A Roma è stato presentato un libro sulla prof.ssa Lanckorońska, illustre storica dell’arte italiana e mecenate
di Włodzimierz Redzioch
Ci sono persone che hanno grandissimi meriti per la conoscenza e per la diffusione dell’arte italiana, ma sono poco conosciute in Italia. Tra loro c’è senza dubbio una donna polacca, Karolina Lanckorońska: figlia del conte Karol Lanckoroński, mecenate, viaggiatore e collezionista, apprezzato alla corte imperiale di Vienna. È una personalità eccezionale del XX secolo, poco conosciuta sia in Polonia, sia in Italia. Una donna di grande formazione culturale, storica d’arte, negli anni ’30 legata all’Università Giovanni Casimiro di Leopoli. Durante la Seconda guerra mondiale impegnata nella lotta clandestina contro i tedeschi, fu arrestata e imprigionata nel campo di concentramento di Ravensbrück, dal quale fu liberata poco prima della fine della guerra grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. Subito dopo si recò in Italia, dove fu addetto stampa e ufficiale educativo del 2° Corpo polacco del generale Władysław Anders. Le fu affidato l’incarico di collocare diverse centinaia di soldati disposti a proseguire gli studi nelle università italiane. Ha vissuto in Italia fino alla fine della sua vita: è morta nel 2002 all’età di 104 anni. È stata una delle più dinamiche attiviste della comunità polacca in Italia, fu l’ideatrice e co-fondatrice dell’Istituto storico polacco a Roma, membro fondatore della Società scientifica polacca all’estero.
In occasione del 20° anniversario della morte della prof.ssa Lanckorońska, il 27 giugno presso l’Istituto Polacco di Roma, è stato presentato un libro a lei consacrato con il titolo: Karolina Lanckorońska nel servizio della scienza e della Polonia. Il libro è stato pubblicato dall’Istituto Polacco con il sostegno della Fondazione Romana J.S. Umiastowska e, come ha spiegato il direttore dell’Istituto, Łukasz Paprotny, è dedicato «alla memoria della professoressa Karolina Lancorońska, ambasciatrice di lunga data della scienza e della cultura polacca nella Città Eterna».
Il grande pregio di questo album, bello graficamente e ricco di fotografie d’archivio, è il fatto di essere pubblicato in due lingue: in polacco ed in italiano. Il testo è stato tradotto in italiano da Francesco Groggia, saggista e scrittore, specialista di letterature slave.
Per capire meglio l’importanza di quest’opera per gli italiani, ne ho parlato con il traduttore.
– Quando per la prima volta ha sentito parlare della contessa Karolina Lanckorońska?
– Fino a poco tempo fa per me il nome della famiglia Lanckoroński e dei suoi componenti, non conoscendo la storia della loro fondazione, era associato più che altro alla loro attività di mecenati e alle donazioni fatte ai musei polacchi, che ho visitato più volte, in particolare la collezione Lanckoroński al Castello Reale del Wawel, a Cracovia, che contiene lo straordinario dipinto di Dosso Dossi Giove, Mercurio e la virtù.
– Lei, traducendo il volume dedicato alla professoressa Lanckorońska, ha avuto modo di conoscere bene il “personaggio”. Che cosa L’ha colpita di più in questa figura?
– La vita di Karolina Lanckorońska è stata molto densa e sfaccettata, piena di svolte, di eventi drammatici, arresti e ripartenze, forse proprio come il secolo in cui ha vissuto. Prima l’insegnamento universitario nella Leopoli anteguerra, poi l’attività partigiana e la deportazione durante il conflitto, infine l’esilio volontario in Italia. Ciò che più mi ha colpito in tutte le vicende della sua vita si può riassumere in due parole: integrità e coraggio. L’integrità porta a non scendere mai a compromessi sulle questioni fondamentali, il coraggio dà la forza di affrontare le conseguenze di questa scelta. Era anche una persona molto esigente, soprattutto con sé stessa, cosa che le dava il diritto di esserlo con gli altri. Sono virtù antiche, forse per questo tanto più preziose per noi che siamo venuti dopo.
– Non tutti in Italia si rendono conto dell’attrazione dell’arte italiana nel mondo e dell’interesse che esercita negli storici. La contessa Lanckorońska già da giovane storica dell’arte all’Università di Leopoli si interessava dell’arte italiana, che la affascinò per tutta la vita. Potrebbe dirci qualche cosa a questo proposito?
– In qualità di storica dell’arte, gli interessi della contessa Lanckorońska erano piuttosto vasti, tanto che inizialmente progettava di scrivere la sua tesi sulle tombe reali della cattedrale del Wawel. Ma in effetti la tematica locale, come scrisse lei stessa, le “andava stretta”. Mi sembra che la sua scelta, poi definitiva, per lo studio dell’arte italiana, in particolare quella del Rinascimento, sia dovuta proprio a questa costante esigenza di allargare gli orizzonti, di optare per un messaggio quanto più universale possibile. Non a caso Michelangelo è l’artista che più le stava a cuore. Personalmente, invidio molto la possibilità che hanno gli stranieri di cogliere questo aspetto e innamorarsene. A noi italiani questo è precluso, la nostra prospettiva è per forza di cose diversa, più ravvicinata.
– La professoressa Lanckorońska ha vissuto la maggior parte della sua intensa vita a Roma. Qual era il suo rapporto con la Città Eterna?
– Da quello che la professoressa Lanckorońska dice nelle sue lettere e in altri testi occasionali, mi sono fatto l’idea che il suo rapporto con Roma sia cambiato nel corso degli anni. Dall’iniziale, comprensibile fascinazione per la storia e le bellezze artistiche della città, credo che abbia progressivamente cominciato a considerare Roma come una sorta di “quartier generale”, cioè il luogo da dove poter condurre quell’attività di ricerca e pubblicazione che per lei era una missione di vita. Non solo nella lotta al comunismo, ma nella dimostrazione, basata sulle fonti storiche, che culturalmente la Polonia è da sempre parte della famiglia delle nazioni europee.
– Come mai un grande personaggio come la contessa Lanckorońska è così poco conosciuta in Italia?
Secondo Andrea Camilleri, ultimo di una lunga serie di scrittori che dicono più o meno lo stesso, «l’Italia è un paese di smemorati», cioè un paese che, forse per difendersi da un passato molto ingombrante, spesso preferisce dimenticare, sia la propria storia, sia quelle altrui. Nel caso di Karolina Lanckorońska, direi che questo è avvenuto per varie ragioni: il carattere schivo della contessa, il suo lavoro editoriale (sulle fonti storiche) molto specialistico e dunque lontano da una certa visibilità, non ultima la sua forte insistenza sulla necessità di combattere il comunismo, un tema che per molto tempo ha incontrato forti resistenze in molti ambienti intellettuali italiani.
– Cosa bisognerebbe fare per farla conoscere meglio?
Credo che la sua vita offra molti spunti per far presa sulle persone a un livello immediato, emotivo. Basti pensare agli episodi legati al campo di concentramento di Ravensbrück, dove lei di notte, in un angolo della baracca, teneva lezioni clandestine di storia dell’arte alle altre deportate. Difficile immaginare qualcosa di più assurdo e allo stesso tempo di più essenziale, necessario per conservare la propria umanità e condividerne l’aspetto migliore in mezzo alla barbarie.
Giovedì, 7 luglio 2022