, euro 285.000.000; sostentamento del clero, euro 384.000.000; accantonamento a futura destinazione per culto, pastorale e carità, euro 27.601.000.
12. Gli aspetti salienti dell’Accordo
Come ricordato nel prologo dell’Accordo, esso era maturato nel corso «[…] del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II; avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico».
Nella valutazione di esso gli aspetti salienti sono quelli della libertà religiosa come fondamento e limite dei concordati, della presa d’atto, da parte della Santa Sede, della difformità degli ordinamenti civile e canonico nella disciplina del matrimonio, della fine del confessionalismo, con il superamento del sistema privilegiario e l’eliminazione dei residui del giurisdizionalismo, dell’abbandono del tradizionale sistema beneficiale per il sostentamento del clero in favore del nuovo e più ampio sistema dell’otto per mille.
Ma questo elemento ha indotto diverse personalità del mondo cattolico, fra le quali alcune autorevolissime, a interrogarsi sui suoi vantaggi e svantaggi.
Fra queste Benedetto XVI (2005-2013), il quale, parlando all’incontro con i vescovi tedeschi a Friburgo nel corso della sua visita apostolica in Germania sul tema delicatissimo della tassa per la Chiesa che i cattolici tedeschi sono tenuti a pagare e che ha reso estremamente ricca la Chiesa locale, ebbe a dire: «Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo». «A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo», prosegue il Pontefice, la testimonianza cristiana «[…] viene ripetutamente offuscata, vengono alienate le relazioni e viene relativizzato il messaggio». Da qui la constatazione: «Vi è una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora di trovare il vero distacco dal mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa» (28).
Conclusione
In conclusione, vale la pena interrogarsi sul valore e l’efficacia dei concordati, sui loro pro e sui loro contra. Per compiere una valutazione del genere, certamente non esaustiva, stante la delicatezza e complessità della questione, occorre avere presente alcuni punti fermi.
Nel corso della sua storia la Chiesa ha fatto ricorso a questo istituto quando non era più egemone o, comunque, quando la sua influenza sulla società e sul potere civile era diminuita. I concordati sono stati spesso violati da parte del potere civile e, quindi, si sono rivelati una garanzia imperfetta. I privilegi assicurati alla Chiesa da queste convenzioni, soprattutto quelli economici, si sono sovente dimostrati un’arma a doppio taglio, come denunciato da Papa Benedetto XVI; anche se a tale proposito va evidenziato il contributo positivo dei benefici economici all’attività assistenziale e caritativa della Chiesa (29).
Il fatto di ricevere dei benefici economici dallo Stato — sia direttamente, come si verificava con il sistema beneficiale della congrua, o indirettamente, come avviene ora con l’otto per mille —, oltre a favorire, in positivo, l’attività caritativa della Chiesa, può condizionarne, in negativo, l’indipendenza e la missione profetica? D’altra parte, è pur vero che i concordati, avversati, ad extra, dal pensiero radicale laicista e, ad intra, dal cosiddetto «dissenso cattolico», comunque hanno assicurato alla Chiesa una certa garanzia di libertà e di sicurezza.
A questo punto sorge una domanda: è possibile, comunque, garantire alla Chiesa questa libertas, garanzia dell’esercizio pieno della sua missione, senza i concordati? È questo l’unico strumento giuridico esistente? Va detto, a tale proposito, che vi sono altri sistemi, quali, per esempio, quello degli Stati Uniti d’America, che assicurano alla Chiesa la sua missione pur in mancanza di un concordato.
Negli Stati Uniti, infatti, il primo emendamento della Costituzione garantisce il libero esercizio della religione ma non consente «alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione»; quindi preclude i concordati o altre forme di riconoscimento ufficiale di confessioni religiose. Ciononostante, è assicurato il riconoscimento civile degli enti della Chiesa cattolica, così come di quelli di tutte le confessioni religiose, salvo che in due Stati (Virginia e West Virginia). Tali enti, una volta riconosciuti, godono di un trattamento di favore e di notevoli agevolazioni fiscali a livello federale (30).
