Di Ary Waldir Ramos Díaz da Aleteia del 04/11/2022
Il cardinale Leopoldo José Brenes ha confermato da Roma ad Aleteia che “c’è dialogo” con il Governo del Nicaragua, Paese in cui vari membri della Chiesa cattolica, tra cui il vescovo Rolando Álvarez, sono in carcere. Di fronte alla persecuzione, “la Chiesa lavora silenziosamente”.
“La Chiesa non cerca di farsi propaganda”, ha dichiarato il porporato, arcivescovo di Managua, che ha ricevuto il sostegno di Papa Francesco nel contesto dell’udienza privata concessa alla presidenza del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) e in cui è stato consegnato il documentoHacia una
Iglesia sinodal en salida a las periferias. Reflexiones y propuestas pastorales a partir de la Primera Asamblea Eclesial de América Latina y el Caribe (31.10.2022).
Nell’aereo che lo riportava a Roma dal suo 38° viaggio internazionale in Kazakistan, il Papa ha assicurato che il dialogo con il Nicaragua va avanti, il che “non vuol dire che si approvi tutto quel che fa il Governo o che si disapprovi tutto”. “C’è bisogno di risolvere dei problemi”. Il Pontefice è al corrente della persecuzione nei confronti di sacerdoti e religiose, e non capisce che danno abbiano fatto le suore di Madre Teresa perché si impedisca loro di tornare in Nicaragua. Ha anche ritenuto “una cosa grave diplomaticamente” l’espulsione, nel marzo scorso, del nunzio apostolico, Waldemar Sommertag, che tre anni fa aveva partecipato ai negoziati tra opposizione e Governo.
Papa Francesco ha denunciato che la persecuzione dei cristiani oggi è maggiore che nei primi secoli di cristianesimo. Come si leggono queste parole nel contesto di quello che vive la Chiesa in Nicaragua?
Credo che faccia parte della vita della Chiesa. Casualmente, un cristiano un giorno mi si è avvicinato e mi ha detto: “Monsignore, nel Credo della Chiesa si parla di quattro proprietà: credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Ma ne manca una”. “Qual è quella che manca?”, ho chiesto. “Perseguitata”, ha risposto. Il Santo Padre ci ricorda costantemente che la persecuzione dei cristiani è oggi superiore a quella dei primi secoli. Non possiamo dire di no. Penso che la Chiesa sarà in un modo o nell’altro sempre perseguitata, non solo a livello politico, a livello ideologico, di competenze. Anche gli apostoli hanno subìto persecuzione, ma non per questo hanno smesso di annunciare il Vangelo. Di fronte alle situazioni che possiamo affrontare, dobbiamo andare avanti annunciando il Vangelo.
Il Papa dice che la vera comunicazione avviene con quelli che non la pensano come noi. Come sta applicando questa posizione del Pontefice nel dialogo con il Governo attuale in Nicaragua?
Dobbiamo sempre annunciare il Vangelo, indistintamente. Credo che dobbiamo andare avanti sempre, in modo opportuno o meno. Personalmente, dico che non dobbiamo accontentarci di fare una pubblicazione (denuncia), ma come cattolici dobbiamo assomigliare a Gesù. […] Con la testimonianza nella nostra vita, gli altri devono scoprire che siamo davvero cristiani, che siamo cattolici e che Cristo è nel nostro cuore.
E allora la testimonianza della nostra vita dev’essere offerta non solo a parole, ma con i nostri atteggiamenti. Credo che spesso ci manchi proprio questo. Come sono i nostri atteggiamenti? È questo che dobbiamo chiederci.
Il clero è spesso perseguitato in Nicaragua, e il vescovo Rolando Álvarez è ancora in carcere. Come portare avanti il tema del dialogo in questa situazione?
La Chiesa lavora silenziosamente. Non cerca di farsi propaganda, assolutamente, ma va avanti, come le formiche, e credo che sia un lavoro che si sta facendo a poco a poco perché ogni dialogo abbia frutto. E come dico sempre, il dialogo non inizia un giorno e termina in un altro. Il dialogo dev’essere una parte permanente, chiedendo allo Spirito Santo di illuminarci. Come possiamo andare avanti e come fare meglio le cose.
Il lavoro che la Chiesa sta compiendo in Nicaragua, come dice lei, è silenzioso ma operante, tuttavia a volte agli occhi del mondo il silenzio è male interpretato o considerato infruttuoso…
Sì, credo che a volte la gente voglia che entriamo in conflitto, e soprattutto, con tutto il rispetto per te come giornalista, i giornalisti ci pressano perché ci sia uno scontro, ma la Chiesa non è per lo scontro. Piuttosto, è propositiva e lavora piano, sempre ispirata dallo Spirito Santo. Sento che lo Spirito Santo sa condurre le cose. La Chiesa non la gestiamo noi vescovi, né il sacerdote. La Chiesa è gestita dallo Spirito Santo, che sa lavorare. A volte, però, vogliamo lavorare come lavora il mondo. E la Chiesa non lavora con gli schemi mondani, ma con quelli dello Spirito Santo. Paolo VI lo ha detto: “Dopo la Pentecoste, la Chiesa è nelle mani dello Spirito”. Se la Chiesa fosse in mano agli uomini, penso che avremmo già rovinato tutto.
In Matteo 10, 16, Gesù avverte i discepoli: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. Come lo applica alla sua vita spirituale?
Il Papa dice che non dobbiamo pregare a vuoto, né recitare preghiere molto lunghe, ma brevi come la giaculatoria, che è una preghiera o un’invocazione breve. Io da anni chiedo al Signore: “Fa’ che sia fedele, umile e testimone del tuo amore!” Gli apostoli hanno chiesto un giorno a Gesù: “Aumenta la nostra fede”. Dobbiamo pregare come gli apostoli: “Insegnaci a pregare”.
Credo che dobbiamo chiedere al Signore di aumentare la nostra fede. Cristo chiede: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18, 1-8). In un’occasione, Papa Benedetto XVI ha affermato che per avere fede serve umiltà. Quanto è bello quel testo che recitiamo in genere quando celebriamo la festa di San Francesco e Santa Chiara: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo
(11, 25-27). I saggi di oggi, che si vantano del fatto di aver conseguito una laurea o un dottorato all’università, spesso perdono l’umiltà della semplicità e non sono capaci di scoprire il messaggio, la rivelazione del Signore”.
Può condividere un esempio concreto di modo di intendere umilmente la rivelazione?
Mi colpisce la testimonianza dei delegati della Parola, i contadini, gente che forse non ha studiato ma ha un’esperienza di Gesù. Credo che l’importante sia poter avere un’esperienza personale, intima e profonda di Cristo. In questi giorni rendevo grazie al Signore e lo condividevo con la gente. Mia madre è morta un mese fa, e ringrazio Dio per avermi dato una madre che mi ha educato nei valori, nella fede, e non solo a parole, ma con la testimonianza della sua vita. Nei contadini trovo una testimonianza meravigliosa. C’era un ragazzo che a 22 anni voleva entrare in seminario, ma aveva solo la seconda elementare. Gli ho detto: “Voglio chiederti una cosa. Ti porterò in seminario, ma non perdere mai l’innocenza del tuo essere contadino”. Ora è vicario generale di una diocesi. Per me è un valore grande, una testimonianza nella mia vita, vedere che mantiene l’umiltà e la semplicità del suo essere contadino.