Di Giulio Meotti da Il Foglio del 05/11/2022
Roma. Da attivista contro il cambiamento climatico a militante contro il capitalismo “razzista”: è l’evoluzione di Greta Thunberg, che sembra aver calato le carte e svelato il vero volto dell’ambientalismo ideologico. Greta ha annunciato che oltre ad affrontare la sua solita area di azione per il clima, ora si deve cercare la sconfitta del sistema capitalista “opprimente” dell’occidente. Chiedendo una “trasformazione a livello di sistema” al lancio londinese del suo libro The climate book (in Italia Mondadori), Greta ha affermato che l’attuale “normalità” del mondo – dettata chi detiene il potere – ha causato il crollo climatico. “Non torneremo mai più alla normalità perché ‘normale’ era già una crisi. Ciò che chiamiamo normale è un sistema estremo costruito sullo sfruttamento delle persone e del pianeta. E’ un sistema definito dal colonialismo, dall’imperialismo, dall’oppressione e dal genocidio del cosiddetto nord globale per accumulare ricchezza che ancora modella il nostro attuale ordine mondiale”. Michael Shellenberger, l’autore americano di L’apocalisse può attendere (Marsilio), le ha risposto su Twitter che “l’intero sistema capitalista” cui si riferisce Thunberg ha portato a eccedenze alimentari maggiori che in qualsiasi momento della storia e l’aspettativa di vita è aumentata ovunque. “Non andrò alla Cop27 per molte ragioni”, ha detto Greta. La conferenza di quest’anno si terrà dal 6 al 18 novembre a Sharm el Sheikh, in Egitto. “Certo, è molto simbolico che si tenga in un centro turistico – un paradiso turistico – in un paese che viola la maggior parte dei diritti umani fondamentali – e molti leader mondiali sono troppo occupati per andarci”, ha aggiunto Greta.
E pensare che appena tre anni fa Greta veleggiava verso il Palazzo di vetro a New York con il catamarano “Malizia II” di Pierre Casiraghi, sponsorizzato da Rolex, Credit Suisse, Hermès, il gruppo di lusso Lvmh, Bmw e altri esecrati simboli del capitalismo oppressore. Senza considerare che “We Don’t Have Time”, il grande strumento di pressione sull’opinione pubblica internazionale che ha lanciato Greta, è sostenuto da Gustav Stenbeck, la cui famiglia controlla Kinnevik, una delle più grandi corporation svedesi. Sempre alla faccia del brutto capitalismo razzista.
Già due anni fa, in Why we strike again, l’ambientalista svedese aveva scritto: “La crisi climatica non riguarda solo l’ambiente. I sistemi di oppressione coloniale, razzista e patriarcale l’hanno creata e alimentata. Dobbiamo smantellarli tutti”. L’attacco di Greta sembra uscito dai cori scanditi all’ultima Cop26. “Cosa vogliamo? Giustizia di genere! Quando la vogliamo? Ora!”. C’è chi indossava magliette con slogan a prova di satira: “La liberazione trans non binaria è eco-giustizia!”. L’Independent, il giornale della sinistra inglese, titolava: “La mascolinità tossica è la ragione per cui ci sono così tanti uomini esitanti sul clima?”.
Sembra di leggere Mass Death Dies Hard, il saggio in cui il compianto critico culturale australiano Clive James definiva la campagna sul global warming come un “animus rivoluzionario contro la democrazia liberale”, un “abracadabra” il cui vero scopo è quello di “creare un governo mondiale che assicurerà quella che Robert Mugabe definisce la giustizia climatica”.