Durissimo monito del Papa nei confronti della mormorazione ecclesiale, che rialza la testa cercando di rinfocolare uno scontro interno mai sopito
di Michele Brambilla
I media laicisti (supportati, come sempre, da volenterose “quinte colonne” interne alla Chiesa) hanno ripreso a soffiare sulle divisioni del mondo cattolico, decontestualizzando stralci delle memorie dei collaboratori di Benedetto XVI e/o paventando fantasmagorici “complotti” ai danni del Pontefice regnante. L’Angelus per la festività del Battesimo del Signore, l’8 gennaio, serve quindi a Papa Francesco per ribadire alcuni punti fermi su come la Chiesa deve parlare di se stessa, riflettendo sul fatto che, con il battesimo nel Giordano, Gesù espone la sua “linea editoriale”.
«Oggi celebriamo la Festa del Battesimo del Signore e il Vangelo ci presenta una scena stupefacente: è la prima volta», infatti, «che Gesù appare in pubblico dopo la vita nascosta a Nazaret; arriva sulla riva del fiume Giordano per farsi battezzare da Giovanni (Mt 3,13-17). Era un rito con cui la gente si pentiva e s’impegnava a convertirsi». Cristo è senza peccato, tuttavia decide di iniziare il suo ministero pubblico mettendosi in coda con i peccatori e adempiendo, così, ogni giustizia (Mt 3,15), come dice al cugino, san Giovanni Battista.
«Noi tante volte abbiamo un’idea ristretta di giustizia e pensiamo che essa significhi: chi sbaglia paga e soddisfa così il torto che ha compiuto». Le indiscrezioni giornalistiche di questi giorni sembrano voler fomentare proprio uno spietato redde rationem tra membri dello stesso Corpo mistico, «ma la giustizia di Dio, come la Scrittura insegna, è molto più grande: non ha come fine la condanna del colpevole, ma la sua salvezza, la sua rinascita, il renderlo giusto: da ingiusto a giusto. È una giustizia che viene dall’amore, da quelle viscere di compassione e di misericordia che sono il cuore stesso di Dio», non dallo zelo amaro. Questo perché «Egli è venuto ad adempiere la giustizia divina, che è quella di salvare i peccatori; è venuto per prendere sulle proprie spalle il peccato del mondo e discendere nelle acque dell’abisso, della morte, così da recuperarci e non farci annegare». Francesco lo dice citando proprio Benedetto XVI: «Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all’abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto» (Omelia, 13 gennaio 2008). Non è la prima volta che il Papa cita Ratzinger, ma in questo caso suona proprio come una risposta a coloro che puntano ancora a equivocare il rapporto tra i due e a volerli dividere.
Guardando a Gesù, «noi pure, discepoli di Gesù, siamo chiamati a esercitare in questo modo la giustizia, nei rapporti con gli altri, nella Chiesa, nella società: non con la durezza di chi giudica e condanna dividendo le persone in buone e cattive, ma con la misericordia di chi accoglie condividendo le ferite e le fragilità delle sorelle e dei fratelli, per rialzarli. Vorrei dirlo così: non dividendo, ma condividendo. Non dividere, ma condividere» nel senso di collaborare in perfetta comunione. «Facciamo come Gesù: condividiamo, portiamo i pesi gli uni degli altri invece di chiacchierare e distruggere, guardiamoci con compassione, aiutiamoci a vicenda», senza dimenticare un sano esame di coscienza sul nostro modo di abitare gli ambienti ecclesiali.
Lunedì, 9 gennaio 2022