La condizione in cui versa il piccolo popolo balcanico e i propositi di quanti intendono sostenerlo con un ’efficace opera di denuncia della tragedia prodotta dal regime socialcomunista
A Roma, il 26 novembre 1988
Convegno Internazionale per i Diritti Umani in Albania
Il 12 dicembre 1988 è caduto il terzo anniversario dell’«ingresso» dei sei fratelli albanesi Popa nell’ambasciata italiana di Tirana, dove sono rifugiati appunto dal 12 dicembre 1985 senza che il governo italiano abbia da allora risposto alla loro richiesta di asilo politico né a una petizione inoltrata nel luglio del 1988 dal Comitato per i Diritti Umani in Albania al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri italiani, petizione sottoscritta, con altri, da tutti i vescovi del Salento (1). In un’epoca in cui sui diritti umani si fa tanta retorica, il dramma dei fratelli Popa continua a non «fare notizia», pressoché ignorato dai mass media e dai «professionisti» dei diritti umani. Tra la fine del mese di ottobre e l’inizio del mese di novembre del 1988, La Gazzetta del Mezzogiorno interveniva tangenzialmente sull’argomento scrivendo che il caso Popa ha rallentato l’interscambio commerciale fra Albania e Italia — il maggior partner economico del paese balcanico fra le nazioni occidentali — e ha provocato un periodo di «silenzio gelido» (2) fra le diplomazie dei due Stati. Comunque, secondo lo stesso quotidiano di Bari, l’impasse sarebbe in via di superamento, soprattutto dopo la visita che una delegazione italiana ha compiuto in Albania nell’ottobre del 1988, guidata dal ministro del Lavoro, on. Rino Formica, e composta anche da imprenditori del Sud. Nel corso dei colloqui è stato affrontato il tema della cooperazione economica e si è parlato dell’istituzione di una linea marittima fra Bari e Durazzo allo scopo di intensificare gli scambi commerciali. Si è anche saputo che nel mese di maggio del 1988 è stato firmato a Tirana un importante accordo culturale italo-albanese, confermato dalla conferenza tenuta nel mese di dicembre, all’università di Bari, dal professar Herukan Mara, vicepresidente dell’Accademia delle Scienze di Tirana, sul tema Le relazioni fra Italia e Albania dopo la seconda guerra mondiale. L’attività di Henver Hoxa, nell’ambito dell’incontro fra una delegazione albanese di alto livello, guidata dall’ambasciatore a Roma, Dashnor Dervishi, con l’Università di Bari, con la Regione Puglia, con l’amministraziane comunale del capoluogo pugliese e con operatori economici dell’Associazione Industriali e della Fiera del Levante (3).
Si può certamente credere alla ripresa e all’incremento delle relazioni commerciali italo-albanesi, dal momento che — come testimoniano i profughi che fuggono attraversando il confine con la Grecia oppure con la Jugoslavia — l’Albania è un paese ridotto alla fame. Incredibile riesce però l’ottimismo di alcuni organi di stampa italiani relativamente a una «apertura», all’instaurazione di condizioni di qualche libertà voluta dal successore di Enver Hoxa, cioè dall’attuale presidente della Repubblica Popolare Socialista e segretario generale del Partito del Lavoro Ramiz Alia: infatti, i diritti civili e quelli religiosi rimangono conculcati e i fratelli Popa sono sempre costretti nei due locali dell’ambasciata italiana di Tirana. Anche nell’ipotesi che il regime socialcomunista albanese intendesse giocare — come altri regimi del genere — la carta della restituzione di una certa libertà di culto e di qualche concessione nel campo delle libertà civili, allo scopo di rifarsi un’immagine internazionale e di riconquistare un poco di consenso all’interno, non si può non sottolineare che a tutt’oggi non è accaduto assolutamente nulla in questa direzione, sì che ogni affermazione contraria equivale a dare veste di realtà alle proprie aspettative e dà prova di un ottimismo di dubbia lega.
