Solo poche testate cattoliche hanno denunciato, in Europa, l’ingiusto processo subito dal vescovo di Managua. Il Papa, il 12 febbraio, ha rotto il muro del silenzio parlandone pubblicamente durante l’Angelus domenicale. Un elogio spetta anche all’arcivescovo di Vilnius, che ha protestato a nome delle conferenze episcopali europee
di Stefano Nitoglia
Nel silenzio pressoché totale dei media italiani e internazionali, con l’eccezione di qualche testata cattolica, si sta consumando il dramma della persecuzione della Chiesa cattolica in Nicaragua.
L’11 febbraio scorso, nella ricorrenza delle apparizioni della Madonna a Lourdes, il vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando Alvarez, è stato condannato alla pena di 26 anni di carcere e alla perdita della cittadinanza nicaraguense per essersi rifiutato di andare in esilio negli Stati Uniti insieme ad altre 222 persone, sacerdoti, seminaristi, oppositori politici o semplici critici del regime. Nella sentenza il prelato è stato definito «un traditore della patria».
Il vescovo è accusato di «cospirazione per minare l’integrità nazionale e propagazione di notizie false attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense». Il processo doveva iniziare il 15 febbraio, ma è arrivata incredibilmente prima la sentenza, come detto. Nei giorni precedenti quattro sacerdoti cattolici, due seminaristi e un diacono della diocesi di Matagalpa, arrestati insieme al vescovo, erano stati condannati a 10 anni in un processo non pubblico e con accuse non provate.
Il presidente del Nicaragua, il tristemente noto Daniel Ortega (cfr. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, 2 ottobre 2022), parlando alla televisione nazionale, ha affermato che il vescovo è in carcere per «terrorismo». La “vocazione” rivoluzionaria di Daniel Ortega nacque nell’ambito del progressismo cattolico, durante gli studi al collegio dei Gesuiti di Managua, dove si formò l’intera generazione che combatté contro la dittatura dei Somoza. Questa sua formazione “catto-comunista” (nel 1979 la giunta sandinista, arrivata al potere e diretta da Ortega, giurò nelle mani dell’allora vescovo di Managua) l’ha mantenuta fino ad oggi. Ortega, in realtà, non ha digerito il sostegno che le Chiese hanno dato alle proteste dell’opposizione nel 2018 e, proprio per questo, accusa vescovi e sacerdoti di essere «assassini» e «golpisti». Da allora, i rapporti tra regime e Chiesa cattolica si sono infatti deteriorati.
Nei saluti dell’Angelus del 12 febbraio Papa Francesco ha invitato a pregare per monsignor Alvarez, dicendosi «non poco addolorato» per le notizie che giungono dal Nicaragua. «Non posso qui non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando Alvarez – ha detto il Papa – , a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara nazione. E chiedo a voi la vostra preghiera. Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo».
Si è unito alle preghiere e alla protesta del Papa il presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa, l’arcivescovo di Vilnius mons. Gintaras Grusas, esprimendo «dolore e preoccupazione» e la vicinanza e la solidarietà dell’episcopato europeo ai cittadini e alla Chiesa cattolica del Nicaragua per la condanna che «costituisce una grave ferita alle relazioni tra la Chiesa e il governo del Paese» e chiedendo «a tutti i confratelli vescovi di rendere noto ai propri governi la grave violazione dello Stato di diritto che sta avendo luogo in Nicaragua».
Nonostante l’invito di questo importante organismo ecclesiastico europeo non risulta, allo stato, che alcun governo del continente abbia protestato con il Nicaragua.
Venerdì, 17 febbraio 2023