Ci si chiede se quello nordamericano sia un sistema esportabile in Italia. E, se sì, in quale modo. In altre parole, se sia possibile e auspicabile un superamento del sistema concordatario verso un ordinamento più agile, basato sul riconoscimento del diritto inviolabile alla libertà religiosa, che comprenda, fra gli altri, il diritto al riconoscimento civile degli enti ecclesiastici e altre garanzie e riconoscimenti.
Non mi nascondo le difficoltà di questa ipotesi, nascenti dalla differenza fra i due ordinamenti, quello di tradizione anglosassone, caratterizzato da un diritto di formazione giurisprudenziale, e quello italiano, di tradizione europea romanistica, dove vige il primato della legge ed esiste una concezione astratta della persona giuridica e caratterizzata da una visione più pragmatica degli istituti giuridici.
La questione, in ogni caso, meriterebbe una più ampia ed approfondita riflessione, senza dimenticare una vicenda recente, vale a dire la Nota Verbale inviata il 17 giugno 2021 dalla Segreteria di Stato vaticana all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede a proposito di alcune criticità contenute nel disegno di legge (d.d.l.) n. 2005, meglio noto come d.d.l. Zan, dal nome del suo primo firmatario, già approvato dalla Camera dei deputati e allora all’esame del Senato.
Nella Nota la Segreteria di Stato rilevava che «[…] alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa — particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” — avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Diverse espressioni della Sacra Scrittura, della Tradizione ecclesiale e del Magistero autentico dei Papi e dei Vescovi considerano, a molteplici effetti, la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».
«Tale prospettiva — proseguiva la Nota — è infatti garantita dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana di revisione del Concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984. Nello specifico, all’articolo 2, comma 1, si afferma che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. All’articolo 2, comma 3, si afferma ancora che “è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”».
«La Segreteria di Stato — concludeva la Nota — auspica pertanto che la Parte italiana possa tenere in debita considerazione le suddette argomentazioni e trovare una diversa modulazione del testo normativo, continuando a garantire il rispetto dei Patti Lateranensi, che da quasi un secolo regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione» (31).
Non si possono non citare gli effetti della Nota, perché non è un caso che, a quattro mesi da essa, l’Assemblea del Senato, il 27 ottobre 2021, con una votazione segreta, abbia bloccato l’esame del d.d.l. Zan, mentre un nuovo disegno di legge su un tema analogo non potrà essere presentato prima che siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione, cioè, probabilmente, nella prossima legislatura, con maggioranze diverse da quelle ora esistenti.
Se il Concordato è stato di fatto bistrattato nel corso delle chiusure operate durante il periodo di pandemia del 2020, con il governo italiano che ha imposto, diciamolo, con una certa prepotenza, la sua linea a una Conferenza Episcopale piuttosto remissiva, questa volta, con un intervento ai massimi livelli fra le due istituzioni, è avvenuto il contrario.
Segnale di un cambiamento di rotta? È ancora presto per dirlo.
Note:
1) Un’ampia ricostruzione del dibattito sui Patti Lateranensi alla Costituente è in Roberto Pertici, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al Nuovo Concordato (1914-1984), il Mulino, Bologna 2009, pp. 333-458.
2) Cfr. Carlo Cardia, Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, il Mulino, Bologna 1992, pp. 147-150.
3) Nel 1954, in occasione del venticinquesimo anniversario della Conciliazione, l’allora patriarca di Venezia, card. Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), divenuto poi Papa con il nome di Giovanni XXIII (1958-1963), ribadisce «pubblicamente la storica importanza dei Patti del Laterano» (R. Pertici, op. cit., p. 466).
4) Cfr., per esempio, Salvatore Lener S.J., Il sistema dei Patti Lateranensi e la nuova Italia, in La Civiltà Cattolica, anno 97, quad. 2330, 19 luglio 1947, pp. 121-131, e quad. 2333, 6 settembre 1947, pp. 398-412; La religione dello Stato nella Costituzione repubblicana, ibid., anno 101, quad. 2413, 6 gennaio 1951, pp. 198-207, e quad. 2416, 17 febbraio 1951, pp. 418-429.
