Perché è importante che questo partito, che ha segnato la storia recente d’Italia, ritrovi il suo baricentro attorno al tema del federalismo
di Marco Invernizzi
La Lega fondata da Umberto Bossi ha avuto il merito di portare alla luce il mancato rispetto delle diverse identità dei popoli italiani durante il processo di unificazione nazionale.
Infatti, l’Italia dei mille campanili, dei tanti dialetti, delle molte e diverse identità popolari, che costituivano e continuano in parte a costituire una ricchezza del Bel Paese, questa Italia è stata mortificata dalla scelta dei vincitori del Risorgimento di imporre un modello centralista, ispirato allo statalismo bonapartista, che dal 1861 in poi ha cercato di imporre diversi progetti ideologici, i quali non hanno mai voluto valorizzare le diversità della ricca tradizione italiana.
Negli Anni ‘80 del secolo scorso, la Lega raccoglie le istanze autonomiste dei popoli dell’arco alpino attraverso il legame fra Bossi e l’intellettuale e politico dell’Union Valdotaine Bruno Salvadori (1942-1980), cercando di tradurre le istanze culturali di piccole minoranze autonomiste in un progetto politico. Il progetto cresce, favorito anche dal crollo dei partiti della Prima Repubblica, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e Tangentopoli negli anni successivi. La Lega, così, raccoglie importanti successi elettorali in Veneto e Lombardia e parzialmente in Piemonte, arrivando a guidare città importanti e le tre regioni appena ricordate, giungendo inoltre alla guida del Paese all’interno dell’alleanza di centro-destra nei diversi governi guidati da Silvio Berlusconi, fra il 1994 e il 2011.
La Lega, però, passata dalla segreteria di Bossi a quella di Matteo Salvini nel 2013 (con l’intermezzo di Roberto Maroni), cambia prospettiva politica, assumendo sempre più i connotati di un partito nazionalista, che vuole radicarsi nel Sud, ma non attraverso il federalismo, che sarebbe stata la proposta più logica e più fedele alle origini del partito. Un federalismo che, applicando il principio di sussidiarietà, non avrebbe indebolito lo Stato, ma lo avrebbe spinto a concentrarsi su pochi ambiti, “liberando” così la società civile da una invadenza controproducente.
Così la Lega smette di privilegiare la prospettiva federalista, che era stata una delle sue caratteristiche migliori, diversa anche dal secessionismo padano, che pure ha accompagnato una stagione della storia leghista. Tutto questo avviene mentre nel 2017 i referendum consultivi per l’autonomia vedono in Lombardia e Veneto la vittoria di una prospettiva federalista. L’attuazione pratica non viene sostenuta, però, con molta convinzione neppure dalla stessa Lega.
Diventata il primo partito del centro-destra e raggiunto il 34% dei voti in occasione delle elezioni europee del 2019, la Lega ha poi cominciato a ricevere sempre meno consensi, fino alla débâcle delle recenti elezioni politiche del 25 settembre, perché l’elettorato ha scelto il “partito nazionale” originale, Fratelli d’Italia.
Per quanto ha rappresentato in ormai tre decenni di storia italiana, la Lega forse non dovrebbe ritornare a un progetto nordista, né tantomeno secessionista, ma riprendere a valorizzare il federalismo, cioè quella prospettiva politica radicalmente diversa dal centralismo adottato da tutti i governi italiani durante i periodi dell’egemonia liberale, fascista, democristiana e nei successivi governi di centro-sinistra. Il federalismo, infatti, è una prospettiva politica ispirata al principio di sussidiarietà che vale per tutti i popoli, dal Nord al Sud, e potrebbe permettere alla Lega di proporsi anche nel Meridione senza rinunciare alla propria originalità, perché le ricette federaliste che vanno bene per Lombardia e Veneto potrebbero favorire lo sviluppo delle altre regioni italiane, comprese quelle meridionali.
Lunedì, 3 ottobre 2022