Continuando il viaggio verso le elezioni incontriamo il Partito Democratico, la sua storia e le sue metamorfosi
di Renato Veneruso
Composizione di luogo: assolato pomeriggio di fine luglio, Bologna. Ingresso da fuori città per giungere alla stazione dell’Alta Velocità di via de’ Carracci. Strade ampie e pressoché deserte, alti fabbricati di stile sovietico, apparentemente privi di vita: è il quartiere della Bolognina.
Ma anche composizione di tempo: 1991, dopo 70 anni di storia, iniziata a Livorno nel 1921, il PCI – Partito Comunista Italiano, decreta la fine della sua esperienza, che tanto ha pesato sulle vicende politiche italiane del secolo breve, sotto la spinta della caduta del Muro di Berlino e l’implosione dell’impero ideocratico socialcomunista dell’URSS, con la bandiera rossa sul Cremlino che sarà ammainata di lì a poco, nel giorno del Natale del Signore di quello stesso anno.
E’ la conclusione della “svolta della Bolognina”, così nominata per il luogo ove, il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del Muro di Berlino, Achille Occhetto, neosegretario del PCI dall’anno prima, alla manifestazione per celebrare il 45º anniversario della battaglia partigiana di detto quartiere, interno a quello di Navile, annuncia che ora occorre «andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (…) Gorbaciov – l’ultimo Segretario generale del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica ndr – prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i veterani e gli disse: “voi avete vinto la seconda guerra mondiale, ora, se non volete che venga persa, non bisogna conservare, ma impegnarsi in grandi trasformazioni”».
Inizia così il processo politico che si concluderà due anni più tardi, con la celebrazione del XX° ed ultimo Congresso straordinario del PCI, che si trasforma in PDS, Partito Democratico della Sinistra (nel cui nuovo stemma, la quercia, seppur notevolmente ridotto, resta il vecchio simbolo del PCI della falce e martello, posto simbolicamente alla base del tronco dell’albero, vicino alle radici). Dopo alterne vicende della cd. seconda Repubblica (per distinguerla dall’esperienza politica della prima, dal 1946 al 1989), il PDS arriverà, infine, a chiamarsi PD, l’attuale Partito Democratico di Enrico Letta.
Se comunque insufficiente attenzione, quanto a riflessione storiografica e politica, è stata, lo scorso anno, dedicata al centenario della istituzione del PCI, pressoché nulla è stata la celebrazione del centenario dell’istituzione, nel 1892, del Partito Socialista Italiano (da cui a Livorno, quasi trent’anni più tardi, nel 1921, si sarebbe distaccata, ad iniziativa soprattutto di Antonio Gramsci, la costola comunista), specie in relazione all’evento della fine del PCI, avvenuta giusto cento anni dopo.
Tale omissione ha impedito ed impedisce di cogliere il senso sostanzialmente unitario di quasi tutta la storia della sinistra italiana, pur tra scissioni, contrasti interni e rinnovamento nella continuità – secondo la poco ricordata linea berlingueriana (cfr. intervista di Eugenio Scalfari in Repubblica del 2 agosto 1978) –, che invece conduce fino all’attuale Partito Democratico-PD, le sue ultime vestigie, ma non per questo meno autentiche.
Il 1991, con il congresso della Bolognina, sancisce dunque il passaggio da un partito comunista ad un partito radicale di massa, secondo la geniale definizione che Giovanni Cantoni ne diede, alla scuola e sulla scia dell’analisi politico-filosofica di Augusto Del Noce: «mentre la nota dominante del comunismo per così dire “classico” era socio-economica, la “lotta di classe”, condotta nella prospettiva della conquista del potere socio-politico, la “dittatura del proletariato”, la nota dominante del neo-comunismo è socio-culturale, è il relativismo. E il relativismo postula assenza di valori assoluti, è «pensiero debole», da intronizzare non più attraverso l’egemonia culturale del partito — nel qual caso si tratterebbe di un semplice replay del gramscismo, della “via italiana al comunismo” —, ma con un political drag dell’arcipelago associazionistico, che si raccoglie di volta in volta attorno all’abortismo e all’animalismo, alla deep ecology, l’“ecologia profonda”, e all’omosessualità, al femminismo e all’antiproibizionismo» (Cristianità, 1994, n° 225-226).
E’, in altri termini, usando i canoni della lezione controrivoluzionaria di Plinio Correa di Oliveira, l’intronizzazione, all’interno del pluricentenario processo rivoluzionario, della dominante relativa a quella Rivoluzione culturale che esplode nel 1968: dopo la Rivoluzione religiosa del 1517 con Lutero, che distrugge la mediazione universale della Chiesa nel rapporto dell’uomo con Dio, dopo la Rivoluzione francese del 1789, che decapita non solo figurativamente il re, compromettendo definitivamente il rapporto gerarchico dell’uomo sociale, dopo appunto la Rivoluzione socialcomunista del 1917, che attenta a tale gerarchia anche quanto all’homo oeconomicus, nel rapporto cioè dell’uomo con le cose create, nel 1968 si compie un processo di disgregazione dei princìpi con i quali l’uomo naturale e cristiano aveva faticosamente edificato una civiltà cristiana, provocando la dissoluzione anche in interiore homine della gerarchia naturale.
Si completa così il processo iniziato con il Rinascimento, che aveva portato, al solo livello di élites culturali e sociali, ad aderire ad un antropocentrismo non più cristiano, cioè non più legato ad un’idea di uomo creato da Dio a Sua immagine e somiglianza. Il completamento della deriva antropologica, con la quarta Rivoluzione (1968), avvenne per mezzo della diffusione a livello di società di massa di tale radicale secolarizzazione, in analogia all’attività di trasmissione virale del morbo relativista da parte del Partito Radicale, nel quale erano confluiti nel secondo dopoguerra i più consapevoli rappresentanti dell’esperienza del Partito d’Azione – apparentemente spazzato via dal misero risultato elettorale del 1948 –, il quale vede finalmente realizzarsi gli esiti della sua opera demolitrice.
L’esperienza politica della sinistra italiana degli ultimi trent’anni esprime, quindi, la piena e consapevole appropriazione di tale identità rivoluzionaria, in qualche modo simboleggiata, secondo la profetica intuizione ormai trentennale di Cantoni, dall’abbandono dell’agenda riguardante i diritti cd. ‘sociali’, variamente declinata secondo lo schema marxista della lotta di classe e del conseguente conflitto tra i diversi blocchi sociali, a favore di quella dei diritti individuali, i ‘new rights’ dell’ideologia gender, del multiculturalismo, della cancel culture e del politicamente corretto, secondo le più svariate modalità in cui si manifesta quella che Benedetto XVI ha insegnato a chiamare «dittatura del relativismo».
Senza illudersi che gli avversari politici di questo radicalismo di massa possano di per sé rappresentare un’alternativa credibile in termini di opposizione consapevole alla deriva rivoluzionaria, resta decisiva, nelle scelte cui il corpo elettorale sarà chiamato il 25 settembre, la considerazione dell’importanza degli spazi di libertà, sociale e personale, che un quadro politico almeno nominalmente non ispirato alla Rivoluzione saprebbe garantirci.
Sabato, 13 agosto 2022