5) Nel diritto internazionale s’intende per rappresaglia un’azione di autotutela compiuta da uno Stato contro un altro Stato, in risposta a un precedente atto illecito commesso dal secondo contro il primo.
6) Cfr. S. Lener S.J., I Patti Lateranensi nel sistema dei nuovi principi costituzionali, in La Civiltà Cattolica, anno 100, quad. 2410, 18 novembre 1950, pp. 444-458 (p. 457).
7) Cfr. Vincenzo Del Giudice (1884-1970), A trent’anni dalla Conciliazione. Riflettendo su recenti discussioni circa la modificabilità del vigente «regime concordatario», in I patti Lateranensi. Scritti giuridici per il trentennale della Conciliazione, Studium, Roma 1960, pp. 1-37 (pp. 35-36).
8) Memoria I Patti Lateranensi e la Costituzione, in Giuseppe Dossetti, Con Dio e con la storia. Una vicenda di cristiano e di uomo, a cura di Angelina (1927-2014) e Giuseppe Alberigo (1926-2007), Marietti, Genova 1987, pp. 159-162.
9) R. Pertici, op. cit., p. 472.
10) Cfr. A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, del 19-11-1984, il Mulino, Bologna 2003, pp. 76-77.
11) Cfr. Francesco Pappalardo, «Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero» del 25 marzo 1960, in Cristianità, anno XXXV, n. 340, marzo-aprile 2007, pp. 13-18.
12) Mons. Pietro Fiordelli, nell’agosto del 1956, venuto a conoscenza che una sua parrocchiana avrebbe sposato con matrimonio civile un militante comunista, condannò l’episodio, definendo i due come «pubblici peccatori». Di qui una lunga querelle giudiziaria, originata dalla denuncia per diffamazione nei confronti del vescovo, condannato in primo grado e assolto in appello, che diede origine ad accesi dibattiti politici e campagne di stampa in cui furono coinvolti il PCI e lo stesso Pontefice, il venerabile Pio XII (1939-1958).
13) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura e con Presentazione di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco, Milano 2009.
14) Cfr. Augusto Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, 1970, Aragno, Torino 2015. Il tema della secolarizzazione è stato analizzato anche da Giovanni Cantoni nell’opera La lezione italiana. Premesse, manovre e riflessi della politica del «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa, Edizioni di Cristianità, Piacenza 1980.
15) Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto (1943-2020), I cattolici italiani e la riforma concordataria del 1984, relazioneal convegno su Agostino Casaroli: lo sguardo lungo della Chiesa (Piacenza, 21-22 novembre 2014), promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, n. 21, 15-6-2015, pp. 1-18 (pp. 3-4).
16) Cfr. Pietro Nenni, Gli anni del centro-sinistra. Diari 1957-1966, a cura di Giuliana Nenni e Domenico Zucàro, Sugarco, Milano 1982, pp. 469-470.
17) Cfr. G. dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Concordati dell’ultimo mezzo secolo, in Ius Ecclesiae, Rivista Internazionale di Diritto Canonico, vol. XII, n. 3, settembre-dicembre 2000, pp. 673-678.
18) idem, I cattolici italiani e la riforma concordataria del 1984, cit., p. 15. «La polemica antigiuridica e antiistituzionale che caratterizzò nella Chiesa gli anni immediatamente seguenti il Vaticano II, frutto di interpretazioni erronee o massimaliste dei documenti conciliari, fu particolarmente accanita nei confronti dell’istituto concordatario. Ciò in quanto appariva come un retaggio storico superato, legato alla forma dello Stato cattolico, lesivo della laicità e incongruente con il carattere pluralistico delle moderne democrazie, fonte di ingiustificati privilegi, contraddittorio con una Chiesa chiamata a fare la “scelta dei poveri”. Nel caso italiano la questione era accentuata dal fatto delle origini fasciste dei Patti del 1929, in quella che era percepita come una vera e propria compromissione fra Stato dittatoriale e Chiesa» (ibid., p. 13).
