Giovanni Codevilla, Cristianità n. 414 (2022)
Per comprendere la posizione delle Chiese nel conflitto fra Russia e Ucraina bisogna risalire alla concezione dei rapporti fra Stato e Chiesa nel mondo slavo orientale, basata sul principio della «sinfonia dei poteri», ossia sul rapporto di collaborazione armonica fra Imperium e Sacerdotium, che trova la sua formulazione nella sesta «novella» di Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano (482-565) (1). Tale principio, mai rinnegato nella storia russa, ribadito anche nel documento Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa, approvato dal Concilio del 2000 (2), viene da secoli interpretato in modo singolare al fine di legittimare la subordinazione della Chiesa allo Stato.
Nella storia della Russia il principio «sinfonico» trova pratica applicazione in periodi brevissimi, come al tempo di Fëdor Nikitič Romanov (1553-1633), eletto patriarca con il nome di Filaret, e di suo figlio Michail Fëdorovič (1596-1645), nominato zar nel 1613, nonché al tempo dello zar Aleksej Michajlovič Romanov (1629-1676).
Il rapporto di sudditanza della Chiesa si consolida a livello teorico nel secolo XV, quando il monachesimo russo si divide in due correnti contrapposte sul tema delle eresie e su quello della proprietà ecclesiastica. La prima corrente, chiamata dei «non possessori» (nestjažateli), fa capo a Nil Sorskij (1433-1508), che predica la povertà evangelica della Chiesa e la sua indipendenza dal Gran principe (3). Ad essa si contrappone l’igumeno (abate) Iosif di Volokolamsk (1439-1515), i cui seguaci sono chiamati «possessori» (stjažateli o ljubostjažateli), che invece predica la piena legittimità delle proprietà della Chiesa e un saldo legame con il potere civile (4). Nel concilio convocato nel 1503 prevale la fazione legata a Iosif, considerato l’ideologo del monachesimo «che edifica lo Stato» (gosustanovitel’). Va ricordato, comunque, che il pensiero di Iosif viene arbitrariamente interpretato come legittimante il potere assoluto del Gran principe, poiché nel suo scritto L’illuminatore (Prosvetitel’) è nettissima la distinzione fra il sovrano giusto e quello ingiusto, al quale non si deve obbedienza.
Con il prevalere dei seguaci di Iosif si pongono le basi teocratiche dell’autocrazia. Da allora il potere civile prevale su quello religioso: spesso il sovrano sostituisce i metropoliti a lui non graditi, giungendo anche alla loro eliminazione fisica, come nel caso del metropolita di Mosca Filipp II (Količëv), strangolato nella sua cella monastica il 23 dicembre 1569 su ordine dello zar Ivan IV (1530-1584), detto «il Terribile».
Dopo la caduta di Costantinopoli per opera dei turchi, nel 1453, Filofej (1465 ca.-1542), igumeno del monastero Spaso-Eleazarov di Elizarovo nella regione di Pskov, seguace di Iosif di Volokolamsk, inizia a predicare quella che verrà definita la dottrina di «Mosca Terza Roma». Nella lettera al gran principe di Mosca Vasilij III Ivanovič (1505-1533), Filofej, dopo aver definito il sovrano: «luce dell’Ortodossia, zar cristiano e signore di tutti, che tiene le redini di tutta la grande e santa Russia, della Madre delle Chiese, della Chiesa ecumenica, universale ed apostolica, della nostra purissima Signora Madre di Dio e della sua venerabile e gloriosa Assunzione, della Chiesa che oggi brilla al posto di quelle di Roma e di Costantinopoli», scrive: «[l’Ortodossia] è fuggita di nuovo, nella terza Roma, ovvero nella nuova, grande Rus’ […]. Osserva, Sovrano, come tutti i regni cristiani sono convenuti nel tuo unico [regno], come due Rome sono cadute, mentre la terza sta, e una quarta non vi sarà, il tuo regno cristiano non passerà ad alcun altro. In tutto il mondo sotto il cielo sei tu l’unico Re per i cristiani» (5).
La Rus’ si sostituisce a Bisanzio come centro dell’ecumene cristiana e Mosca afferma il suo ruolo di guida nel mondo cristiano.
In realtà, Mosca aveva già affermato de facto la sua indipendenza nel 1448 con la nomina del metropolita senza previa consultazione del patriarca di Costantinopoli. La posizione di Mosca nel mondo ortodosso si rafforza nel 1589, quando lo zar Boris Godunov (1551-1605) ottiene il riconoscimento della sede patriarcale, pur in palese violazione delle norme canoniche: infatti, il patriarca di Costantinopoli Ieremias II Tranos (1536-1595) in visita a Mosca viene trattenuto in cattività fino al riconoscimento del nuovo patriarcato, senza l’assenso degli altri patriarchi ortodossi (6).
Il dominio del potere civile su quello religioso diviene assoluto con Pietro I il Grande (1672-1725), che abolisce il patriarcato e lo sostituisce con il Santo Sinodo governante, composto da ecclesiastici e da laici nominati dal sovrano e quindi a lui subordinati (7). L’atteggiamento di Pietro nei confronti della Chiesa appare con evidenza dalle sue esternazioni e dalle parodie antiecclesiastiche messe in scena dal Collegio dei Buffoni dell’Ubriachezza, da lui creato e diretto. Da allora la Chiesa è costretta a svolgere una funzione ancillare nei confronti dell’autorità civile: l’unica eccezione è rappresentata due secoli dopo dal patriarca Tichon (Vasilij Ivanovič Bellavin, 1865-1925), all’inizio dell’era sovietica, subito dopo la ricostituzione del Patriarcato di Mosca nel 1917 (8).
L’atteggiamento servile dell’attuale patriarca Kirill (Gundjaev) nei confronti del presidente Vladimir Putin in occasione della guerra contro l’Ucraina costituisce, dunque, la regola piuttosto che l’eccezione. Da parte sua il patriarca non perde occasione di sottolineare il legame fra la Chiesa e le forze armate, come in occasione dell’inaugurazione della Cattedrale dalle Sei Cupole, dedicate ai santi protettori di ogni ramo dell’esercito russo (9).
Per contro, va detto che, benché altri esponenti del clero russo seguano pedissequamente le prese di posizione di Kirill e talora le superino per cortigianeria, ben diverse sono le affermazioni delle altre Chiese presenti in Ucraina. Così, Onufrij (Berezovskij), metropolita di Kyïv e di tutta l’Ucraina, che è a capo della Chiesa ortodossa ucraina (del Patriarcato di Mosca), la maggiore fra le altre chiese ortodosse presenti nel Paese, non ha esitato a prendere apertamente le distanze dal patriarca Kirill. Infatti, Onufrij, che è sempre stato leale nei confronti di Kirill, opponendosi anche al riconoscimento della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, già il giorno precedente l’invasione armata del Paese ha affermato: «Il problema è arrivato. Purtroppo, la Russia ha iniziato un’azione militare contro l’Ucraina, e in questo momento fatidico vi esorto a non farvi prendere dal panico, ad essere coraggiosi e a mostrare amore per la vostra patria e gli uni per gli altri […]. In questo tragico momento, offriamo speciale amore e sostegno ai nostri soldati che stanno a guardia, proteggono e difendono la nostra terra e il nostro popolo. Che Dio li benedica e li protegga! Difendendo la sovranità e l’integrità dell’Ucraina, ci appelliamo al Presidente della Russia e chiediamo la fine immediata della guerra fratricida» (10).
