Sarebbe auspicabile che il mondo pro-life smettesse di inseguire le interessate divisioni favorite da media poco responsabili e invece cercasse l’unità anche riguardo alla dottrina dell’azione
di Marco Invernizzi
Ci sono giornali che vivono delle polemiche che riescono a suscitare, senza preoccuparsi delle conseguenze provocate dalle divisioni successive alle polemiche innestate. Un caso tipico ha riguardato la contrapposizione fra i due Pontefici, l’emerito e il regnante, nonostante i due, pure diversissimi fra loro, abbiano trascorso dieci anni a scambiarsi reciproci attestati di stima e fedeltà.
Qualcosa del genere sta avvenendo nel mondo pro-life a proposito della legge 194. Che la legge che ha legalizzato l’aborto a certe condizioni sia una legge ingiusta è fuori da ogni dubbio, perché ogni legge che non protegge l’innocente e non ne afferma il diritto all’esistenza di per sé è iniqua e ingiusta. Che questa legge sia “moderata” rispetto a quelle in atto in altri Paesi occidentali è pur vero, ma non la fa diventare una buona legge, semmai suggerisce di non mettere mano a un tentativo parlamentare di modifica che potrebbe farla diventare ancora peggiore. Qualcuno potrebbe correttamente fare notare che il nuovo Parlamento insediatosi dopo le elezioni del 25 settembre dello scorso anno ha espresso una maggioranza parlamentare in teoria favorevole a posizioni pro-life. In verità non è così: l’ordine del giorno che afferma come la legge 194 non debba essere “toccata”, approvato da tutte le forze politiche, con pochissime eccezioni, pochi giorni fa, dimostra che, nonostante l’esito delle ultime elezioni, l’Italia rimane un Paese con una maggioranza “culturale” abortista, a conferma del risultato del referendum del 1981, quando solo il 32% dei votanti si espresse per l’abrogazione della 194. Non ci vuole molto a capire che la maggioranza parlamentare non è “il potere”, come superficialmente qualcuno pensa, e soprattutto questa maggioranza non ha la forza per cambiare la mentalità dell’opinione pubblica.
E allora? E’ tutto perduto? Tutto questo autorizza ad attaccare il governo e il ministero per la famiglia più favorevole alla vita che ci sia mai stato nella storia della Repubblica da quando il tema aborto è diventato centrale?
Il punto è che se si è convinti che la battaglia pro-life è anzitutto una battaglia culturale, cioè che deve sforzarsi di convincere una maggioranza abortista a rivedere le proprie posizioni, è sbagliato insistere soltanto sul punto più divisivo dello scontro, appunto quello relativo alla 194. Infatti, se il problema è culturale prima che politico, bisogna anzitutto rendere centrali nel dibattito pubblico tutti quei temi inerenti alla vita che per decenni sono stati oscurati: il suicidio demografico, il valore sociale della maternità, l’amore per la vita in ogni momento dell’esistenza (e quindi l’attenzione per le cure palliative, sulle quali il governo in carica ha già concretamente invertito la rotta rispetto ai precedenti) e tanti altri aspetti della promozione della vita che la maggioranza della popolazione assolutamente ignora.
Il problema che si pone oggi riguarda come operare per affermare il diritto alla vita del concepito in un Paese come il nostro, dove vige una legge abortista dal 1978, confermata da un referendum popolare del 1981. Una certezza che non si deve mai dimenticare è che i cambiamenti culturali non possono essere imposti con interventi legislativi, anche se è vero che la legge crea costume, soprattutto sulla lunga distanza. Il volere indurre il cambiamento della società solo dall’alto è un errore che ha gravato sulla mentalità delle persone di destra per decenni e ha anche suggestionato in diverse occasioni lo stesso mondo cattolico, quasi che una cristianità possa essere costruita dal potere e non realizzata dal “basso”, a partire dalla conversione e dallo sviluppo della società.
Bisogna allora esercitare la virtù politica per eccellenza, la prudenza, che ci chiede di scegliere i mezzi adatti al raggiungimento dello scopo e a riflettere su un’adeguata dottrina dell’azione, certamente prevedendo come meta una legislazione favorevole alla vita. Ma la meta è la speranza per un futuro migliore, mentre il presente è quello che è nella realtà di oggi: un mondo diviso e confuso, dominato dal relativismo, che per convertirsi ha bisogno di vedere l’unità di tutti quelli che in qualche modo sono sensibili al diritto alla vita, senza inutili, sterili e tossiche polemiche che fanno soltanto male a tutti (e forse, mi auguro, non aiutano neppure le vendite o i like).
Lunedì, 30 gennaio 2023