Le insidie dei deserti esistenziali e la Salvezza portata da Cristo
di Michele Brambilla
Nel corso del suo viaggio in Kazakhstan, Papa Francesco celebra, il 14 settembre, una Messa con omelia nella città di Nur-Sultan. La liturgia è quella dell’Esaltazione della S. Croce. «La croce è un patibolo di morte» fino a che non vi sale Gesù. Un patibolo infamante diventa, così, strumento di salvezza eterna, «perché su quel legno Gesù ha preso su di sé il nostro peccato e il male del mondo, e li ha sconfitti con il suo amore. Per questo oggi festeggiamo».
La prima lettura (Nm 21,4-9) descrive i serpenti mandati a mordere Israele, che vaga ancora nel deserto dopo l’Esodo. Il Papa invita ad osservare «anzitutto i serpenti che mordono. Essi attaccano il popolo, caduto per l’ennesima volta nel peccato della mormorazione. Mormorare contro Dio significa non soltanto parlare male e lamentarsi di Lui; vuol dire, più in profondità, che nel cuore degli Israeliti è venuta meno la fiducia in Lui, nella sua promessa. Il popolo di Dio, infatti, sta camminando nel deserto verso la terra promessa ed è sopraffatto dalla stanchezza, non sopporta il viaggio (cfr Nm 21,4). Allora si scoraggia, perde la speranza, e a un certo punto è come se dimenticasse la promessa del Signore». Non è un caso che ricorra l’immagine del serpente, che la Bibbia ha introdotto nella Genesi nel momento del peccato originale.
Il male che affligge il mondo e i singoli viene proprio dal rifiuto della paternità di Dio commesso dal primo uomo. Rivolgendosi ai kazaki, il Pontefice ricorda che «nella storia di questa terra non sono mancati altri morsi dolorosi: penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità» in epoca sovietica, quando il Kazakhstan era l’epicentro del sistema concentrazionario dei gulag. Esiste la tentazione di cancellare il male dalla storia con un tratto di penna (il Santo Padre sembra alludere, con queste parole, alla cancel culture occidentale) e non attraverso la Redenzione portata da Cristo, pertanto il Papa evidenzia che «ci fa bene custodire il ricordo di quanto sofferto: non bisogna ritagliare dalla memoria certe oscurità, altrimenti si può credere che siano acqua passata e che il cammino del bene sia delineato per sempre. No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale».
Francesco mette allora a fuoco «il serpente che salva. Mentre il popolo muore a causa dei serpenti brucianti, Dio ascolta la preghiera di intercessione di Mosè e gli dice: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21,8). Infatti, “quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita”», anticipando la funzione redentrice del vessillo della croce di Cristo. «Gesù lo spiega nel Vangelo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Ecco la svolta», ribadisce il Papa: «è arrivato tra noi il serpente che salva: Gesù che, elevato sull’asta della croce, non permette ai serpenti velenosi che ci assalgono di condurci alla morte. Di fronte alle nostre bassezze, Dio ci dona un’altezza nuova: se teniamo lo sguardo rivolto a Gesù, i morsi del male non possono più dominarci, perché Lui, sulla croce, ha preso su di sé il veleno del peccato e della morte e ne ha sconfitto la potenza distruttiva. Ecco che cosa ha fatto il Padre dinanzi al dilagare del male nel mondo; ci ha dato Gesù, che si è fatto vicino a noi come non avremmo mai potuto immaginare».
Allora, «fratelli e sorelle, questa è la strada, la strada della nostra salvezza, della nostra rinascita e risurrezione: guardare a Gesù crocifisso. Da quell’altezza possiamo vedere la nostra vita e la storia dei nostri popoli in modo nuovo. Perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore, non l’odio; impariamo la compassione, non l’indifferenza; impariamo il perdono, non la vendetta. Le braccia allargate di Gesù sono l’abbraccio di tenerezza con cui Dio vuole accoglierci. E ci mostrano la fraternità che siamo chiamati a vivere tra di noi e con tutti».
Giovedì, 15 settembre 2022