E appunto intriso da un inspiegabile e quindi sospetto ottimismo è il resoconto del viaggio effettuato in Albania, nel corso del 1988, dal giornalista Francesco Strazzari, redattore della rivista il regno, che si dice «personalmente convinto» che in Albania si stia aprendo un nuovo corso favorevole alla religione, senza portare altre prove, oltre alla sua personale convinzione, che la liberazione, dopo decenni di lavori forzati, di S.E. mons. Nicola Troshani, amministratore apostolico di Durazzo, l’unico vescovo sopravvissuto alla persecuzione del regime (4). Il presule — secondo una testimonianza raccolta dallo stesso giornalista — non può esercitare pubblicamente il ministero: in pratica, gli è stato concesso di celebrare privatamente la messa e di morire a casa! Sembra veramente troppo poco per tanto ottimismo, in un «diario di viaggio» che — significativamente — non dedica una parola ai fratelli Popa (5).
Dunque, mentre il governo italiano si occupa dello sviluppo delle relazioni commerciali e mentre i mass media tacciono oppure selezionano le informazioni, limitandosi a dare corso a quelle rassicuranti e ottimistiche circa il futuro della nazione balcanica, a Roma, sabato 26 novembre, presso la Domus Mariae, sono convenute alcune delegazioni .di profughi albanesi provenienti da diversi paesi occidentali per un incontro internazionaie promosso dal Comitato per i Diritti Umani in Albania,
Presieduto dal dottor Marco Invernizzi, di Alleanza Cattolica, l’incontro si è aperto con una relazione dell’avvocato Gianpaolo Sabbatini, che — a nome della CIRPO-Italia — ha parlato della storia culturale e politica della nazione albanese. Successivamente è intervenuto l’avvocato Ragip Frasheri, profugo albanese residente a Roma, che ha ricordato i legami storici e culturali da sempre esistenti fra Italia e Albania. AI termine ha portato la sua testimonianza Zef Mirakaj, delegato dei rifugiati politici albanesi nello Stato di New York, che ha svolto una relazione sulle persecuzioni subite dal popolo albanese dopo l’instaurazione del regime socialcomunista nel 1944. Internato nel 1948, nel campo di Lushnje, quando aveva solo due anni, con la madre e sedici membri della sua famiglia — a causa della scelta del padre, combattente nella Resistenza anticomunista —,Zef Mirakaj rimane in tale campo fino al 1970, quando riesce a fuggire attraversando a nuoto i cinque chilometri che separano Sarande dall’isola di Corfù.
Ha quindi preso la parola padre Ambroz Martini O.F.M., della Missione Cattolica Albanese in Belgio, che ha denunciato la dura persecuzione religiosa nell’unico Stato al mondo ufficialmente ateo. Successivamente il frate francescano Roberto Cranchi ha portato ai partecipanti all’incontro la solidarietà del Gruppo Assisi ’88, e del suo superiore, fra’ Marco Malagola, di cui ha letto un messaggio con l’annuncio dell’indizione di un «incontro di preghiera e di digiuno» a Torino, il 12 dicembre, «terzo anniversario della “prigionia” dei fratelli Papa».
Sono quindi intervenuti il dottor Lodovik Camuku, della prima generazione di esuli albanesi, attualmente residente a Roma, e il dottor Gjon Gjomarkaj, redattore della sezione albanese di Radio Vaficana, che ha tenuto una relazione sulle condizioni degli albanesi nelle regioni di Kosovo, della Macedonia e del Montenegro e sulla storia della rivendicazione della Kosova Republica da parte della maggioranza della popolazione albanese vivente in quella regione, attualmente parte della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava.
In rappresentanza del Comitato per i Diritti Umani in Albania ha poi parlato Roberto Cavallo, descrivendo le fasi della campagna propagandistica condotta, nelle diverse regioni italiane, a favore dei fratelli Popa; quindi è intervenuto Lino Totaro, della sezione italiana di Amnesty International, che ha letto una relazione sull’opera svolta dalla Circoscrizione Piemonte-Valle d’Aosta di Amnesty International in difesa dei diritti umani in Albania.
