L’Innominato manzoniano, che ha attraversato la notte e, alla mattina, ha abbracciato il card. Federico Borromeo, ovvero la Grazia
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco nell’udienza del 26 ottobre, «il discernimento, lo abbiamo visto nelle precedenti catechesi, non è principalmente un procedimento logico; esso verte sulle azioni, e le azioni hanno una connotazione affettiva anche, che va riconosciuta, perché Dio parla al cuore. Entriamo allora in merito alla prima modalità affettiva, oggetto del discernimento, cioè la desolazione», uno stato dell’anima descritto negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) come «l’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza, e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste, come separata dal suo Creatore e Signore» (S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 317).
Tutti vorremmo essere sempre felici, ma post peccatum non è sempre possibile. L’eterna felicità non è possibile su questa terra, ma per il Papa questo, «oltre a non essere possibile – perché non è possibile –, non sarebbe neppure un bene per noi. Infatti, il cambiamento di una vita orientata al vizio può iniziare da una situazione di tristezza, di rimorso per ciò che si è fatto. È molto bella l’etimologia di questa parola, “rimorso”: il rimorso della coscienza, tutti conosciamo questo. Rimorso: letteralmente è la coscienza che morde, che non dà pace».
Per illustrare questo passaggio, il Pontefice porge la parola ad uno dei più grandi romanzieri italiani: «Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi, ci ha dato una splendida descrizione del rimorso come occasione per cambiare vita. Si tratta del celebre dialogo tra il cardinale Federico Borromeo e l’Innominato, il quale, dopo una notte terribile, si presenta distrutto dal cardinale, che si rivolge a lui con parole sorprendenti: ““Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?”. “Una buona nuova, io?” – disse l’altro. “Ho l’inferno nel cuore […]. Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova”. “Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo”, rispose pacatamente il cardinale” (cap. XXIII)». L’Innominato, ovvero l’aristocratico Francesco Bernardino Visconti (1579-1647), ha iniziato da tempo a disgustarsi delle sue azioni criminali e, nel corso di una notte “in bianco”, ha sentito risvegliarsi dentro di sé la fede che aveva da bambino. Il momento decisivo è proprio all’alba, quando sente riecheggiare dalla valle lo scampanio festoso che annuncia l’inizio della visita pastorale del card. Borromeo (1564-1631): il conte rinuncia a suicidarsi e decide di seguire quel suono.
«Dio tocca il cuore e ti viene qualcosa dentro, la tristezza, il rimorso per qualche cosa, ed è un invito a iniziare una strada. L’uomo di Dio sa notare in profondità ciò che si muove nel cuore», per questo «è importante imparare a leggere la tristezza. Tutti conosciamo cosa sia la tristezza: tutti. Ma sappiamo leggerla? Sappiamo capire cosa significa per me, questa tristezza di oggi? Nel nostro tempo, essa – la tristezza – è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono». La mentalità dominante rifugge, infatti, le domande fondamentali, che rimangono però nel sottofondo dell’anima. Male interpretata, la considerazione della vanità dei piaceri umani induce spesso al cinismo e, infine, alla così diffusa depressione. «San Tommaso definisce la tristezza un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso (cfr Summa Th. I-II, q. 36, a. 1)», attivando ad una doverosa “profilassi” interna e spingendo, in positivo, a riconquistare la consolazione perduta.
Chi fa il male trova in questo tipo di tristezza, che è di sua natura momentanea, una sosta salutare dalla frenesia del disordine, ma non bisogna dimenticare un altro, pericoloso risvolto. «Per chi invece ha il desiderio di compiere il bene, la tristezza è un ostacolo con il quale il tentatore vuole scoraggiarci», perché può veicolare lo zelo amaro o spingere ad un intimismo rancoroso. «Una regola saggia», coniata ancora una volta da sant’Ignazio (cfr Esercizi spirituali, 318), «dice di non fare cambiamenti quando si è desolati. Sarà il tempo successivo, più che l’umore del momento, a mostrare la bontà o meno delle nostre scelte».
In proposito, «è interessante notare, nel Vangelo, che Gesù respinge le tentazioni con un atteggiamento di ferma risolutezza (cfr Mt 3,14-15; 4,1-11; 16,21-23). Le situazioni di prova gli giungono da varie parti, ma sempre, trovando in Lui questa fermezza, decisa a compiere la volontà del Padre, vengono meno e cessano di ostacolare il cammino. Nella vita spirituale la prova è un momento importante, la Bibbia lo ricorda esplicitamente e dice così: “Se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1)», ma essa viene per rafforzare il nostro proposito, tanto che non si è mai tentati oltre il sopportabile. «San Paolo ricorda che nessuno è tentato oltre le sue possibilità, perché il Signore non ci abbandona mai e, con Lui vicino, possiamo vincere ogni tentazione (cfr 1 Cor 10,13). E se non la vinciamo oggi, ci alziamo un’altra volta, camminiamo e la vinceremo domani», rassicura il Papa, invitando i pellegrini a recitare senza timore il S. Rosario per la pace nel mondo.
Venerdì, 28 ottobre 2022