Esse vanno assumendo un carattere non più solo economico, ma anche politico. L’antica Persia, Paese dalla antichissima civiltà, si trova sospesa tra teocrazia musulmana e laicismo kemalista
di Stefano Nitoglia
«Marg bar Khamenei», «Marg bar dictator» («morte a Khamenei», la guida suprema islamica, «morte al dittatore»: entrambi gli slogan sono in lingua farsi) si sente risuonare nelle piazze di oltre 100 città iraniane. Sono soprattutto le donne iraniane (io preferisco la vecchia denominazione “persiane”, che deriva da “Persia”, l’antico nome della grande nazione, che faceva da ponte tra l’Oriente e l’Occidente, abolito per decreto reale nel 1935 dallo scià Reza Pahalavi) a guidare coraggiosamente le proteste, che sono arrivate anche nella capitale Teheran.
Questa volta la causa delle sommosse è stata l’uccisione, da parte della “polizia morale”, di Masha Amini, una ventiduenne originaria di Saqqez, nel Kurdistan iraniano, arrestata e torturata fino alla morte, il 13 settembre scorso a Teheran, perché indossava in maniera inappropriata l’hijab, il velo islamico che deve coprire interamente il capo delle donne. La polizia ha aperto il fuoco per reprimere le manifestazioni e si parla di cinquanta morti tra la popolazione e di tre tra le forze di polizia.
Non è la prima volta che il regime teocratico degli ayatollah viene contestato da quando, nel febbraio del 1979, ha preso il potere rovesciando la giovane monarchia Pahalavi, costringendo alla fuga il secondo e ultimo scià della dinastia, Mohammad Reza Pahalavi. La “Repubblica islamica” è una feroce dittatura che ha nel “Corpo delle guardie della rivoluzione islamica”, meglio noto con il nome farsi di Pasdaran, la sua punta di lancia.
Tra le varie proteste che si sono succedute in Iran, la più nota è quella del cosiddetto “Movimento Verde”, nel 2009. Poi, nel luglio dell’anno scorso, ci sono state rivolte nella regione del Khuzestan, nel sud dell’Iran, per la mancanza di acqua e di energia elettrica, a cui si sono aggiunti anche motivi politici. Le agitazioni si sono estese a Teheran, la capitale, a Tabriz, nell’Iran nord-occidentale, che è il capoluogo dell’Azerbaigian Orientale, e ad Esfahan, nel centro del Paese, antica capitale prima di Teheran.
Tra i motivi delle proteste vi sono certamente quelli economici, con il caro-vita causato dalle sanzioni Usa, ma non solo quelli, e l’episodio di Masha Amini lo dimostra. La causa delle contestazioni non è economica, ma dovuta all’insofferenza della popolazione, soprattutto femminile, nei confronti delle rigide regole della morale islamica, molto formalista e farisaica.
Se è vero che l’inflazione è arrivata a livelli impressionanti, attestandosi attualmente al 40% su base annua e la moneta locale, il rial, perde continuamente terreno (ora vale lo 0,000024 rispetto all’euro), gli iraniani hanno però trovato un modo di adattarsi alle circostanze, ricorrendo all’antica arte di arrangiarsi. Le infrastrutture (autostrade, aeroporti, ferrovie, metropolitane) sono di primissimo ordine, tipico effetto delle politiche dei regimi autoritari. Chi non ricorda le architetture razionaliste fasciste e le bonifiche mussoliniane, la metropolitana di Mosca fatta edificare da Stalin, i monumenti faraonici e le autostrade hitleriani? Per le strade di Teheran sfrecciano lussuose macchine occidentali, Mercedes, BMW e persino Ferrari, mentre i bar e ristoranti sono strapieni di giovani. In Iran vi è un ristrettissimo numero di super ricchi, legati al regime, probabilmente gli stessi che affollano bar, ristoranti e località climatiche alla moda, e una grandissima parte di poverissimi. Una situazione schizofrenica.
Le proteste acquistano sempre più una connotazione politica. Anche se in Iran, a causa della forte repressione, non esiste forse un’opposizione organizzata, all’estero, invece, principalmente negli Stati Uniti, l’opposizione (soprattutto monarchica) è ben strutturata.
Molte persone, allora giovani, che negli anni ’70 studiavano in Europa e in America, godendo di sostanziose borse di studio elargite dallo Scià, e gridavano «Marg Scià in Scià» (morte al re dei re) e si dichiaravano apertamente di sinistra e finanche comunisti, ora lo rimpiangono (ne sono testimone) e sperano in un ritorno della monarchia.
L’opposizione estera si rifà in parte alla cosiddetta “Rivoluzione costituzionale persiana” (in persiano Mashrutyatt o Enghelāb-e Mashrūteh), che operò contro gli ultimi Scià Qajar all’inizio del secolo scorso provocandone la caduta e l’inizio della monarchia Pahalavi. Un’opposizione laicista, di stampo kemalista; del resto, è noto che Reza Khan, il primo della poco fortunata dinastia, che divenne re con il nome di Reza Scià, all’inizio pensava ad un regime come quello di Kemal Ataturk, in Turchia e solo dopo diversi anni cedette alle pressioni della gerarchia religiosa persiana e si fece incoronare. Infatti, tra il colpo di stato che lo portò al potere, nel 1921, e l’incoronazione, nel 1925, intercorsero quattro lunghi anni.
La sua politica, come quella del figlio e suo successore Mohammad Reza, fu di stampo laicista e massonico, procedendo ad una forzata occidentalizzazione della Persia (allora si chiamava ancora così): un’occidentalizzazione, però, che non riprendeva i valori dell’Occidente cristiano e non cercava ciò che ha fatto la grandezza dell’Europa e della cosiddetta “Magna Europa” (l’Europa fuori dai suoi confini, soprattutto in Sud e Nord America, senza dimenticare l’Oceania), ma la sua degenerazione scientista e illuminista. Questa occidentalizzazione forzata ha provocato la reazione della popolazione, ancorata ai valori tradizionali.
Questo è il pericolo da scongiurare, qualora si dovesse verificare un auspicabile cambiamento di regime, come alcuni segnali fanno forse ora ben sperare. La Persia – fatemela chiamare così – è quindi sospesa tra la “Scilla” della teocrazia fondamentalista islamica e la “Cariddi” del laicismo scientista e illuminista, a tratti massonico.
Certo, non è facile trovare una soluzione al problema. Forse i santi cristiani persiani dei primi secoli (e ce ne sono, tanto che esistono le litanie dei martiri persiani raccolte in un bel libriccino, pubblicato da mons. Ramzi Garmou, arcivescovo della Chiesa cattolica assiro-caldea di Teheran) potrebbero dare una mano.
Martedì, 27 settembre 2022