Si assiste ad una intensa attività politica, economica, diplomatica e militare di Russia e Cina in America Latina, con l’uso strumentale dei BRICS.
di Stefano Nitolglia
“In America Latina l’influenza russa e cinese è sempre più forte, a discapito di quella statunitense”. Lo scrive la rivista “Il federalista.ch” del 13 luglio 2022. In effetti l’attività politica, economica, diplomatica e militare dei due Paesi è notevolmente aumentata in questi ultimi anni.
In Venezuela nel prossimo mese di agosto le forze militari di Venezuela, Russia, Iran e Cina (VRIC), insieme ad altri dieci Paesi alleati (tra cui Vietnam e Bielorussia) effettueranno una serie di esercitazioni armate all’interno di una operazione denominata “Frontiera dei cecchini”.
Uno degli strumenti utilizzati da Russia e Cina in questa opera espansiva è il BRICS, acronimo usato in economia internazionale per indicare Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Dal 23 al 24 giugno la Cina ha presieduto in modalità virtuale il quattordicesimo Summit dei paesi BRICS. Tra i temi economici discussi, il più rilevante è stato quello di una proposta alternativa delle economie emergenti rispetto all’ordine mondiale esistente, a trazione USA. Nella dichiarazione finale del vertice dei Paesi BRICS Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa hanno espresso in 75 punti fondamentali le loro priorità per il futuro: il “ritorno del multilateralismo”, “dell’economia globale contro i protezionismi”, “la riforma del Consiglio di Sicurezza Onu”.
La Russia vorrebbe allargare la platea dei Paesi Brics. Pochi giorni dopo la conclusione del vertice, infatti, fonti governative russe hanno rivelato che Argentina e Iran hanno fatto richiesta di adesione al BRICS. Anche in questa prospettiva il 29 giugno, nel corso del vertice dei Paesi rivieraschi del Mar Caspio in Turkmenistan, Vladimir Putin ha incontrato il presidente iraniano Ebrahim Raisi nel suo primo viaggio all’estero dall’inizio della guerra in Ucraina. L’appuntamento sottolinea i rapporti sempre più stretti tra Mosca e Teheran e fa parte delle manovre diplomatiche con cui la Russia cerca di riposizionarsi a livello internazionale.
Mosca ha stretto ancor più i legami con Venezuela, Nicaragua, Cuba e Argentina (solo pochi mesi fa il presidente argentino Fernandez dichiarava compiaciuto: “L’Argentina deve diventare la porta d’ingresso della Russia in America Latina”) con accordi commerciali e strategici. E non è un caso se Teheran e Caracas hanno firmato accordi in diversi settori, vale a dire: petrolio, raffinazione, petrolchimico, difesa, turismo, cultura e agricoltura. In base a questi accordi, tra l’altro il Venezuela fornirà un milione di ettari di terreno agricolo per i progetti di coltivazione dell’Iran all’estero. Secondo un funzionario iraniano, Rezvanizadeh, l’Iran ha bisogno di sette milioni di ettari di terreni agricoli all’estero per garantire la sua sicurezza alimentare, sebbene gli investimenti iraniani siano stati finora su scala molto più ridotta.
Lo scorso giugno, nell’ambito della sua tournée internazionale, Nicolás Maduro ha annunciato che gli accordi di collaborazione con l’Iran, dureranno almeno 20 anni. In una conferenza stampa con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, al Palazzo Sad Abad di Teheran, Maduro ha affermato che entrambi i paesi hanno “grandi fronti di cooperazione” e che si tratta di “una mappa davvero sorprendente”.
Sono lontani i tempi del summit di Pratica di Mare del 28 maggio 2002, sotto la presidenza Berlusconi, quando, con la firma della “Dichiarazione di Roma” da parte di 19 Paesi Nato e della Russia, le porte dell’Alleanza Atlantica sembravano aperte per la Russia, in una politica di coinvolgimento e di non scontro con i resti dell’ex URSS dopo la guerra fredda. Da allora, a parte i timidi tentativi di Trump di riallacciare i rapporti con il grande Paese euroasiatico, stroncati dalla sorda resistenza di una parte dell’amministrazione americana, queste porte si sono progressivamente chiuse. Con il risultato di spingere sempre più la Russia nelle braccia della Cina.
Domenica, 17 luglio 2022