Di Roberta Barbi da Vatican News dell’11/06/2022
All’Angelus Papa Francesco ha ricordato che a Breslavia, in Polonia, sono state beatificate suor Pasqualina Jahn e nove consorelle martiri, della Congregazione delle Suore di Santa Elisabetta, uccise alle fine della seconda guerra mondiale in un contesto ostile alla fede cristiana. “Queste dieci religiose, pur consapevoli del pericolo che correvano, rimasero accanto agli anziani e ai malati che stavano accudendo. Il loro esempio di fedeltà a Cristo aiuti tutti noi, specialmente i cristiani perseguitati in diverse parti del mondo, a testimoniare il Vangelo con coraggio”.
Le nuove beate
Maria Paschalis Jahn, dal cuore pieno d’amore; Melusja Rybka, donna forte; Edelburgis Kubitzki, esempio di povertà evangelica; Adela Schramm, vergine prudente; Acutina Goldberg, amante della giustizia; Adelheidis Töpfer, modello di fede; Felicitas Ellmerer, obbediente fino alla fine; Sabina Thienel, dallo sguardo pieno di fiducia; Rosaria Schilling, fortificata nella penitenza; Sapientia Heymann, vergine saggia. Pronuncia i loro nomi lentamente, uno dopo l’altro scandendoli bene, per rendere loro quella giusta memoria che la locuzione “e compagne” non dona, il cardinale Marcello Semeraro, al termine dell’omelia della Messa di Beatificazione, a Wrocław, di queste dieci sorelle della Congregazione di Santa Elisabetta, quando invoca la loro intercessione per tutti noi. Lo fa chiedendo al Signore, attraverso di loro, che al mondo non manchino il rispetto della femminilità, l’uguaglianza tra uomo e donna nella dignità e la tutela della maternità: “Come non veder risplendere in queste martiri la dignità della donna che nel disegno della Redenzione ha in Maria Santissima il riconoscimento più grande?”.
Come le 10 vergini sagge in San Matteo
Il porporato paragona queste dieci suore martiri alle dieci vergini sagge della parabola del Vangelo di Matteo che andarono incontro al Signore con le lampade accese. “In cambio della loro fedeltà e perseveranza fino all’effusione del sangue – spiega –, Dio ha donato loro una corona di gloria, per la quale anche noi, oggi, ci rallegriamo e facciamo festa. Le loro anime, infatti, sono nelle mani di Dio”. Nel racconto evangelico, cinque delle vergini avevano con sé la necessaria riserva d’olio; le altre cinque, invece, si mostrarono stolte perché a loro l’olio venne meno. Nell’interpretazione di San Basilio Magno, l’olio rappresenta l’essere pronti ogni giorno e ogni ora nel compiere pienamente la volontà di Dio. “A differenza delle vergini della parabola – prosegue il prefetto – esse, tutte e dieci, con il carattere e il tratto propri di ciascuna, abbracciarono le atrocità delle sofferenze, l’efferatezza delle umiliazioni e andarono incontro alla morte. Ora che la loro santità viene riconosciuta dalla Chiesa, ci sono donate come strumenti di intercessione presso Dio”.
Amore fedele fino all’estremo
A leggere le storie di Paschalis e delle altre consorelle si capisce immediatamente che il dono di sé per queste religiose non è consistito sono nell’estremo sacrificio in difesa della consacrazione a Cristo, ma è iniziato molto prima nel servizio: chi nelle cucine, chi come infermiera, chi nella cura dei bambini, chi nell’assistenza alle sorelle anziane. “Fu una carità così disinteressata ed eroica che le trattenne anche quando la fuga avrebbe evitato loro i rischi più grandi – dice ancora il cardinale Semeraro – quando l’ingresso dei militari russi a Wrocław fu imminente, molti civili si trovarono davanti alla scelta tra fuggire o rimanere, se salvarsi scappando o affrontare un grave pericolo rimanendo. Le Suore elisabettiane decisero di rimanere nei villaggi invasi dai sovietici”. Delle circa 4500 suore che nel secondo dopoguerra componevano la Congregazione, circa un centinaio sono morte in circostanze diverse, alcune delle quali attraverso il martirio. La guerra era finita, ma pian piano l’Armata Rossa avanzava portando con sé l’odio verso la religione: cappelle e chiese cattoliche furono profanate, sacerdoti torturati e brutalmente uccisi, suore violentate e atrocemente uccise anche loro. Lo stupro era diventato un’arma di umiliazione, ancora più feroce se la vittima era una religiosa consacrata al Signore.
“Solamente di Gesù”
Le dieci nuove Beate sono state uccise tutte dai soldati russi tra febbraio e maggio del 1945 nella Bassa Slesia, nei territori compresi tra i fiumi Oder e Nysa. La storia di Paschalis Jahn è solo una delle dieci. Quando l’Armata avanzava verso Nysa, Paschalis e un’altra consorella che erano le più giovani del convento, furono mandate via, mentre le altre rimasero accanto ai malati e agli anziani che non potevano muoversi. Dopo tanto peregrinare giunsero a Sobotin, in Repubblica Ceca, dove si misero coraggiosamente a servizio della parrocchia. Qui, l’11 maggio 1945, Paschalis fu sorpresa da un soldato russo che, minacciandola con la pistola, le ordinò di andare con lui. La religiosa rispose che non l’avrebbe fatto, che portava l’abito sacro perciò era solo di Gesù, soltanto di Lui. Allora il soldato, nel tentativo di spaventarla e farla cedere, sparò un colpo che trapassò il soffitto. In risposta la suora si inginocchiò e iniziò a pregare: “Sia fatta la Tua volontà”. Il secondo colpo di pistola la raggiunse al cuore. “Il suo donarsi con cuore indiviso a Dio e al prossimo trovò proprio in questi frangenti la sua massima espressione”, evidenzia Semeraro.
Oggi come ieri, la guerra causa martiri
“La ricchezza spirituale delle nuove Beate ci provoca e ci edifica – continua il porporato – la loro vicenda martiriale ci fa pensare alle circostanze che stiamo vivendo oggi nell’Europa del XXI secolo. Sono circostanze nelle quali, davanti alle scene di perpetrata violenza, di accanita crudeltà, di odio ingiustificato, avvertiamo il bisogno di alimentare il desiderio della pace e l’edificazione della concordia con gesti di carità, apertura, accoglienza e ospitalità”. Non si può non pensare all’Ucraina e al bisogno che il mondo ha di pace, una pace che “si costruisce mediante gesti concreti di carità disinteressata, si serve mediante la dedizione e la fedeltà quando ci è chiesto di prenderci cura degli altri. È questa la risposta concreta che, accanto alla preghiera, ciascuno di noi può offrire davanti a tanta efferatezza, barbarie e ingiustizia di cui siamo testimoni”, conclude il prefetto citando le parole di ringraziamento di Papa Francesco al popolo polacco che per primo si è preso cura dei profughi ucraini, imitando l’esempio delle nuove dieci Beate che da oggi rendono ancora più orgogliosa la Chiesa in Polonia.