Di Vincenzo Mannino da Il Foglio del 15/11/2022
La lettera inviata alle studentesse e agli studenti il 9 novembre dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, per evocare il ruolo della caduta del Muro di Berlino come momento altamente significativo dell’aspirazione alla libertà delle donne e degli uomini nel mondo, ha suscitato un ampio dibattito. Sono emerse anche accentuazioni critiche. Soprattutto i rilievi si sono appuntati sull’enfatizzazione data alla tragicità dell’esperienza del comunismo in collegamento alla caduta del Muro. In particolare, si è insistito sul fatto che la lettera non farebbe riferimento al 9 novembre pure come giornata mondiale contro il fascismo e l’antisemitismo (il 9 novembre è anche l’anniversario della violenza nazista della Notte dei cristalli). Deve sottolinearsi che la lettera nella sua struttura e nelle finalità facilmente percepibili appare del tutto conforme allo spirito della legge n. 61 del 15 aprile 2005, con cui il Parlamento italiano ha istituito il “Giorno della Libertà”, “quale ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. La legge ha altresì precisato l’esigenza di organizzare nelle scuole “cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento” il cui focus sia la riflessione sul significato dell’abbattimento del Muro e di ciò che esso ha rappresentato, allo scopo di illustrare il valore della democrazia e della libertà, assumendo quell’evento come emblema per la condanna degli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti: quindi, anche di altri regimi come quelli fascisti e/o segnati da antisemitismo che hanno prodotto effetti simili al comunismo.
E’ di fronte a queste chiare premesse che bisogna valutare la lettera di Valditara. Non vi è dubbio che quanto egli scrive risulta conforme al dettato normativo e sia ineccepibile dal punto di vista storico. La lettera offre la sintetica ricostruzione del significato di ciò che è accaduto nel 1989 con la caduta dei regimi dell’Europa centro-orientale e dell’Unione sovietica, caduta che ha segnato la fine dell’esperienza del “socialismo reale” e la crisi dell’ideologia comunista così come si era affermata a seguito della Rivoluzione d’ottobre in Russia. Il testo non indulge in polemiche: si limita a ricordare i fatti e distingue correttamente il racconto di ciò che è accaduto dalle possibili interpretazioni. Collega la caduta del Muro al rifiuto dell’esperienza del comunismo, sottolineando che quest’ultima continua a segnare negativamente la storia di diversi paesi nel mondo sul versante della democrazia e della libertà nelle sue diverse declinazioni. Su questa esperienza fallimentare la storiografia internazionale ha fatto abbondantemente luce. Nel suo ultimo libro Memoria e Identitàpubblicato nel 2005, Giovanni Paolo II ha emblematicamente delineato dall’altezza del suo magistero, con grande lucidità, un quadro crudo e realistico del comunismo, dei suoi aspetti dispotici e violenti che hanno condizionato pesantemente le esistenze di milioni di persone. Il ruolo assegnato da Valditara alla caduta del Muro e alla fine della Guerra fredda è wertfrei: come direbbero i tedeschi, libero dai valori. La lettera punta a porre l’accento sull’esigenza anche nella scuola di un approfondimento dei nessi causali che caratterizzano gli avvenimenti storici. Essa tratteggia le conseguenze nefaste dell’ideologia comunista sul piano della libertà individuale e sociale nelle scelte compiute dai regimi comunisti, senza affatto escludere, come si è invece voluto maliziosamente far credere, l’ampliamento valutativo in sede di commemorazione degli effetti ugualmente nefasti di altri totalitarismi passati e presenti, assumendo, però, come indicato dalla legge del 2005, la caduta del Muro di Berlino a simbolo storico. Sorge legittimo, perciò, il sospetto che forse è proprio l’equiparazione del comunismo agli altri totalitarismi ad avere disturbato chi ha contestato il tenore della lettera, dimenticando che compito delle istituzioni scolastiche è anche quello di educare i giovani alla ricerca e al giudizio storico “senza presupposti”. Fare i conti con il nostro passato è la condizione per affrontare consapevolmente le sfide del futuro e questo è il compito dei “buoni maestri”.