Il “buio” in cui staremmo per cadere con il governo Meloni, secondo il giurista Gustavo Zagrebelsky, sarebbe quello del “popolo bue”, che ha “malamente” votato come propri rappresentanti uomini e donne non allineati alle prospettive progressiste di Bruxelles?
di Renato Veneruso
La più che probabile nascita di un governo italiano a trazione “sovranista”, come presumibile dall’esito elettorale del 25 settembre scorso, ha ridato fiato ai soloni turbati dai rischi di derive “euroscettiche” che possano condurre l’Italia a condividere le censure “europeiste” inflitte a Polonia ed Ungheria piuttosto che mantenerla saldamente avvinta agli ancoraggi “europeisti” di Francia e Germania.
La versione ‘nobile’ di tale preoccupazione risiede nella contestazione preventiva ai futuri titolari di Palazzo Chigi, accusati di minare le fondamenta dell’Unione Europea perché affermano il primato del diritto nazionale su quello europeo, che essi presuntivamente vorrebbero “costituzionalizzare” con una modifica dell’art.11 della Costituzione, che prevede appunto il rispetto per l’Italia dei trattati internazionali.
Lo pensa, ad esempio, Gustavo Zagrebelsky, già Presidente della Corte Costituzionale nel 2004, il quale, traendo da tale norma costituzionale «uno dei suoi princìpi fondamentali», ovvero «l’internazionalismo, posto dai Costituenti in consapevole opposizione al “nazionalismo” del regime precedente», ammonisce: «Il nazionalismo, o sovranismo che dir si voglia, non è una riforma dell’internazionalismo. Ne è la contraddizione. Non avremmo una Costituzione modificata, ma un’altra Costituzione, nemica della prima».
In verità, la teoria dell’interpretazione dell’art. 11 della Costituzione come cessione di sovranità a favore dell’Europa è ormai minoritaria in dottrina ed è sconfessata dalla più recente giurisprudenza costituzionale, la quale ha affermato il primato del nostro ordine costituzionale interno, peraltro non solo parlando di «principio di legalità in materia di reati e pene», che «attiene al cuore dello Stato di diritto» (sempre Zagrebelsky nella stessa intervista a Repubblica del 2 ottobre scorso), ma più in generale di principio di proporzionalità ed attribuzioni (per cui, ad esempio, la UE ha una legittima politica monetaria – peraltro, per i soli Paesi dell’Eurogruppo –, ma ha poteri più limitati sulle politiche fiscale ed economica dei singoli Stati), come dicono gli stessi artt.3, 4 e 5 del Trattato dell’Unione Europea.
La pretesa di difendere l’ordinamento costituzionale nazionale e di evidenziare i conseguenti limiti del primato europeo è tutt’altro che riferibile solo «a ciò che è già accaduto in Ungheria e in Polonia rispetto al diritto dell’Unione, e alla Russia con riguardo al sistema di tutele dei diritti che fa capo alla Corte di Strasburgo» (ibidem), ma introduce una linea di faglia nella giurisprudenza costituzionale anche di altri Paesi UE, tra cui, in primis, la Germania.
La Corte di Karlsruhe, sin dal 1993, ha affermato la propria legittimazione a valutare norme UE eventualmente rese al di fuori del perimetro delle competenze assegnate dai Trattati all’Unione Europea ed a controllare il rispetto dei princìpi di attribuzione, ritenendo di propria competenza la verifica di norme che potrebbero arrecare qualche lesione ai principi fondamentali della Costituzione tedesca.