Si aggiunga che, dopo l’invasione dell’esercito russo, in numerose eparchie ucraine appartenenti al Patriarcato di Mosca (11) (Sumy, Žytomyr, Ivano-Frankivsk, Vladimir-Volynsk, Vinnica e Mukačevo), su richiesta di alcuni vescovi i celebranti si rifiutano di commemorare il patriarca durante la liturgia e lo stesso fanno i monaci dell’antica Lavra delle grotte di Kyïv, dove è nato il monachesimo della Rus’. Ciò significa che una parte significativa di questa Chiesa rinnega l’autorità del patriarca di Mosca, dal quale si è staccata spiritualmente, anche se non canonicamente. Si ripete, quindi, quanto accaduto nel 1927, quando — in seguito alla Dichiarazione di fedeltà al regime sovietico sottoscritta dal metropolita e futuro patriarca Sergij (Ivan Nikolaevič Stragorodskij, 1867-1944) — i vescovi e i sacerdoti della Chiesa ortodossa russa si erano divisi fra «commemoranti»e «non commemoranti»(pominajuščie e nepominajuščie), a seconda che accettassero o rifiutassero di menzionare nelle preghiere liturgiche il nome del metropolita.
Il patriarca Kirill ha reagito in modo estremamente scomposto, scrivendo il 2 marzo al vescovo Evlogij di Sumy della Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca: «La cessazione della commemorazione del Primate della Chiesa, non a causa di errori dottrinali o canonici, o delusioni, ma a causa della discordanza con certe opinioni e preferenze politiche, è uno scisma, di cui chi lo commette risponderà davanti a Dio, non solo nell’era a venire, ma anche nel presente» (12).
Il metropolita Onufrij, che si è espresso raramente contro la guerra latente in corso da otto anni fra Kyïv e i separatisti russi del Donbass, nel criticare l’aggressione all’Ucraina usa l’immagine biblica di Caino: «I popoli ucraino e russo uscirono dal fonte battesimale del Dnepr, e la guerra tra questi popoli è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise suo fratello per invidia. Una simile guerra non ha giustificazione né con Dio né con gli uomini» (13).
Da parte sua il sinodo della Chiesa ortodossa ucraina, nominalmente ancora fedele al Patriarcato di Mosca, avverte che «se lo spargimento di sangue non viene fermato, l’abisso fra i nostri popoli potrebbe rimanere per sempre» (14).
A causa dell’atteggiamento filoputiniano di Kirill, ridotto da Putin al rango di ministro del Culto, e del suo rifiuto di condannare la guerra contro l’Ucraina, si assiste a un abbandono della Chiesa legata al Patriarcato di Mosca. Infatti, nonostante la chiara presa di posizione del metropolita Onufrij contro la guerra, settecento parrocchie del Patriarcato di Mosca sono passate alla Chiesa ortodossa autocefala ucraina (15). Questa emigrazione di fedeli appare tanto più significativa se si considera che per numero di praticanti la Chiesa ortodossa ucraina costituisce la metà della Chiesa ortodossa russa, il cui prestigio subisce un gravissimo danno.
Le esternazioni di Kirill non sono condivise dalle Chiese ortodosse all’estero: così la parrocchia ortodossa in Olanda ha deciso di sottrarsi alla giurisdizione di Mosca (16); il metropolita di Tallinn, Evgenij (Rešetnikov), primate della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca, ha firmato una dichiarazione di ferma condanna della guerra in Ucraina, che prelude a un distacco da Mosca (17); con ogni probabilità l’esempio sarà seguito da altre parrocchie ed eparchie, compromettendo il ruolo dominante di Mosca e vanificando gli sforzi del Patriarcato in atto da tempo per ottenere l’adesione delle comunità ortodosse estere alla giurisdizione di Mosca e il loro abbandono del legame canonico con Costantinopoli.
La posizione estremamente ferma assunta dal metropolita Onufrij è condivisa da Epifanij (Dumenko), metropolita di Kyïv e di tutta l’Ucraina, che guida la Chiesa autocefala ortodossa ucraina, nata dal Concilio di unificazione del 15 dicembre 2018 e riconosciuta da Costantinopoli. Epifanij ha dichiarato: «Come primate faccio appello agli assassini russi: non aggravate i vostri crimini distruggendo i santuari, soprattutto perché voi ipocriticamente vi giustificate come difensori della Chiesa»; e ancora: «Mi appello alla comunità internazionale e in particolare ai leader religiosi: alzate la vostra voce contro questo crimine della Russia. Con le parole e le azioni fate tutto il possibile per fermare i bombardamenti»; «Chiedete ad alta voce alla Russia e al Patriarcato di Mosca di porre fine a questi barbari bombardamenti. Non nascondetevi dietro a generici desideri di pace, ma dite la Verità come nostro Signore ci ha insegnato» (18) In un’intervista alla televisione greca il metropolita Epifanij ha dichiarato di aver subito tre attentati e di essere al quinto posto nella lista delle persone da uccidere in Ucraina (19); parlando all’emittente Deutsche Welle ha accusato il patriarca Kirill di comportarsi come Putin (20).
Anche Svjatoslav Ševčuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, la Chiesa cattolica di rito orientale con il maggior numero di seguaci sparsi in tutti i continenti, non ha esitato a condannare con la massima fermezza l’invasione dell’Ucraina, esprimendo preoccupazione per il fatto che «sta iniziando una catastrofe umanitaria» (21) nelle città ucraine circondate dalle forze russe.
L’arcivescovo maggiore ha anche voluto esprimere il ringraziamento «per condividere i nostri dolori e sentimenti e di essere solidale con noi. […] Nessuno è preparato per la guerra tranne il criminale che la sta pianificando e poi la mette in atto. […] Mai potevo immaginare di essere a capo della Chiesa in tempi di guerra. Devo dire che questa invasione era ben pianificata: vi do alcuni esempi. Abbiamo scoperto che proprio nei primi giorni di guerra noi tutti religiosi eravamo inclusi in una lista di persone da eliminare. […] Abbiamo scoperto che nella nostra cattedrale si sono infiltrate persone che poi si sono rivelate come un gruppo di assalto con il preciso ordine di attaccare la cattedrale e di eliminare le persone che vivono lì. Questi terroristi sono stati individuati tra i membri del coro e i gruppi giovanili e possedevano tutte le istruzioni con nomi, cognomi e indirizzi. […] I sotterranei della cattedrale sono stati trasformati in rifugi. […] Nella nostra cattedrale abbiamo accolto quasi cinquecento persone a mani vuote. I gruppi di assalto volevano entrare nella cattedrale per sparare. […] Sono stati momenti apocalittici. […] Volevano installare degli strumenti per permettere di colpire la cattedrale, sapendo che lì sotto c’era la gente. […] La forza del popolo ucraino si sta rivelando un miracolo che sorprende tutti. […] Il sindaco mi ha detto che il popolo oggi ha solo bisogno del conforto e della speranza e questi li può dare soltanto la Chiesa. […] Nei sotterranei della nostra cattedrale continuano a vivere gli anziani, le madri con i bambini e quelli che non hanno i mezzi e non sanno dove andare. Aspettano che la Madre Chiesa li copra con il suo calore. Sono fiero dei miei vescovi e dei miei sacerdoti che sono rimasti nelle loro sedi vescovili e parrocchie. […] È un miracolo che abbiamo la luce e internet nonostante che ogni giorno si distruggano tutte le strutture delle città ucraine. Oggi si fa una guerra di distruzione totale. Ad oggi, dopo 34 giorni di guerra, sono stati lanciati 1300 razzi in 34 giorni. […] Abbiamo una città fantasma come Charkiv, rasa al suolo. Tutte le chiese e gli edifici storici sono stati distrutti, ma abbiamo un vescovo greco-cattolico che è rimasto con il suo popolo e distribuisce gli alimenti alla gente che sopravvive con quanto ricevuto dalla Chiesa. […] Lo stesso è accaduto a Černihiv, praticamente rasa al suolo, ma abbiamo i redentoristi che resistono. […] Il ponte che permette l’evacuazione dalla città è stato distrutto, escludendo la possibilità di fare giungere degli aiuti».
