Di Matteo Matzuzzi da Il Foglio del 22/11/2022
Roma. La “questione tedesca” è seria e a confermalo è il comunicato congiunto diffuso venerdì sera dalla Sala Stampa della Santa Sede. Nessuno spazio alla prudenza diplomatica, ma la certificazione che gli argomenti di confronto e discussione sono tanti e che la soluzione è tutt’altro che a portata di mano. I vescovi della Chiesa tedesca erano a Roma per la visita ad limina che di norma si compie ogni cinque anni: si incontra il Papa e i responsabili del governo vaticano. Si tratta di appuntamenti rituali, ma in questo caso il “Cammino sinodale tedesco” necessitava di qualche approfondimento in più. Intanto, nella riunione con alcuni capi dicastero di curia, il segretario di stato Pietro Parolin ha – si legge – “accennato alle preoccupazioni che il Cammino sinodale suscita, indicando il rischio di ‘riforme della Chiesa e non nella Chiesa’”. Quindi, si ha una prima conferma che in Vaticano c’è (eccome) preoccupazione per certe derive al di là delle Alpi. Successivamente, recita il comunicato, i cardinali Luis Ladaria e Marc Ouellet (responsabili per la Dottrina della fede e per i Vescovi) “sono entrati con franchezza e chiarezza in merito alle preoccupazioni e alle riserve relative alla metodologia, ai contenuti e alle proposte del Cammino sinodale, proponendo, a beneficio dell’unità della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice, che le istanze sin qui emerse si inseriscano nel Sinodo della Chiesa universale”. Quindi, “è emersa l’importanza e anche l’urgenza di definire e approfondire alcune delle tematiche evidenziate, ad esempio quelle riferite alle strutture della Chiesa, al ministero sacro e all’accesso a esso, all’antropologia cristiana, ecc”. Un accenno, poi, alla “consapevolezza dell’indisponibilità di alcuni temi”, tant’è che “sono state avanzate alcune proposte, come quella di applicare una moratoria al Cammino sinodale tedesco, che non ha trovato spazio, e quella di favorire un supplemento di riflessione e di ascolto reciproco alla luce delle perplessità emerse”. Se la proposta di sospendere il percorso sinodale tedesco avanzata dal cardinale Ouellet non ha riscosso pareri favorevoli, si è stabilito di continuare a dialogare nei prossimi mesi. Fin qui il comunicato ufficiale.
Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Georg Bätzing, che ha il pregio di esprimere sempre con chiarezza il suo pensiero, ha aggiunto particolari che fanno comprendere la posta in palio, che poi è sempre quella: la Chiesa in Germania chiede cambiamenti radicali che Roma non è disposta a concedere. Sul sacerdozio femminile, ad esempio, il numero uno dei vescovi tedeschi ha detto che “l’opinione del Vaticano è molto chiara, la questione è chiusa. Ma la questione esiste e dovrà essere discussa”. Lo stesso vale per l’approccio con l’omosessualità e il celibato sacerdotale. “Molte donne giovani dicono che una Chiesa che rifiuta tutto questo non può essere la loro Chiesa”, ha spiegato Bätzing sabato. La contestazione mossa dai vescovi tedeschi nella loro quasi totalità – i contrari alla china presa dal Cammino sinodale si contano sulle dita di una mano, non di più – è proprio al fatto che per Roma certi temi non possano essere discussi. Il leader della Conferenza episcopale assicura che nessuno vuole lo scisma, “la Chiesa in Germania non sta andando per la sua strada e non prenderà decisioni che sarebbero possibili solo in un contesto ecclesiale universale. Ma la Chiesa in Germania vuole e deve dare risposte alle domande che i fedeli si pongono”. Il Papa ha accolto i vescovi tedeschi e ha conversato con loro per due ore, ascoltando e rispondendo alle osservazioni mosse, chissà se anche a quella che Bätzing ha fatto rammaricandosi che nella lunga lettera al Popolo di Dio in cammino in Germania del giugno 2019 Francesco non abbia menzionato la crisi relativa agli abusi sessuali, che sarebbe poi la ragione fondante del Sinodo locale. “Si è discusso di tutto, di come l’evangelizzazione può essere efficace dinnanzi alla sfida di una società secolarizzata”, ha chiarito il capo dell’episcopato, evidenziando il punto centrale di tutto quanto sta accadendo da ormai quattro anni: “Vogliamo essere cattolici in un modo diverso”. Il Pontefice, tornando dal Bahrein, ha detto di desiderare in Germania una Chiesa cattolica, non un’altra chiesa protestante, e al di là della battuta l’orientamento è ben chiaro. Il cardinale Reinhard Marx, vero ispiratore del Cammino tedesco, è meno diretto del confratello Bätzing, cercando di smussare un po’ gli angoli: a suo giudizio, ha detto a San Paolo fuori le Mura, “non c’è bisogno di rompere con il passato. Al contrario, dobbiamo avere il coraggio di iniziare qualcosa di nuovo alla luce della tradizione e portare con noi il tesoro del passato. Ma soprattutto dobbiamo guardare avanti”. E, dato il contesto, ha aggiunto che “Paolo stesso aveva un potenziale rivoluzionario e pensava in modo inclusivo”.
I colloqui in Vaticano non hanno portato a una soluzione, benché – e ciò è stato sottolineato positivamente dal lato tedesco – il fatto che la curia abbia deciso di discutere punto per punto i dossier aperti ha quantomeno contribuito ad avvicinare le parti. Ma solo un po’. La Chiesa in Germania fa sul serio e l’ha fatto capire innanzitutto al Papa. Roma, dal canto suo, cercherà di “diluire” le istanze tedesche nel grande Sinodo universale sulla sinodalità la cui conclusione – e non è un caso – è stata spostata di un anno, all’autunno del 2024. Sotto la regia dei cardinali Jean-Claude Hollerich (moderatamente ben disposto verso le tesi tedesche) e Mario Grech. L’obiettivo, insomma, è di far confluire le proposte del Cammino tedesco nel paniere globale che si annuncia particolarmente ricco. Il sentore è che, cassata sul nascere la proposta di moratoria, i tentativi vaticani di cristallizzare la situazione non saranno destinati ad andare a buon fine.