L’ex-guerrigliero Gustavo Petro vince le elezioni presidenziali in Colombia
Con la vittoria del candidato socialista Gustavo Petro alle elezioni presidenziali del 19 giugno scorso, la Colombia, da sempre Paese conservatore e patria dello scrittore reazionario e controrivoluzionario Nicolás Gómez Dávila, è diventata la sesta nazione, su undici, dell’America Latina, ad avere un governo di sinistra; e se in autunno Lula dovesse vincere le presidenziali in Brasile, 2/3 del grande continente si tingeranno di rosso
di Stefano Nitoglia
Con il 50,57% dei suffragi e il sostegno del mondo femminista(gran parte dei voti raccolti è dovuto alla sua vice, Francia Márquez, afro-colombiana, avvocato, attivista dei diritti civili), l’ex-guerrigliero del movimento M-19, una organizzazione di guerriglia insurrezionale di sinistra, un misto di nazionalismo di sinistra, socialismo rivoluzionario e bolivarismo, attivo in Colombia tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, Gustavo Petro si è aggiudicato le elezioni presidenziali contro il 47,31% dell’imprenditore populista (il Trump della Colombia, come viene chiamato) Rodolfo Hernández. I Paesi sudamericani a guida socialcomunista o comunque progressista sono ora, oltre alla Colombia, il Cile, il Venezuela, l’Argentina (governo peronista populista, certamente non di destra), la Bolivia e la Guyana.
Il Paese più dinamico e ricco di storia e di cultura dell’America Latina è spaccato in due. Memore della lezione che il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, trasse nell’ottobre 1973 dal golpe del Generale Augusto Pinochet in Cile contro Salvador Allende, arrivato al potere il 3 novembre 1970 con solo il 36% dei suffragi,scrivendo tre articoli per la rivista «Rinascita», intitolati «Riflessione dopo i fatti del Cile», in cui lanciò la strategia del compromesso storico, Gustavo Petro ha tenuto i toni bassi, tendendo la mano, nel suo primo discorso, agli avversari, promettendo “una politica di comprensione reciproca e di dialogo”, giungendo ad affermare, in chiave strumentale e perfettamente marxista, che «svilupperemo il capitalismo. Non perché il capitalismo è buono, ma perché dobbiamo prima superare la pre-modernità, il feudalesimo, la nuova schiavitù».
Ma le dichiarazioni post-elezioni di Petro fanno a pugni con il suo programma pre-elettorale, di cui riportiamo alcuni punti. Cambiamento del modello economico mediante una riforma agraria confiscatoria (un classico della sinistra in America Latina). Ecologismo. Stop all’«estrattivismo»: niente più progetti pilota di fracking (fratturazione idraulica mediante perforazioni per esplorare petrolio e gas naturale), niente nuove licenze per l’esplorazione di idrocarburi né estrazione open source su larga scala. Promozione di un «fronte americano per combattere i cambiamenti climatici, che includa il salvataggio della foresta amazzonica».
Il programma del governo propone anche politiche specifiche per altre minoranze «storicamente violate»: afrodiscendenti, indigeni, neri, palenqueros e comunità LGBTQIA. Avvio di un «processo di pace globale con tutti gli attori della violenza», tra i quali le tristemente note FARC, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, organizzazione guerrigliera comunista colombiana di ispirazione marxista-leninista e bolivariana, fondata il 27 maggio 1964, e il non meno tristemente noto ELN, Esercito di Liberazione Nazionale, gruppo di guerriglia insurrezionale rivoluzionaria marxista-leninista, che opera in diverse aree della Colombia dal 1964. Va precisato che questo avvio di processo di pace con la guerriglia si riferisce a quella parte di guerriglieri Farc, circa 1.200 persone, che hanno rifiutato l’accordo di pace col governo del 2016 e continuano il traffico di droga e a un altro piccolo gruppo di dissidenti, che nell’agosto del 2019 hanno denunciato l’accordo e proseguono la lotta armata.
Riforma fiscale: l’attuale sistema fiscale è «chiaramente a favore degli eccessivamente ricchi»: Petro propone quindi un maggiore carico fiscale sugli «oltre 4.000 super patrimoni colombiani» e l’obbligo di dichiarazione dei dividendi, che saranno sottoposti a imposizione fiscale.
Il risultato delle elezioni colombiane lancia un pericoloso segnale sul destino dell’intero continente sudamericano, ricco di risorse naturali, ma anche di povertà e di contrasti sociali, che sta lentamente ma, sembra, quasi inesorabilmente scivolando verso una china politica ed economica di socialcomunismo tinto di venature populiste e bolivariane. Vedremo quanto durerà la luna di miele di Petro con il corpo elettorale colombiano e se questo sarà solo un triste episodio o la conferma di una tendenza ineluttabile. Le prossime elezioni presidenziali brasiliane costituiranno un test molto importante al riguardo.
Giovedì, 23 giugno 2022