L’arcivescovo maggiore ricorda il martirio di Mariupol’, ieri gigante economico dell’Ucraina: «Oggi tutto è distrutto, ci sono le fosse comuni, ma non c’è più nessuno da seppellire. Le strade sono piene di cadaveri. […] Taglieggiano chi vuole uscire dalla città: mille dollari per ogni auto. […] La gente del Donbass viene deportata a forza a Sachalin ed esiliata per due anni, come ai tempi di Stalin (22): ci sono bambini, donne, persone handicappate che non potranno sopravvivere. […] La gente fugge dalla capitale per trovare un primo rifugio e la Chiesa è presente con i suoi aiuti. Le parrocchie diventano Hub umanitari dove arrivano i grandi camion che vengono smistati. […] Nella zona ucraina centro-occidentale la gente trova rifugio in attesa di poter tornare a casa. La Chiesa si prende cura di tutti i bisognosi. […] Si aggiunga che la gravissima crisi economica rende difficile trovare un lavoro per non vivere di sussidi» (23).
L’arcivescovo maggiore ricorda che ogni giorno vengono distrutte due chiese e che il metropolita Onufrij ha condannato con fermezza l’invasione armata. A nulla è valso l’appello rivolto a Putin e ai leader religiosi bielorussi perché non entrassero in guerra. La cattedrale di Santa Sofia — con l’immagine della Madonna orante, che non è stata distrutta dai tatari — è in grave pericolo. L’arcivescovo esprime profonda gratitudine al Papa, che ha assicurato di fare tutto il possibile per fermare questa strage di innocenti. Tutte le ambasciate hanno abbandonato Kyïv, ma il nunzio è rimasto con il suo popolo. L’arcivescovo maggiore ringrazia per la consacrazione dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria e conclude affermando che «davanti ai nostri occhi c’e uno scontro apocalittico tra il bene e il male», ma che ai cristiani non manca la speranza (24).
Significativi sono i danni arrecati agli edifici ecclesiastici: ben sessanta sono stati gravemente danneggiati o distrutti e anche il clero ha pagato il suo tributo di sangue: sono infatti cinque i sacerdoti appartenenti alla Chiesa ortodossa ucraina e alla Chiesa ortodossa autocefala che hanno perso la vita finora.
Va detto che l’invasione russa ha favorito il superamento delle rivalità e delle incomprensioni che avevano caratterizzato in passato i rapporti tra le varie Chiese, le quali si sentono ora unite nella difesa della libertà del Paese. A causa dell’atteggiamento favorevole alle decisioni di Putin (25), il patriarca Kirill è oggi isolato nel mondo ortodosso: la Chiesa serba, tradizionalmente amica di Mosca, ha infatti dichiarato di voler inviare aiuti al metropolita Onufrij; il patriarca Teodoro II di Alessandria e di tutta l’Africa, che conosce personalmente il presidente russo, ha affermato: «Putin pensa di essere l’imperatore dei nostri tempi. Il potere può farti ubriacare. E il grande potere autoritario acceca gli occhi […]. Non è possibile segnarsi, pregare Dio, e allo stesso tempo uccidere i bambini e le persone» (26). Anche i patriarchi delle Chiese ortodosse di Serbia, Romania e Georgia hanno chiesto a Kirill di intercedere con Putin affinché ponga fine alla guerra in Ucraina.
Nella critica a Kirill non esitano ad esporsi anche i sacerdoti e i diaconi russi del Patriarcato di Mosca. Basti considerare che oltre trecento di essi hanno sottoscritto un appello contro quella che le autorità russe non chiamano guerra, ma «operazione militare speciale» (special’naja voennja operacija), anche se va detto che una parte del clero, segnatamente quello monastico, approva l’invasione dell’Ucraina.
Da parte sua, il 27 febbraio il patriarca Kirill, nella cattedrale di Cristo Salvatore, nella quale negli ultimi tempi è apparso raramente, ha detto: «Dio non voglia che una linea terribile si trovi tra Russia e Ucraina, macchiata dal sangue di fratelli. Non dobbiamo lasciare che forze esterne oscure e ostili ridano di noi. Dobbiamo proteggere la nostra comune patria storica da tutte quelle azioni dall’esterno che possono distruggere questa unità» (27).
A favore del patriarca si sono espressi, fra i tanti, Tichon (Ševkunov), metropolita di Pskov e padre spirituale di Putin, e Pitirim (Voločkov), arcivescovo di Syktyvkar (28). Anche il primate della Chiesa ortodossa russa dei Vecchi Credenti, il metropolita Kornilyj (Titov) (29), sostiene e approva le azioni del «nostro esercito», affermando che in Ucraina le persone sono state uccise «solo perché si pensa e si parla russo. I popoli slavi non vogliono più sopportare questa illegalità», invitando gli ucraini a deporre le armi e a «fermare il genocidio e la follia» (30).
Quanto meno sorprendenti sono le affermazioni di alcuni membri del clero. Valga come esempio l’omelia del protoierej [arciprete] Artemij Vladimirov, noto predicatore dalla voce pacata e suadente e membro del consiglio patriarcale per i problemi della famiglia e della difesa della maternità. Il protoierej fa riferimento a «fascisti, cannibali, mostri della razza umana», che «esercitano la loro tirannia nella fraterna Ucraina», a «ragazze violentate e connazionali viventi, da cui sono stati estratti gli organi e inviati in Europa […]. Quindi ci prepareremo per l’inizio della Grande Quaresima e per una Pasqua speciale, come crediamo, del 2022, quando tutta la Russia Grande, Piccola e Bianca potrà marciare da Vladivostok a Kaliningrad come un unico reggimento immortale […]. Speriamo che nel prossimo futuro la Moldova, il Kazakistan, la sfortunata Ucraina si uniranno a noi, la Georgia è in arrivo. Bene, potete immaginare cosa accadrà agli stati baltici che oggi costituiscono la base di trasbordo delle armi per lo sterminio degli slavi» (31).
Alla luce di queste affermazioni non devono destare meraviglia i crimini di guerra compiuti a Buča dalle truppe al comando del colonnello Omurbekov Azatbek Asanbekovič e in altre località ucraine (Mariupol’, Irpin’, Borodjanka, Hostomel’ e nel Donbass). I soldati hanno assassinato civili innocenti, stuprato le abitanti, usato i civili inermi come scudi umani, distrutto ospedali, scuole e obiettivi non militari, saccheggiato tutto quanto trovavano nelle abitazioni (alimentari, radio, telefoni, oggetti preziosi, elettrodomestici e ogni sorta di beni). Il numero dei morti, inclusi bambini, anziani, ammalati, morti per fame e freddo, per disidratazione, passati per le armi o uccisi da bombe, incluse quelle vietate dalle convenzioni internazionali, e missili è al momento incalcolabile. Vi sono città e villaggi rasi al suolo, come era successo a Groznyj, in Georgia. La memoria ci riporta alla repressione contro l’Ucraina organizzata artatamente da Stalin al tempo della seconda grande carestia del 1932-1933, nota come Holodomor (32), ai milioni di persone morte per fame e al cannibalismo (33).
Al coro di quanti approvano la politica putiniana e l’invasione si aggiungono i rappresentanti dell’establishment come, per esempio, i rettori delle università della Russia (34).
Va detto che anche buona parte della popolazione, in seguito al continuo brain washing, appoggia la politica dell’«operazione militare speciale».Non mancano peraltro quanti, incuranti delle gravissime sanzioni comminate a chi eleva una voce di protesta, in diverse città della Russia osano manifestare contro l’invasione dell’Ucraina e contro la guerra.
