Sono diversi i popoli nel mondo che lottano per rimanere liberi. Una straordinaria lettera di Papa Francesco al popolo ucraino, che «resiste e spera», illumina le pene anche di altri popoli, come quello cinese e iraniano, testimoni dell’esistenza di chi è ancora capace di sacrificarsi per un bene più grande
di Marco Invernizzi
Le rivolte popolari in Cina sono una buona notizia: non saranno rivolte politiche, come spiegano gli esperti, ma sono comunque espressione di un distacco dal regime comunista da parte di molte persone. Sono legate all’imposizione di un lockdown disumano nei confronti del Covid-19, ma alcuni articoli (Guido Santevecchi, Corriere della Sera, 29 novembre) raccontano di certi slogan, come «Abbasso il partito comunista» o «Xi Jinping dimissioni», che fanno sperare che stia emergendo una nuova consapevolezza politica.
Comunque emerge la differenza sostanziale fra un regime totalitario e uno libero, perché in quest’ultimo i governi possono essere cambiati, orientando diversamente il consenso, mentre nei primi ogni cambiamento non avviene mai in modo pacifico.
Sempre da quella parte del mondo arriva una notizia che non ha avuto molta eco, ma che merita una riflessione: la condanna (lieve) del card. Joseph Zen Ze-kiun, uno dei più grandi testimoni della resistenza del popolo di Hong Kong contro la violenza del regime cinese. Secondo padre Gianni Criveller, sinologo e missionario del Pime, il Pontificio Istituto delle Missioni Estere, le autorità filocinesi che oggi governano Hong Kong hanno voluto chiudere al più presto, e con una condanna lieve (circa 500 euro), una situazione che rischiava di diventare imbarazzante per loro. Lo stesso cardinale ha dichiarato di non sentirsi condannato perché prelato della Chiesa, ma in quanto testimone delle battaglie per la libertà del movimento democratico, unitamente agli altri attivisti che sono stati condannati con lui. In gioco a Hong Kong è la libertà politica di un popolo intero, la cui resistenza è peraltro guidata soprattutto da cristiani.
Un altro popolo che va sostenuto con la preghiera e con ogni altro aiuto utile alla sua resistenza contro l’invasione dell’esercito russo è quello ucraino. Lo ha fatto Papa Francesco il 25 novembre con una lettera di straordinaria sensibilità, rivolta a questo «popolo audace e forte, un popolo che soffre e prega, piange e lotta, resiste e spera: un popolo nobile e martire».
Il Santo Padre si è rivolto, nel novantesimo anniversario dell’Holodomor, il genocidio perpetrato contro il popolo ucraino nel 1932 dal regime sovietico, a tutte le componenti della popolazione ucraina: ai «giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro; penso a voi, mogli, che avete perso i vostri mariti e mordendo le labbra continuate nel silenzio, con dignità e determinazione, a fare ogni sacrificio per i vostri figli; a voi, adulti, che cercate in ogni modo di proteggere i vostri cari; a voi, anziani, che invece di trascorrere un sereno tramonto siete stati gettati nella tenebrosa notte della guerra; a voi, donne che avete subito violenze e portate grandi pesi nel cuore; a tutti voi, feriti nell’anima e nel corpo».
Mentre la libertà viene usata in Occidente per rivendicare diritti che non hanno alcun riferimento nella natura dell’uomo, le libertà autentiche e concrete vengono difese con fierezza ed eroismo da uomini e popoli che hanno saputo trovare il coraggio di combattere e morire, come in Ucraina, o di testimoniare fino al sacrificio della vita e certamente della libertà, come in Cina, a Hong Kong e anche in Iran. Non dimentichiamo questi uomini e questi popoli, che ci dimostrano come ci sia chi è ancora capace di sacrificarsi per qualcosa di più grande di sé stesso.
Mercoledì, 30 novembre 2022