A nome degli Albanians for Human Rights, ha quindi preso la parola Zef Margjinaj, combattente della Resistenza anticomunista albanese fino al 1952 e poi profugo in Italia: protagonista di numerose manifestazioni organizzate nel nostro paese da Alleanza Cattolica, dalla CIRPO-Italia e dal Comitato per i Diritti Umani in Albania, a nome di tutti i profughi albanesi ha ringraziato il Comitato promotore del convegno e ha auspicato l’intensificarsi dell’opera di sensibilizzazione dei governi e dell’opinione pubblica internazionale sulla disperata situazione in cui versa il popolo albanese, oppresso dal regime socialcomunista.
Concludendo, il dottor Marco Invemizzi ha indicato tre linee operative per intensificare la battaglia propagandistica a favore della martoriata nazione balcanica: 1. verificare la possibilità di costituire Comitati per i Diritti Umani nei paesi dove esistono comunità di profughi albanesi; 2. organizzare manifestazioni e conferenze e promuovere petizioni, nella consapevolezza che, senza un’adeguata azione di sensibilizzazione e di informazione, essenziale nel mondo contemporaneo, il popolo albanese non potrà riconquistare le libertà perdute; 3. raccogliere nei diversi paesi — come e stato fatto in Italia — adesioni di autorità religiose e sociali al fine di costituire un Comitato Internazionale, che prema sui governi allo scopo di ottenere la liberazione dei fratelli Popa e di tutto il popolo albanese.
Al convegno hanno fatto pervenire messaggi di adesione S.M. il re Leka I degli albanesi; i profughi Ydriz Basha, Isa Elez Ndreu, Lec Shllaku e Kol Mihilli; l’on. Giuseppe Tricoli; il parroco, don Francesco Chidichimo, il vicesindaco, Pietro Smilari, e il presidente d’Azione Cattolica, Costantino Bellusci, di Platanici, località albanese della provincia di Cosenza; Mario Ferrar0 Brasacchio, del Centro Albanese di Lorecchio, in provincia di Crotone; e il dottor Georg Posh, consigliere dell’Ambasciata d’Austria in Italia.
Note:
(1) Cfr. Petizione per la concessione dell’asilo politico ai sei fratelli albanesi Popa, in Cristianità, anno XVI, n. 161, settembre 1988.
(2) La Gazzetta del Mezzogiorno, 25-10-1988.
(3) Cfr. ibid., 19-10-1988; 2-11-1988; 15-12-1988; 16-12-1988 e 19-12-1988; nel corso dei colloqui, i deleganti albanesi hanno «puntato sulla figura del padre dell’Albania socialista, Enver Hoxa, che oltre a predicare la fratellanza fra i popoli e il rispetto reciproco, è stato anche il teorico del “principio di autosufficicinza”» (ibid., 16-12-1988): da parte italiana, è stato «riservato loro il trattamento delle grandi occasioni» e «sono stati ricordati i legami storici che da secoli legano pugliesi e albanesi» (ibidem), ma ai fratelli Popa neppure un accenno, almeno nelle dichiarazioni pubbliche.
(4) Mons. Nicola Troshani, nato nel 1915, è stato ordinato sacerdote nel 1940 e consacrato vescovo nel 1959. Arrestato l’ultima volta nel 1974 con i suoi confratelli S.E. mons. Antonin Fishta e S.E. mons. Ernest Coba, viene con loro internato nei campi di Tepelena e di Ballsh, dove questi moriranno di morte violenta. Secondo la rivista Catacombes, «prigioni e campi di concentramento per i prigionieri politici funzionano in tutta l’Albania: a Spac, Ballsh, Burrel, Tirana, Tarovic, Bulquize, ecc.» (anno XVIII, n. 206-207, novembre-dicembre 1988).
(5) Cfr. FRANCESCO STRAZZARI, Albania: nello stato ateo parlando con la gente, in il regno-attualità, anno XXXIII, n. 601, 15-9-1988.