Le critiche formulate dal clero al patriarca sono condivise da esponenti autorevoli del laicato, come Sergej Čapnin, già redattore capo del Giornale del Patriarcato di Mosca e vicedirettore della Casa editrice del Patriarcato, che in un articolato intervento sul periodico Dary analizza i discorsi del patriarca mettendone in evidenza i colpevoli silenzi e le contraddizioni e concludendo con amarezza: «Oggi è del tutto chiaro: il patriarca Kirill non è pronto a difendere il suo gregge — né il popolo ucraino né il popolo russo — contro il regime aggressivo di Putin. La sofferenza umana non è una delle sue priorità. L’intercessione del Patriarca presso i detentori del potere rimane solo nei libri di storia» (35).
In segno di protesta contro la guerra il metropolita di Ternopil’, Sergij Genšic’kyj, un tempo devotissimo a Mosca, ha restituito a Putin l’Ordine dell’Amicizia conferitogli dieci anni or sono.
In molte città della Federazione Russa (36) si sono svolte manifestazioni di protesta contro l’invasione dell’Ucraina e migliaia di cittadini sono stati arrestati; le manifestazioni sono proseguite anche dopo che il 4 marzo la Duma, riunita in sessione plenaria straordinaria, ha approvato all’unanimità l’introduzione nel Codice penale della Federazione di una nuova fattispecie di reato — Diffusione pubblica di informazioni notoriamente false sull’uso delle Forze Armate della Federazione Russa (art. 207.3) — che prevede pene pecuniarie severissime e la reclusione fino a quindici anni nel caso in cui tale comportamento abbia gravi conseguenze (tjažkie posledstvija) (37).
Contro la guerra si è espresso il noto protodiacono Andrej Kuraev (38), mentre l’anziano teologo Aleksej Osipov, già docente del seminario teologico di Mosca, approva incondizionatamente l’«operazione militare speciale» (39).
Nel sermone della Domenica del perdono, il 6 marzo, l’ultima domenica che precede l’inizio della Quaresima, Kirill ha affrontato il tema della guerra in Ucraina, che egli vede come lotta contro la promozione di stili di vita in contrasto con la tradizione cristiana, «una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico», spiegando che le popolazioni del Donbass, in particolare, stanno subendo l’imposizione di una cultura occidentale che «viola la legge di Dio», concludendo con le parole: «Per entrare nel club di quei paesi è necessario organizzare una parata del gay pride» (40). Questa affermazione, quanto meno inappropriata e sorprendente, ha suscitato non solo lo sconcerto, ma anche la reazione irritata del mondo occidentale. In realtà, quella di Kirill è una citazione della menzionata lettera che il monaco Filofej di Pskov, nel secolo XV, ha inviato al Gran principe di Mosca per dirgli che lo zar deve difendere la Chiesa, la Russia e il mondo intero da tre pericoli: innanzitutto l’eresia, compresa quella cattolica di Roma; poi il pericolo dell’invasione degli agareni, ossia dei musulmani che hanno preso Costantinopoli, e infine la sodomia, che era ritenuta la massima espressione dell’immoralità. Citando il gay pride, quindi, il patriarca di Mosca ha voluto certamente provocare la mentalità occidentale contemporanea, ma soprattutto riaffermare quella che è ritenuta la missione storica della Russia e della Chiesa russa, cioè salvare il mondo dalla degradazione morale e dall’eresia.
Nel suo sermone il patriarca invita a pregare «per tutti coloro che oggi combattono, che versano sangue, che soffrono, affinché possano anch’essi avere la gioia della resurrezione in pace e serenità», frase riferita soltanto ai separatisti del Donbass.
Durante l’incontro con l’arcivescovo Giovanni D’Aniello, nunzio apostolico nella Federazione Russa, il patriarca Kirill ha rivendicato la sua posizione di non disapprovazione della guerrae ha indirettamente criticato le altre Chiese ortodosse che hanno assunto una posizione di condanna nei confronti di Mosca, dichiarando: «Stiamo cercando di assumere una posizione di mantenimento della pace, anche di fronte ai conflitti esistenti, perché la Chiesa non può partecipare al conflitto, può solo essere una forza pacificatrice»; «le Chiese non devono mai prendere parte ai conflitti, ma essere operatrici di pace» (41). La contraddizione di Kirill è evidente: non condanna la guerra e nel contempo dichiara di operare per la pace.
Da più parti, fra cui la Conferenza delle Chiese europee, Kirill è stato sollecitato a pronunciarsi contro l’invasione dell’Ucraina e a contribuire a porre termine al conflitto e ristabilire la pace, ma il patriarca rifiuta di prendere posizione sugli eventi bellici e si limita a ricordare nei discorsi ufficiali il principio del Russkij mir, ossia dell’unità di Russia e Ucraina. Prima dell’invasione, a fine gennaio, ha ribadito concetti affermati precedentemente: «l’Ucraina non è alla periferia della nostra Chiesa. Noi chiamiamo Kiev la Madre di tutte le città russe. Kiev è la nostra Gerusalemme. L’ortodossia russa comincia da lì. È per noi impossibile abbandonare questa relazione storica e spirituale». Il patriarca di Mosca ha definito quanti lottano contro l’unità storica dei due Paesi «forze del male» e ha aggiunto: «Il Signore protegga dalla guerra fratricida i popoli che fanno parte di un medesimo spazio, quello della Chiesa ortodossa russa […]. Una terra di cui fanno oggi parte la Russia, l’Ucraina, la Bielorussia, altre tribù e altri popoli» (42).
Per Kirill l’Ucraina è territorio canonico della Chiesa di Mosca e per questo ogni pretesa di autonomia, come il riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ucraina, è inaccettabile in quanto sottrae l’Ucraina al Russkij mir, ossia al «mondo russo». In realtà il concetto di Russkij mir altro non è che un miscuglio di temi cari all’imperialismo laico e a quello religioso, finalizzato alla «de-ucrainizzazione» del Paese, per riproporre un termine espresso dal metropolita Epifanij Dumenko.
La negazione dell’autonomia statuale ucraina e l’idea che Federazione Russa e Ucraina siano da considerare un’unica patria, essendo accomunate da una condivisione di fede, appare con chiarezza dal citato documento Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa che, dopo aver ribadito il principio della sinfonia fra Stato e Chiesa, dedica l’intero secondo capitolo al tema Chiesa e Nazione, nell’ambito del quale si definisce l’idea del patriottismo ortodosso. Afferma il documento: «In tutti i tempi la Chiesa ha esortato i suoi figli ad amare la patria terrena e a non risparmiare la vita per difenderla, qualora fosse in pericolo.
«[…] Il patriottismo cristiano si manifesta contemporaneamente nei confronti della nazione sia come comunità etnica sia come comunità di cittadini dello stato. Il cristiano ortodosso è chiamato ad amare la propria patria, che ha una dimensione territoriale, e i propri fratelli di sangue che vivono in tutto il mondo. Tale amore è uno dei modi di attuare il comando di Dio dell’amore del prossimo, che comprende l’amore per la propria famiglia, i connazionali e i concittadini.
«Il patriottismo del cristiano ortodosso deve essere efficace. Esso si manifesta nella difesa della patria dal nemico, nel lavoro per il bene della patria, nella sollecitudine per l’organizzazione della vita del popolo, anche mediante la partecipazione al governo dello stato. Il cristiano è chiamato a custodire e a sviluppare la cultura nazionale e l’autocoscienza del popolo.
«La nazione, civile o etnica, quando è del tutto o per la maggior parte una comunità ortodossa monoconfessionale, può essere in un certo senso considerata come un’unica comunità di fede: una nazione ortodossa» (43).
