Verso le elezioni
di Marco Invernizzi
Il 25 settembre si vota, se qualcuno andrà ai seggi. Infatti, la prima impressione che si ricava parlando con le persone e ascoltando i loro discorsi, forse qualunquisti ma questi sono, è che a pochi interessi il fatto che si andrà a votare e molti sono convinti che chiunque vinca le prossime elezioni nulla cambierà.
Naturalmente c’è tempo ancora, molti cambieranno idea e si faranno una propria opinione, così che almeno la metà, ma forse anche di più, degli italiani andrà a votare. Pochi, ma sufficienti per fare un governo.
Questa situazione di apatia generalizzata è un fatto e una conseguenza dell’inadeguatezza della classe politica. Nello stesso tempo dobbiamo constatare che la crisi della classe e dell’offerta politica è a sua volta figlia della crisi della società, dell’uomo occidentale e cristiano, come ho scritto in un recente post (Crisi – Alleanza Cattolica).
Se quindi è corretto denunciare la pochezza della politica attuale, l’assenza di grandi progetti ideali che possano favorire un impegno politico finalizzato al bene comune, non dobbiamo mai dimenticare che la crisi è antropologica, cioè riguarda l’uomo in tutte le sue manifestazioni, da quelle individuali a quelle sociali. Insomma, la politica manifesta la crisi della società.
Se è quindi comprensibile un atteggiamento di sconcerto e di rifiuto, non sarebbe corretto giustificarlo, perché votare è sempre meglio che stare a casa, e votare a sinistra, a destra o al centro non è (ancora) la stessa cosa. E allora vediamo di fare un tuffo nella storia di oltre due secoli, perché per capire veramente bisogna andare in profondità, fin dove si trovano le origini della crisi attuale.
Siamo nel 1789, a Parigi, durante la Rivoluzione. I neo-parlamentari si dividono: a destra dell’aula parlamentare si siedono coloro che vogliono difendere la Francia da una rivoluzione radicale, che ne cambierebbe letteralmente i connotati, come poi realmente accadrà. E i diversi autori di questa rivoluzione, invece, si siedono a sinistra. Così, semplicemente, comincia la contrapposizione destra-sinistra, dove destra significa conservare la tradizione ed eventualmente riformare l’ordine vigente, dove andasse migliorato, mentre a sinistra vogliono appunto creare, dalla distruzione della società preesistente, un ordine nuovo. Così, la grande contrapposizione avviene fra chi vuole riformare il presente, che è sempre migliorabile, e chi vuole invece demolirlo per farne un altro, che in realtà non nascerà mai perché utopistico, perché si fonda sull’idea di un uomo diverso da quello creato da Dio. La destra percepiva la società come un ordine rispettoso della legge naturale e del principio di trascendenza, nel quale la religione aveva un ruolo pubblico assolutamente fondamentale, mentre le diverse sinistre erano accomunate dal fatto di percepire la religione come qualcosa di rigorosamente privato (il liberalismo) o di pericoloso e quindi da eliminare (il materialismo marxista).
In quegli anni, a destra, dopo la grande pagina storica delle Insorgenze popolari anti-“giacobine”, per lo più spontanee, nasce la scuola contro-rivoluzionaria, che si oppone alle diverse sinistre che dal 1789 in poi si contendono la guida del processo rivoluzionario: i girondini (liberali), i giacobini (socialisti radicali) e infine i seguaci di Babeuf (i comunisti). Così, seppure descritto in modo molto sintetico, si sviluppa quel processo rivoluzionario che caratterizza i successivi due secoli, l’Ottocento e il Novecento, con diverse destre che si staccano sempre più dal modello originario, quello contro-rivoluzionario: i liberali, i nazionalisti, oggi i cosiddetti “populisti”.