19) «E d’altra parte in quel Convegno non mancarono voci diverse che, pur concordando sulla revisione, si muovevano in prospettive e su proposte differenti: da quella, per dir così “massimalista”, di un Mario Berri [1912-1996], allora avvocato generale della Cassazione, che partendo dal vulnus inferto al Concordato dalla legge divorzista, finiva per invocare in materia matrimoniale il ritorno al doppio regime di cui al sistema preconcordatario; a quella di un Leopoldo Elia [1925-2008], diversa e per certi aspetti più moderata, che auspicava in sostanza il venir meno della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, fermo restando il riconoscimento civile del matrimonio canonico» (ibid., p. 10).
20) Card. Pietro Parolin, Concordia e concordati, prolusione tenuta al convegno internazionale su Gli accordi della Santa Sede con gli Stati (XIX-XXI secolo). Modelli e mutazioni: dallo Stato confessionale alla libertà religiosa, Roma, 28/2-1/3-2019, in L’Osservatore Romano. Giornale Quotidiano Politico Religioso, 2-3-2019.
21) Cfr. il testo dell’Accordo nel sito web <https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19850603_santa-sede-italia_it.html> (Gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 27-12-2021).
22) Cfr. il testo del Concordato nel sito web <https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19290211_patti-lateranensi_it.html#CONCORDATO_FRA_LA_SANTA_SEDE_E_LITALIA>.
23) Sul punto, tra gli altri cfr. Roberto de Mattei, L’Italia cattolica e il Nuovo Concordato, Centro Culturale Lepanto Editore, Roma 1985.
24) Cfr. le osservazioni critiche di Mauro Ronco, Concordato: una revisione nella linea della separazione, in Cristianità, anno XII, n. 107-108, marzo-aprile 1984, pp. 3-4.
25) Sulla normativa relativa all’insegnamento della religione cattolica, cfr. Conferenza Episcopale Italiana, A 30 anni dall’Intesa: l’IRC nel cammino della Chiesa italiana, Convegno Nazionale dei Direttori e Responsabili diocesani e regionali per l’IRC, Rimini, 13/15-4-2015, nel sito web<https://irc.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/29/2017/01/FASCICOLO-STORICO.pdf>.
26) È stato osservato che tale sistema «[…] non assicurava il sostentamento di tutto il clero, ma solo di quello preposto a determinati uffici, rendeva i sacerdoti che percepivano l’assegno dipendenti economicamente dallo Stato, limitava la libertà della Chiesa nella sfera patrimoniale» (Giorgio Feliciani, 30 anni di bene comune, relazione al Convegno Nazionale Incaricati Diocesani del Sovvenire su Partecipazione e corresponsabilità dei fedeli a sostegno di una Chiesa in uscita, Mestre (Venezia), 7/9-5-2018, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, n. 1 del 2019, pp. 1-15 [p. 2]).
27) Il tradizionale sistema era basato sulla massima nullum officium sine beneficio; nullum beneficium sine officio, il che voleva dire che ogni incarico ecclesiastico doveva sostenersi con un patrimonio, per lo più immobiliare.
28) Benedetto XVI, Incontro con i cattolici impegnati nella Chiesa e nella società, al Konzerthaus di Freiburg im Breisgau, del 25-9-2011.
29) «Un’altra positiva ricaduta del sistema dell’otto per mille sulla vita delle comunità ecclesiali è da riconoscere nel fatto che le risorse che ne derivano mettono la Chiesa in grado di realizzare la piena e totale gratuità del proprio servizio a favore della salvezza delle anime» (G. Feliciani, art. cit., p. 9).
30) Cfr. sul punto Paolo Cavana, Enti della Chiesa e diritto secolare, relazione al XVI Congresso Internazionale della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo su Diritto canonico e culture giuridiche nel centenario del Codex Iuris Canonici del 1917, tenuto a Roma, nella Pontificia Università Lateranense, il 4-7 ottobre 2017, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, n. 14 del 2018, pp. 1-56.
31) Segreteria di Stato. Sezione per i Rapporti con gli Stati, Nota verbale, in Vatican News, del 24-06-2021, consultabile nel sito web <https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-06/testo-integrale-nota-verbale-segreteria-stato-ddl-zan.html>.