Si pone qui il problema del riconoscimento dell’identità etnica e culturale degli ucraini e, di conseguenza, dell’entità statuale ucraina. Se da un lato non si può dubitare che Mosca sia erede di Kiev sotto il profilo dell’identità religiosa, dall’altro non si può ignorare che le terre dell’Ucraina e della Bielorussia hanno vissuto per secoli in ambienti culturali estranei alla Rus’. Infatti, Il Gran Principato di Lituania, nel 1340, incorporò le regioni di Polack, Vitebsk, Minsk, Pinsk, nonché la Polesia con Brest-Litovsk (Brześć Litewski) e la Volinia con Luc’k. Negli anni che vanno dal 1355 al 1363, in seguito alla sconfitta del khan mongolo Mamaj (?-1380), il Gran Principato di Lituania annette anche il resto della Rus’ occidentale, in particolare la Podolia, le regioni di Černihiv, Brjansk, Kyïv, Perejaslav, Novhorod-Sivers’kyj, alle quali si aggiungono ben presto, dopo la conversione della Lituania al cattolicesimo nel 1385, quelle dell’odierna Cherson (1392) e di Smolensk (1404).
Nella Confederazione polacco-lituana si respira un’aria culturale quanto mai vivace e profondamente diversa da quella della Moscovia. Basterà ricordare la figura di Kostjantyn Vasyl’, principe di Ostroh (Ostrih), chiamato «re non incoronato dell’Ucraina», strenuo difensore dell’Ortodossia, che nel 1576 fonda la prima Accademia slavo-greco-latina della Rutenia. Primeggia altresì il metropolita Petro Mohyla (1596-1647), che organizza la Scuola della Lavra delle Grotte, un istituto superiore di studi religiosi. Questa scuola nel 1632 si fonderà con la Scuola della Confraternita dell’Epifania di Kyïv, sorta nel 1615, dando vita al Collegio di Kyïv. Nel 1694, dopo il ritorno dell’Ucraina alla Russia sancito dalla pace di Andrusovo, nei pressi di Smolensk, stipulata alla fine della guerra russo-polacca nel 1667, il Collegio diventerà l’Accademia di Kyïv, con sede nel monastero dell’Epifania, alma mater dell’istruzione superiore di tutta l’area slavo-ortodossa. Il programma del Collegio ricalca quello degli istituti dei gesuiti e i docenti sono reclutati fra coloro che hanno terminato gli studi presso la scuola latina di Kyïv. L’insegnamento è impartito in lingua latina fino al 1784, quando viene introdotta la lingua russa.
Nel 1649 il bojaro Fëdor Michajlovič Rtiščev (1625-1673) fonda a Mosca il monastero di sant’Andrea (Andreevskij) e invita a stabilirvisi due monaci kieviani: nasce così, come confraternita di insegnamento (učitel’noe bratstvo), la prima scuola teologica della Moscovia, diretta da Simeon Poloc’kyj (1629-1680), un bielorusso che ha compiuto i suoi studi a Kyïv, precettore dei figli dello zar Aleksej Michajlovič (1629-1676). Con il trascorrere degli anni la scuola viene organizzata sul modello dell’Accademia Mogiliana di Kyïv, nella quale prevale l’insegnamento del latino. Accanto ad essa viene fondata un’altra scuola, nella quale si enfatizza il ruolo del greco: nascono così due istituzioni concorrenti, che rappresentano due indirizzi fondamentali della società moscovita, una che guarda al mondo latino e l’altra a quello greco. Esse si fondono nel 1687 per dar vita all’Accademia slavo-greco-latina, un secolo dopo la nascita dell’Accademia della Rutenia.
Da parte sua l’impero russo non riconosce l’identità culturale dell’Ucraina e si adopera per la russificazione delle sue terre. Significative in tal senso sono le disposizioni normative che limitano o vietano l’uso della lingua ucraina e che meritano di essere ricordate (44).
Nel 1720 Pietro I il Grande (1672-1725) emana un ukaz che proibisce la stampa di libri in lingua ucraina e Pietro II (1715-1730), nel 1729, rende obbligatoria la traduzione dall’ucraino in russo di tutte le ordinanze e le disposizioni statali adottate nella «Piccola Russia».
Non meno significativo è il divieto, imposto da Caterina II (1729-1796) nel 1763, di impartire insegnamenti in lingua ucraina nell’Accademia Mogiliana di Kyïv. La medesima imperatrice, determinata a cancellare negli ucraini l’«opinione aberrante»(razvratnoe mnenie) secondo la quale essi sarebbero un popolo diverso da quello russo, nel 1764 dispone l’abolizione dell’Etmanato (45): vengono così liquidate le istituzioni culturali ucraine e allontanati dal servizio gli impiegati di lingua ucraina.
Nel 1769 il Santo Sinodo emana un decreto che dispone il sequestro dei sillabari redatti in ucraino.
Fra le numerose disposizioni contro l’uso della lingua ucraina va menzionata la circolare segreta del 18 luglio 1863, durante il regno di Alessandro II il Liberatore (1818-1881), che ordina di bloccare la pubblicazione di testi religiosi, scientifici e d’istruzione scritti «nella lingua della Piccola Russia», che si vanno diffondendo in quegli anni, e permette la pubblicazione solamente di opere appartenenti all’ambito delle belle lettere. La circolare giunge ad affermare che non è mai esistita e che non potrà mai esistere una lingua particolare della Piccola Russia.
Nel 1864 viene approvato lo Statuto della scuola elementare, nel quale si dispone che l’insegnamento deve essere impartito esclusivamente nella lingua russa. Nel 1870 il ministro russo dell’Educazione popolare e Ober-prokuror del Santo Sinodo, conte Dmitrij Andreevič Tolstoj (1823-1889), emana un chiarimento (raz”jasnenie), nel quale si dichiara che il fine ultimo dell’istruzione di tutti gli allogeni deve incontestabilmente essere quello della loro russificazion (46).
Il 30 maggio 1876 Alessandro II firma un ukaz nella città tedesca di Bad Ems, che limita nell’Impero Russo l’uso e l’insegnamento della «parlata della Piccola Russia»(malorusskogo narečija), ossia del «dialetto»ucraino. Inoltre, l’ukaz vieta l’importazione dall’estero di libri in lingua ucraina senza una speciale autorizzazione e proibisce la pubblicazione e la traduzione di testi esteri in ucraino, a eccezione dei documenti storici, nonché di allestire rappresentazioni teatrali, di organizzare concerti con canti ucraini e di insegnare in lingua ucraina nelle scuole elementari. All’amministrazione scolastica viene fatto obbligo di eliminare dalle biblioteche i testi in ucraino. A seguito del decreto, viene chiusa la sezione sud-occidentale della Società Geografica Russa di L’viv, viene soppressa la pubblicazione del Kyïvs’kyj Telegraf, il primo giornale indipendente, fondato nel 1859, e vengono licenziati alcuni docenti dell’Università di Kyïv, sostenitori della dignità linguistica e letteraria dell’Ucraina. Il decreto, infine, chiede alle autorità delle Università di Kyïv, Charkiv e Odessa di fornire un elenco nominativo di personalità con tendenze ucrainofile e suggerisce di impiegare personale docente russo (47).
Particolarmente severi sono i divieti introdotti da Alessandro III (1845-1894), russofilo convinto e inflessibile: nel 1881 proibisce di insegnare nelle scuole popolari e di predicare nelle chiese in lingua ucraina, e nel 1884 mette al bando in tutti i governatorati della Piccola Russia le rappresentazioni teatrali in ucraino (48). Nel 1888 viene interdetto l’uso della lingua ucraina in tutte le istituzioni ufficiali e si giunge persino a introdurre il divieto di imporre nomi ucraini ai battezzandi. Nel 1892 si proibisce la traduzione in ucraino di libri russi e nel 1895 si ribadisce il divieto di pubblicare in lingua ucraina i testi destinati all’infanzia, per poi far dichiarare al Senato, nel 1908, che l’attività culturale ed educativa in lingua ucraina è da considerarsi dannosa.