Il processo che ha dominato l’epoca moderna, quella che va dal 1789 alla caduta del Muro di Berlino, cioè l’epoca delle diverse ideologie in lotta fra loro, è stato segnato dal costante predominio delle sinistre. Ogni fase rivoluzionaria, però, ha suscitato una reazione che ha visto protagonista ogni volta una nuova destra, sempre più spostata a sinistra rispetto alla destra originale contro-rivoluzionaria. Così, nell’Ottocento, i liberali hanno occupato lo spazio della destra, opponendosi al socialismo e soprattutto alla versione totalitaria di quest’ultimo, il comunismo “scientifico” di Marx edi Engels. All’inizio del Novecento, di fronte all’internazionalismo socialista, è nato il nazionalismo, una sorta di rivoluzione contraria, che metteva al centro la nazione invece della rivoluzione, da cui è nato il fascismo. L’odio fra le diverse ideologie e i rispettivi partiti ha portato l’Europa alla tragedia delle due guerre mondiali del Novecento, figlie della lunga guerra civile (1914-1989) che ha visto contrapposti prima i nazionalismi di Germania e Francia, poi le democrazie liberali, alleate del comunismo, contro i “fascismi”.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la contrapposizione destra-sinistra è stata segnata dal ritorno al governo, in molti Paesi europei, dei cattolici, esclusi dai vertici dello Stato dopo le rivoluzioni del 1848 e in seguito al frantumarsi del sistema politico organizzato dal Congresso di Vienna (1815) dopo la sconfitta di Napoleone.
Spesso i cattolici al governo si percepiscono come un partito di centro (vedi la DC), cioè opposto agli estremismi di destra e di sinistra, ma in realtà essi rappresentano l’unico vero ostacolo al trionfo delle sinistre nel secondo dopoguerra.
Così, soprattutto in Italia a causa dell’equivoco sul fascismo, erroneamente percepito — secondo il suo maggiore studioso, Renzo De Felice — come un’ideologia di destra, termini come “destra” e “partito conservatore” verranno sempre considerati “fuori legge” perché accusati di fascismo e non avranno mai veramente una piena agibilità politica.
Tuttavia la gente, nell’epoca delle ideologie, pur con tanti distinguo, percepirà la propria scelta elettorale e, a maggior ragione, la propria militanza politica come una scelta fra il “conservare” o il “riformare”, tra un ordine sociale e politico fondato su valori perenni o, al contrario, una rivoluzione per crearne uno radicalmente nuovo.
Questo scenario cambierà in modo significativo dopo il 1989. Negli anni ‘80, in Italia, nasce la Lega, un partito autonomista e federalista che contesta il centralismo con cui è stata “fatta” l’Italia moderna, un partito almeno inizialmente estraneo allo schema destra-sinistra, anche se poi, a partire dal 1994, entrerà nell’alleanza di centro-destra. In pochi anni la Lega è diventata il più vecchio fra i partiti rappresentati in Parlamento dopo Tangentopoli, quel terremoto politico-giudiziario che, negli anni ‘90 del secolo scorso, ha causato la scomparsa dei principali partiti di governo della Prima Repubblica. Molti anni dopo, nel 2009, nasce un altro movimento post-ideologico, il MoVimento 5 Stelle, fondato dal comico Beppe Grillo. Si tratta di un “non partito”, come ama essere definito, senza basi ideologiche precise, anche se ha prevalentemente sposato temi cari a una certa sinistra, come l’ambientalismo, la “decrescita felice” e un certo statalismo, producendo il contestatissimo reddito di cittadinanza. Risultato il più votato alle elezioni politiche del 2018, presente in tre governi successivi, prima con la Lega, poi con il Partito democratico, quindi all’interno del governo presieduto da Mario Draghi, il M5S oggi sembra inesorabilmente destinato al declino, falcidiato da continue divisioni e privo di una base di consenso, indifferente a qualsiasi cambiamento delle fortune politiche.
Il cambiamento avvenuto nel 1989 ha provocato uno smottamento politico che è ancora ben lontano dall’essere completato: nascono continuamente nuovi partiti e altri ne muoiono, ma soprattutto l’instabilità sembra essere diventata la caratteristica principale e costante della politica italiana. Venendo meno la rilevanza delle ideologie, i confini fra i diversi partiti si sovrappongono e si confondono, nascono i “personalismi” e gli elettori cambiano il loro orientamento con una frequenza sconosciuta rispetto all’epoca delle ideologie, quando un minimo scostamento elettorale sembrava il segnale di chissà quale cambiamento.
E tuttavia, nonostante tutto, qualche differenza permane, soprattutto riguardo ai principi antropologici che ineriscono al bene comune, come il diritto alla vita, la centralità della famiglia, la libertà religiosa e di educazione. L’elettore lo tenga presente il 25 settembre.
Mercoledì, 27 luglio 2022