Bisogna essere miti come l’Agnello di Dio, perché la nostra difesa più efficace viene proprio da Lui
di Michele Brambilla
Come ricorda lo stesso Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale del 15 febbraio, «evangelizzare non è dire: “Guarda, blablabla”», ma «tutta la persona è coinvolta con questo di proclamare il Vangelo, e per questo parliamo di passione di evangelizzare».
Proprio perché è un atto che ci coinvolge interamente, «anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì», ribadisce il Papa, per il quale l’evangelizzazione «non si impara in un’accademia: no! Incomincia dall’incontro con il Signore. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui – mi porto io e non Lui –, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con Lui. Uno che non sta con Lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo». Ad ogni modo, «notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana», non è qualcosa di distinto e progredisce passo dopo passo.
Si predica il Vangelo «perché gratuitamente io ho ricevuto e devo dare gratuitamente. L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito». Una via pulchritudinis che origina dallo stesso cuore della predicazione, Gesù. «Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Ma, non dimenticatevi mai di questo: Dio sempre è stato vicino al popolo, Lui stesso lo disse al popolo. Disse così: “Guardate, quale Dio è vicino alle Nazioni come io sono vicino a voi?”. La vicinanza è una delle cose più importanti di Dio. Sono tre cose importanti: vicinanza, misericordia e tenerezza», che sono la prassi di Dio nei confronti del suo popolo fin dai Patriarchi della Genesi.
Come possiamo annunciare questo Emmanuele (Dio-con-noi)? «Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: “Io vi mando come pecore in mezzo a lupi” (Mt 10,16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci», dice Francesco ridimensionando, apparentemente, non solo l’importanza dell’apologetica, ma anche di un qualsiasi tentativo di reazione organizzata. Infatti, «se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello», immagine dello stesso Cristo.
Il Santo Padre ribadisce il concetto dicendo che «un Padre della Chiesa scriveva: “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli” (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che Lui sia il mio pastore e Lui non è pastore di lupi, è pastore di agnelli, miti, umili», che non devono mai e poi mai utilizzare gli stessi metodi dei lupi per controreplicare. Questo non vuol dire che si debba essere remissivi, infatti subito dopo il Papa richiama l’esempio dei santi Cirillo e Metodio, festeggiati giusto il 14 febbraio, che risposero per le rime alle accuse di conti ed arcivescovi invidiosi, ma si difesero unicamente con la forza della parola.
Gioedì, 16 febbraio 2023