Durante il regno di Nicola II (1868-1917), nel 1911, si adotta il principio secondo il quale l’insegnamento negli istituti di istruzione deve avvenire tassativamente in lingua russa, dichiarando inammissibile l’impiego di altre lingue nelle scuole della Russia.
La lingua ucraina può svilupparsi dopo le rivoluzioni del 1905 e del febbraio 1917 e il colpo di Stato dell’ottobre di quell’anno: vengono abrogati tutti i divieti imposti in precedenza e negli anni 1920 viene avviata una campagna di ucrainizzazione. Gli anni 1930 segnano una svolta nella politica nazionale sovietica e si riprende la russificazione forzata, segnatamente nell’Ucraina occidentale (49).
Si deve comunque ricordare che, in seguito alla russificazione imposta per secoli e ai movimenti di popolazioni che hanno caratterizzato l’epoca staliniana (50), non esiste un legame fra appartenenza etnica e linguistica. Vi sono, infatti, numerosi russofoni che si dichiarano appartenenti al popolo ucraino: ricordo che il presidente Volodymyr Zelens’kyj appartiene a una famiglia ucraina russofona e che ha imparato la lingua ucraina a scuola. Non esiste invece il reciproco di ucrainofoni che si dichiarano russi.
Appare chiaro che Putin, in piena sintonia con la dirigenza ecclesiastica, intende riproporre l’antica normativa antiucraina zarista e sovietica e imporre manu militari la russificazione dell’Ucraina, nella non celata aspirazione di ricostituire l’impero russo-sovietico al fine di vincere l’umiliazione della sua dissoluzione trent’anni or sono.
Alla determinazione di Putin si contrappone eroicamente la resistenza ucraina, decisa a difendere la propria libertà e la propria identità etnica, come affermato nell’inno nazionale: «Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina, né la sua libertà, a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora. I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole, e anche noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero.
«Daremo anima e corpo per la nostra libertà, e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe cosacca».
Merita ricordare che il lemma cosacco (kazak in russo e kozak in ucraino) deriva dalla parola turca quazaq’, che significa «uomo libero». Non è casuale che Timur Suleimanov, primo vicecapo dell’amministrazione del presidente kazako, abbia dichiarato alla stampa che il Kazakistan non aiuterà la Russia ad aggirare le sanzioni occidentali, aggiungendo che il presidente Nursultan Nazarbaev «rispetta l’integrità territoriale dell’Ucraina» e non riconosce l’annessione russa della Crimea e l’indipendenza del Donbass (51).
Da più parti si è parlato ripetutamente di una visita del Papa a Kyïv su invito dello stesso presidente Zelens’kyj allo scopo di rappacificare gli animi e di poter porre fine al conflitto armato. Papa Francesco all’Angelus, al termine della Messa celebrata a Malta, ha affermato: «Preghiamo ora per la pace, pensando alla tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti di questa guerra sacrilega» (52). Il Pontefice non ha risposto positivamente all’invito, limitandosi a dire che «la questione è sul tavolo». Va detto che ha già avuto luogo un primo incontro on line di carattere diplomatico fra il Pontefice e il Patriarca alla presenza del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del metropolita Ilarion e di altri esponenti delle gerarchie, mentre una visita di Papa Francesco a Kyïv, che vada oltre il linguaggio diplomatico a sollecitare la rappacificazione, pone problemi in relazione ai rapporti fra le varie Chiese di Kyïv e il Patriarcato di Mosca e non potrebbe avvenire senza il consenso di Putin, stante il legame di subordinazione della Chiesa russa ai vertici del potere politico moscovita.
Non vi è dubbio che un viaggio del Pontefice in Ucraina avrebbe un impatto enorme. Esso sarebbe accolto con la massima gioia non solo dalle comunità greco-cattoliche e latine, ma altresì dalla Chiese ortodosse dell’Ucraina che non hanno esitato a condannare l’invasione e a denunciare la posizione servile assunta dal patriarca Kirill nei confronti di Putin. D’altra parte, il viaggio del Papa nell’Ucraina distrutta e martoriata dalle forze russe benedette da Kirill costituirebbe un atto di accusa nei confronti del patriarca di Mosca oltre che, ovviamente, del presidente della Federazione Russa, tenuto conto delle chiare affermazioni del Pontefice, il quale nell’udienza generale di mercoledì 6 aprile ha mostrato una bandiera ucraina salvata dalle macerie e, dopo averla baciata, ha ribadito la più ferma condanna della guerra di aggressione della Russia.
Note:
1) Cfr. «I massimi doni elargiti dalla clemenza di Dio agli uomini sono il Sacerdozio e l’Impero, dei quali il primo è al servizio delle cose divine, il secondo guida le cose umane e ne gestisce la cura: e di questi ciascuno origina da un unico identico principio e orna la vita, per cui nulla agli imperatori starà tanto a cuore quanto l’onestà dei sacerdoti, purché questi supplichino sempre Dio anche per loro. Infatti, se l’uno è in ogni suo aspetto integro e gode della fiducia di Dio e l’altro abbellisce lo Stato a lui affidato, sorgerà una sorta di buona armonia in grado di assicurare al genere umano tutto quello che gli è utile» (Iustinianus, Iustiniani novellae, a cura di Rudolf Schöll [1844-1893] e Wilhelm Kroll [1869-1939]), Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem deduci, et de expensis ecclesiarum, in Imp. Iustinianus A. Epiphanio archiepiscopo Constantinopolitano, Praefatio, testo nel sito web <https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr>. Gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati l’8-5-2022). Le Novellae constitutiones sono le costituzioni imperiali emanate dall’imperatore Giustiniano fra il 535 e il 565.
2) Cfr. Chiesa Ortodossa Russa, I fondamenti della concezione sociale, in Il Regno. Quindicinale di documenti e attualità, supplemento al n. 1, 1° gennaio 2001, pp. 7-16 (cfr. il testo in lingua originale nel sito web <http://www.patriarchia.ru/db/text/141422.html>).
3) Cfr. George A. Maloney S.J., Nil Sorsky: The Complete Writings, Paulist Press, Mahwah (New Jersey) 2003; e Nil Sorsky, The Authentic Writings, con un’Introduzione di David M. Goldfrank, Cistercian Publications, Kalamazoo (Michigan) 2008.
4) Cfr. David M. Goldfrank(a cura di), Essays in Russian Monasticism, numero speciale di Russian History, vol. 39, n. 1-2, 2012; Idem, The Monastic Rule of Iosif Volotsky, Cistercian publications, Kalamazoo (Michigan) 1983: e Tomáš Špidlík S.J. (1919-2010), Joseph de Volokolamsk. Un chapitre de la spiritualité russe, Pontificium Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1956.
5) Cfr. Anton Vladimirovič Kartašëv (1875-1960), Očerki po istorii Russkoj Cerkvi, 2 voll., reprint Terra, Mosca 1992, vol. I, p. 391 [«paki v tretij Rim beža, iže est’ v novuju, velikuju Rusiju […]. Vnimaj, Gosudarju, jako vsja christianskija carstva snidošasja v tvoe edino, jako dva Rima padoša, a tretij stoit, i četvertomu ne byti, uže tvoe christianskoe Carstvo inem ne ostanetsja. Edin ty —vo vsej podnebesnej christianom car’»]. Nell’espressione «regno cristiano che non passerà ad alcun altro» è chiaro il riferimento all’edificazione del Regno di Dio in terra: «[…] che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo» (Dan. 2, 44). Per un’analisi della lettera di Filofej, cfr. Giovanni Maniscalco Basile (1941-2017), La sovranità ecumenica del gran principe di Mosca. Genesi di una dottrina, Giuffrè, Milano 1983, pp. 116 e ss.
