La solennità di Tutti i Santi è un messaggio per l’oggi, che ci invita a “disarmare” il cuore
di Michele Brambilla
Pregando l’Angelus del 1 novembre, Papa Francesco osserva che «festeggiamo tutti i Santi e potremmo avere un’impressione fuorviante: potremmo pensare di celebrare quelle sorelle e quei fratelli che in vita sono stati perfetti, sempre lineari, precisi, anzi “inamidati”. Invece, il Vangelo di oggi smentisce questa visione stereotipata, questa “santità da immaginetta”», dice il Pontefice a commento delle Beatitudini evangeliche (cfr Mt 5,1-12). In particolare, «prendiamo ad esempio una beatitudine, molto attuale: “Beati gli operatori di pace” (v. 9), e vediamo come la pace di Gesù sia molto diversa da quella che immaginiamo. Tutti desideriamo la pace, ma spesso quello che noi vogliamo non è proprio la pace, è», infatti, «stare in pace, essere lasciati in pace, non avere problemi ma tranquillità». In poche parole, a parlare è ancora una volta il nostro individualismo.
«Gesù, invece, non chiama beati i tranquilli, quelli che stanno in pace, ma quelli che fanno la pace e lottano per fare la pace, i costruttori, gli operatori di pace. Infatti, la pace va costruita e come ogni costruzione richiede impegno, collaborazione, pazienza», il tutto sostenuto dalla Grazia. Un lavoro su se stessi e sugli altri, ricorda il Papa, che è quotidiano e diuturno.
«Ancora, noi siamo portati a credere che la pace arrivi con la forza e la potenza: per Gesù è il contrario. La sua vita e quella dei santi ci dicono che il seme della pace, per crescere e dare frutto, deve prima morire. La pace non si raggiunge conquistando o sconfiggendo qualcuno, non è mai violenta, non è mai armata», perché i trattati sottoscritti dopo una situazione di conflitto non hanno mai guarito le ferite interiori che la guerra ha seminato nelle persone e hanno spesso preparato il terreno per deflagrazioni ancora peggiori.
«Come si fa allora a diventare operatori di pace? Prima di tutto», elenca il Pontefice, «occorre disarmare il cuore. Sì, perché siamo tutti equipaggiati con pensieri aggressivi, uno contro l’altro, con parole taglienti, e pensiamo di difenderci con i fili spinati della lamentela e con i muri di cemento dell’indifferenza; e fra lamentela e indifferenza ci difendiamo, ma questo non è pace, questo è guerra» anche quando non si usano le armi. «E come si smilitarizza il cuore? Aprendoci a Gesù, che è “la nostra pace”(Ef 2,14); stando davanti alla sua Croce, che è la cattedra della pace; ricevendo da Lui, nella Confessione, “il perdono e la pace”», come dice la formula sacramentale.
Un cuore in pace perché pacificato contribuisce, certamente, a “rasserenare il clima” attorno a lui. «Può sorgere però un’ultima domanda, che vale per ogni beatitudine: conviene vivere così? Non è perdente», dato che il “buono” sembra soccombere e il male trionfare? «È Gesù a darci la risposta: gli operatori di pace “saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9): nel mondo sembrano fuori posto, perché non cedono alla logica del potere e del prevalere, in Cielo saranno i più vicini a Dio, i più simili a Lui. Ma, in realtà, anche qui chi prevarica resta a mani vuote, mentre chi ama tutti e non ferisce nessuno vince: come dice il Salmo, “l’uomo di pace avrà una discendenza” (cfr Sal 37,37)», nel senso che verrà sempre ricordato e, per ricostruire, si guarderà continuamente al suo esempio.
Con questo spirito il Papa si appresta a visitare il Bahrein: «chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, perché ogni incontro e avvenimento sia un’occasione proficua per sostenere, in nome di Dio, la causa della fraternità e della pace, di cui i nostri tempi hanno estremo e urgente bisogno».
Mercoledì, 2 novembre 2022