Lo ha fatto con la ormai famosa (per alcuni famigerata) pronuncia del 5 maggio 2020 sul Quantitative Easing della BCE – Banca Centrale Europea, a tutela della sovranità del popolo tedesco, potenzialmente lesa da impegni di debito garantiti dalla Banca Centrale senza il controllo del Bundestag; lo ha fatto vieppiù quando, contestando il programma di aiuti contro gli effetti economici della pandemia da COVID-19, il Next Generation UE, pur superando l’iniziale blocco al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) tedesco, ha precisato che al Recovery Fund «si applicano i limiti per quanto riguarda il volume, la durata e lo scopo dei prestiti per i quali la Commissione europea è autorizzata, nonché per quanto riguarda le possibili passività sostenute dalla Germania. Inoltre, i fondi in questione devono essere utilizzati esclusivamente per affrontare le conseguenze della crisi del Covid-19»; ciò, allo scopo di evitare di compromettere il diritto sovrano del Parlamento tedesco sul bilancio nazionale, esposto a passività decise autonomamente dalla Commissione, da cui potrebbero derivare aggravi per i contribuenti tedeschi. Nel qual caso, «il governo federale, il Bundestag ed il Bundesrat dovrebbero prendere le misure a loro disposizione per ripristinare l’ordine costituzionale».
Orbene, il richiamare la Germania come epicentro di questa tutt’altro che pacifica relazione fra la sovranità dei singoli Stati, rappresentata dal proprio ordinamento costituzionale, ed il diritto europeo introduce alla ben più preoccupante recente comunicazione del governo tedesco di porre mano ad un indebitamento straordinario per aiutare cittadini ed imprese nazionali a sopportare i rincari dei costi energetici, contemporaneamente ponendo il veto alla richiesta di un price cap (tetto massimo) europeo al prezzo del gas.
Infatti, al di là della bontà o meno di tale possibile risposta agli sconsiderati aumenti delle materie prime, promossa a livello europeo soprattutto dal nostro premier uscente Mario Draghi, la posizione della Germania si connota pericolosamente come una sortita del tutto solitaria ed aliena da qualsiasi processo di concertazione con gli altri Paesi membri, per di più in materia di sicura competenza ed interesse ‘internazionali’.
Il voler nascondere il rischio di tale potenziale sfaldamento della coesione della UE sotto il tappeto del buon ordine dei conti pubblici tedeschi, che consente loro di affrontare il caro-bollette con un indebitamento straordinario che l’Italia, ad esempio, non si può permettere a causa del proprio disavanzo nel rapporto fra PIL e debito pubblico (allo stato, oltre il 150%), nasconde il pregiudizio ideologico di ritenere applicabile il primato europeo solo per imporre più adeguato «livello di protezione».
«Chi stabilisce dove sta la maggiore protezione? Faccio tre esempi che riguardano sia il diritto italiano sia quello europeo: l’aborto, l’eutanasia e la condizione dei migranti. Per l’aborto deve pesare di più il diritto di autodeterminazione della donna o quello alla vita dell’embrione? Per l’eutanasia è più conforme alla dignità dell’individuo la libertà di decidere di porre fine alla propria vita nei casi estremi oppure la protezione del valore della vita in qualsiasi caso, fino a quando la morte non sopraggiunga da sé? Infine, per i migranti prevale il diritto all’accoglienza oppure i diritti dei cittadini a difendere “la casa propria”? Si capisce a prima vista che su questi temi è decisivo non quale sia il maggiore o minore livello di protezione, ma chi decide in proposito: l’Europa o lo Stato Nazionale. Tutti parlano di diritti, il linguaggio dei diritti è universale, ma la concezione di essi cambia a seconda dei governi e delle loro politiche. E noi, a questo riguardo, stiamo probabilmente per sperimentare un salto nel vuoto o, peggio, un salto nel buio», spiega ancora Zagrebelsky nell’intervista.
Il “buio” sarebbe quello del “popolo bue”, che ha “malamente” votato come propri rappresentanti uomini e donne non allineati alle manfrine progressiste di Bruxelles? Siamo sicuri che gli “euro-burocrati”, ovvero i giudici della Corte di Giustizia europea, siano di per sé più illuminati ed illuminanti al riguardo? E’ sovranismo pensare che, pur nel rispetto delle attribuzioni e competenze degli organi direttivi dell’Unione rispetto agli Stati membri, i Parlamenti nazionali debbano rimanere i rappresentanti esclusivi della volontà del popolo sovrano, specie in materia di vita o di morte?
Sabato, 8 ottobre 2022