6) Sull’argomento cfr. Giovanni Codevilla, Il medioevo russo. Secoli X-XVII, Jaca Book, Milano 2016, pp. 256 e ss.
7) Cfr. in proposito Idem, La Russia imperiale. Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1817), Jaca Book, Milano 2016, pp. 65 e ss.
8) Sull’argomento cfr. Idem, L’impero sovietico (1917-1990), Jaca Book, Milano 2016, pp. 91 e ss.
9) La cattedrale, terza per grandezza nel mondo ortodosso, nella quale possono trovare posto seimila persone, è stata costruita nei pressi di Mosca in meno di seicento giorni e inaugurata il 9 maggio 2020 in occasione del 75° anniversario della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Cristo e la Madre di Dio sono raffigurati armati di spada e di kalašnikov. I mosaici inneggianti alla conquista della Crimea, che ritraevano le figure di Putin, del ministro degli Esteri Sergej Lavrov e dei massimi esponenti dello Stato Maggiore, sono stati rimossi per ordine di Putin. I militari presenti indossavano le divise in uso durante l’ultima guerra per ricordare la vittoria sul nazismo. Nel discorso di inaugurazione il patriarca ha sottolineato il legame inscindibile fra Chiesa e forze armate e ha invocato l’aiuto di Dio contro i nemici interni ed esterni (cfr. il sito web <https://www.youtube.com/watch?v=nzt3zFcIKZI>.
10) Cfr. il sito web <https://news.church.ua/2022/02/24/zvernennya-blazhennishogo-mitropolita-kijivskogo-vsijeji-ukrajini-onufriya-virnix-ta-gromadyan-ukrajini>.
11) La Chiesa ortodossa ucraina gode di ampia autonomia all’interno del Patriarcato di Mosca. Il diritto all’indipendenza e all’autonomia nel governo è stato conferito dal Concilio dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa il 27 ottobre 1990 e confermato dal Tomos del patriarca Aleksij II (1929-2008). Lo status speciale della Chiesa ortodossa ucraina è stato confermato dal Concilio episcopale giubilare nel 2000 e dal Concilio locale della Chiesa ortodossa russa nel 2009. L’8 luglio 2011, il Concilio della Chiesa ortodossa ucraina ha anche sottolineato che la Chiesa ortodossa ucraina mantiene l’unità di preghiera e canonica con la Chiesa ortodossa russa, attraverso la quale rimane unita con tutte le Chiese ortodosse locali riconosciute da Mosca. Oltre a questa Chiesa, in Ucraina esiste la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Kyïv, non riconosciuta da Mosca, né da Costantinopoli, retta dall’anziano patriarca Filaret (Denisenko), la quale, peraltro, conta un numero esiguo di fedeli. L’idea d’istituire una sede patriarcale a Kyïv, allora nella Confederazione polacco-lituana, era stata proposta nel 1589 dal patriarca di Costantinopoli Ieremias II Tranos nel suo viaggio di ritorno dalla Moscovia per controbilanciare il potere assunto da Mosca con l’istituzione del Patriarcato. Ma il progetto non si realizzò: a seguito dell’opera dei gesuiti e con l’accordo del re di Polonia Sigismondo III Vasa (1566-1632) la Chiesa ortodossa rutena si unì a Roma nel 1596 (sinodo di Brest Litovsk) dando vita alla Chiesa uniate o greco-cattolica.
12) Cfr. il sito web <http://www.patriarchia.ru/db/text/5905352.html>.
13) Cfr. il sito web <http://novini.dir.bg/news.php?id=27856045>.
14) Cfr. il sito web <https://www.pravmir.ru/sinod-upcz-prizyvaem-prekratit-bratoubijstvennoe-krovoprolitie>.
15) La Chiesa ortodossa autocefala ucraina è riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli, dal Patriarcato di Alessandria e dalle Chiese ortodosse di Cipro e della Grecia. Sull’abbandono della Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca cfr. il sito web <https://www.lefigaro.fr/international/a-lviv-le-patriarcat-de-moscou-lache-par-de-nombreux-orthodoxes-20220328>.
16) Cfr. il sito web <https://www.ilmattino.it/ricerca/chiesa-ortodossa-di-olanda>. Sull’indebolimento del prestigio del patriarca Kirill e della Chiesa ortodossa russa in seguito al conflitto, cfr. il sito web <https://orthodoxtimes.com/liberation-war-weakens-kirill-and-the-moscow-patriarchate>. Sulla frattura dell’unità della Chiesa ortodossa russa in seguito al suo schieramento in campo politico, cfr. l’intervista di Marta Dell’Asta a padre Kirill Hovorun, già stretto collaboratore del patriarca, nel sito web <https://www.lanuovaeuropa.org/dossier/2022/03/28/la-chiesa-russa-prigioniera-delle-sue-scelte>.
17) Cfr. Il sito web <https://news.err.ee/1608535288/head-of-russian-orthodox-church-in-estonia-signs-anti-war-statement>.
18) Cfr. il sito web <http://baznica.info/2022/02/obrashhenie-mitropolita-epifaniya-po-povodu-napadeniya-na-ukrainu>.
19)Cfr. il sito web <https://www.lastampa.it/esteri/2022/03/06/news/tra_ucraina_e_russia_guerra_anche_tra_chiese_il_metropolita_di_kiev_tre_volte_hanno_provato_a_uccidermi_kirill_in_disgr-2868881>.
20) Cfr. il sito web <https://risu.ua/ru/patriarh-kirill-upodoblyaetsya-putinu-mitropolit-epifanij_n124875>.
21) Cfr. il sito web <https://risu.ua/ru/nesmotrya-na-vse-ukraina-stoit-ukraina-boretsya–glava-ugkc-obratilsya-k-ukraincam-v-devyatyj-den-vojny_n126769>. Il testo completo in lingua italiana del messaggio dell’arcivescovo maggiore del 14 marzo è nel sito web <https://www.facebook.com/esarcato/videos/681481273179858>.
22) Sull’argomento cfr. G. Codevilla, Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa, FrancoAngeli, Milano 1996, p. 484 e ss., e fonti citate.
23) Si veda anche l’intervento dell’arcivescovo maggiore nel sito web <https://www.avvenire.it/multimedia/pagine/vescovo-di-kiev-videomesssaggio-4-aprile-2022>.
24) Il video completo in lingua italiana è nel sito web <https//youtu.be/42WxWGDOXJA>.
25) Cfr. il sito web <https://www.rainews.it/articoli/2022/04/il-patriarca-russo-kirill-torna-a-difendere-la-guerra-amiamo-la-pace-ma-dobbiamo-difenderci-6487975b-6c9f-4c8f-a1df-7cde22e71d85.html>. Secondo Kirill «la maggior parte dei Paesi del mondo è ora sotto l’influenza colossale di una forza, che oggi, purtroppo si oppone alla forza del nostro popolo. […] Allora dobbiamo anche essere molto forti. Quando dico “noi” intendo, in primis, le Forze Armate ma non solo. Tutto il nostro popolo deve ora svegliarsi». Queste parole di incitamento alla guerra sono state pronunciate durante la liturgia celebrata nella Cattedrale patriarcale con le Forze Armate il 3 aprile 2022.
26) Nel sito web <https://rusk.ru/newsdata.php?idar=1003600>. Anche l’arcivescovo di Cipro Crysostomos ha affermato: «I russi prima si fanno il segno della croce e poi uccidono» (cfr. il sito web <https://orthodoxtimes.com/patriarch-of-moscow-gifted-icon-of-the-theotokos-to-the-army-to-win-the-war-agaist-ukraine>; nel sito si riferisce anche del dono fatto dal patriarca dell’icona della Madre di Dio a Viktor Zolotov, capo della Guardia nazionale russa, per propiziare la vittoria sull’Ucraina).
27) Nel sito web <http://www.patriarchia.ru/db/text/5904390.html>. Tutti i sermoni del patriarca sono sempre reperibili sul sito <patriarchia.ru>.
28) Cfr. il sito web <https://novayagazeta.ru/articles/2022/03/08/tserkov-antitserkov-i-ukraina>.
29) Cfr. ibidem.
30) Nel sito web <https://novayagazeta.ru/articles/2022/03/08/tserkov-antitserkov-i-ukraina>.
31) L’audio e il video del sermone sono disponibili nel sito web <https://www.bbcrussian.com/russian/features-60655883>.
32) La bibliografia è ampia: mi limito a ricordare Robert Conquest (1917-2015), Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica, 1986, trad. it., liberal, Roma 2004; ed Ettore Cinnella, Ucraina: il genocidio dimenticato 1932-1933, Della Porta Editori, Pisa 2015.
33) Sull’argomento cfr. G. Codevilla, Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa, cit., p. 188 e ss. e fonti citate.
34) Cfr. il sito web <https://www.rsr-online.ru/news/2022-god/obrashchenie-rossiyskogo-soyuza-rektorov1>.
35) Cfr. Sergei Chapnin, Patriarch Kirill and Vladimir Putin’s Two Wars, in Public Orthodoxy. The Orthodox Christian Studies Center of Fordham University, nel sito web <https://publicorthodoxy.org/2022/02/25/patriarch-kirill-and-vladimir-putins-two-wars>.
36) San Pietroburgo, Kostroma, Samara, Krasnojarsk, Novorossijsk, Orel, Taganrog, Kaliningrad, Krasnodar’, Voronež, Elista, Vladivostok, Yaroslavl’, Kemerovo, Anapa, Simferopol’ e altre (cfr. il sito web <https://meduza.io/en/feature/2022/03/07/march-6-in-photos>).
37) Cfr. il sito web <https://base.garant.ru/10108000/8568ae5817ca0ee6fe9495e4c448746b>.
38) Cfr. il sito web <https://infonavigator.com.ua/novosti/kirill-proiznjos-samuju-pozornuju-iz-svoih-propovedej-kuraev-prokommentiroval-popytki-glavy-rpc-opravdat-vojnu-v-ukraine>.
39) Cfr. il sito web <https://nsknews.info/materials/kak-otrazitsya-konflikt-rossii-i-ukrainy-na-nashey-zhizni-mneniya-ekspertov>.
40) Cfr. il sito web <http://www.patriarchia.ru/db/text/5906442.html>.
41) Cfr. il sito web <http://www.patriarchia.ru/db/text/5906050.html>.
42) Cfr. il sito web <https://it.aleteia.org/2022/03/04/scisma-ucraino-autocefalia-patriarcato-trama-guerra-2014-2022>.
43) Chiesa Ortodossa Russa, I fondamenti della concezione sociale, cit., p. 9.
44) Per un elenco completo delle disposizioni normative in materia cfr. il sito web <https://cerkva.kharkov.ua/novini/arkhiv/267.html>.
45) Si deve qui ricordare la rilevanza del contributo di Ivan Stepanovyč Mazepa (1639-1709), etmano dello Stato cosacco (1687-1709), in tutti i campi delle arti, delle scienze e della cultura. Oxana Pachlovska ricorda che «Mazepa, per la prima volta nella storia ucraina, elaborò il concetto dell’Ucraina come res publica indipendente, il cui futuro si poteva progettare solo in una necessaria equidistanza tra Polonia e Russia. Il fallimento storico di Mazepa non fu vano. Egli in effetti riuscì a consolidare enormemente la tradizione dell’indipendentismo ucraino, lasciando un’eredità politica che il Novecento saprà poi raccogliere. Questa “tradizione repubblicana” diventerà parte importante del pensiero politico ucraino, riservando dunque all’Ucraina il ruolo di ultimo baluardo europeo di una tradizione profondamente estranea (e quindi doppiamente pericolosa) all’assolutismo russo» (Oxana Pachlovska, La cultura ucraina tra Bisanzio e Roma: discrasie e incontri, in Luciano Vaccaro (a cura di), Storia religiosa dell’Ucraina, Centro Ambrosiano e ITL, Milano 2007, pp. 417-488 [p. 435]).
46) «Konečnoj cel’ju obrazovanija vsech inorodcev neosporimo dolžno byt’ obrusenie». Sulla circolare Valuev cfr. Andrea Franco, Le due nazionalità della Rus’. Il pensiero di Kostomarov nel dibattito ottocentesco sull’identità ucraina, Aracne, Ariccia (Roma) 2016, pp. 494 e ss.
47) Si veda in proposito il dibattito fra Nikolaj Sergeevič Trubeckoj (1890-1938) e Aleksandr Michajlovič Volkonskij (1866-1934), in Giuseppe Dell’Agata, N.S. Trubeckoj e A.M. Volokonskij: due principi russi e la questione della lingua ucraina, in Scribthair a ainm n-ogaim. Scritti in memoria di E.[nrico] Campanile [1936-1994], 2 voll., Pacini, Pisa 1997, vol. I, pp. 285-304.
48) Mentre viene proibita la pubblicazione di testi scolastici e scientifici, in sintonia con quanto disposto dalla circolare di Valuev, si permette l’edizione di testi letterari: nel 1881, infatti, vengono pubblicate opere di Taras Šečenko (1814-1861), Ivan Nečuj Levic’kyj (1837-1918), Panas Myrnyj (A.[fanasij] Ja.[kovlevič] Rudčenko, 1849-1920), Lesja Ukrainka (Larysa P.[etrivna] Kosač-Kvitka, 1871-1913) e altri.
49) «L’uso dell’ucraino venne eliminato negli ambienti “acculturati”, vari lessicologi vennero fucilati per “errori ideologici” nella compilazione di vocabolari russo-ucraini (dove era proibito inserire lemmi ucraini che non avessero corrispettivi russi). Com’è noto il terrore staliniano ha colpito migliaia di intellettuali e scrittori russi non meno che quelli ucraini. Contro questi ultimi, tuttavia, le persecuzioni ebbero un accanimento motivato da ragioni “nazionali” che erano assai più violente e avevano una carica infamante maggiore di quelle contro tutti gli altri» (O. Pachlovska, Taras Ševčenko. «Lottate e vincerete», in Giovanna Brogi [Bercff] ed Eadem, Taras Sevčenko. Dalle carceri zariste al Pantheon ucraino, Mondadori, Milano 2015, pp. 5-32 (p. 32) e fonti citate. Cfr. altresì il sito web <https://cerkva.kharkov.ua/novini/arkhiv/267.html>. Il 18 novembre 1933 il Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista approva una risoluzione che pone fine alla politica di ucrainizzazione, adottata nell’aprile 1923, in quanto lesiva del principio di unità dell’Unione Sovietica.
50) Sull’argomento cfr. G. Codevilla, Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa, cit., pp. 188-192, 215-217, 485-487 e passim.
51) Cfr. Asia News del 6-4-2022. Sul Kazakistan cfr. il recente intervento di Vladimir Rozanskij, Il Kazakistan rischia di essere un’altra Ucraina, ibid., 31-3-2022.
52) Francesco, Angelus, 3-4-2022.