Marco Invernizzi, Cristianità n. 417 (2022)
La Chiesa è insieme visibile e spirituale, è la Chiesa dei numeri, che non vanno dimenticati, ma è molto di più degli stessi numeri, perché «la Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. È unicamente “con gli occhi della fede” che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina» (1).
Solo tenendo insieme entrambi gli aspetti riusciamo a valutare adeguatamente quanto accadde dieci anni fa, quando secondo il diritto canonico Alleanza Cattolica è stata riconosciuta come associazione privata di fedeli: «Occorre apprezzare e meditare questo evento, che dona una nuova responsabilità all’associazione e nello specifico a tutta la sua famiglia spirituale. Con tale atto, accompagnato dalla concessione della personalità giuridica privata, l’autorità ecclesiastica ha riconosciuto l’utilità e la bontà della missione di Alleanza Cattolica, che s’inserisce a pieno titolo nella missione della Chiesa, trascendendo il fine dei singoli» (2).
Un «battesimo» dopo cinquant’anni
Apparentemente non è cambiato nulla, abbiamo continuato a fare le stesse cose di prima. Nella realtà è mutata una cosa invisibile ma importante, per chi ha il dono della fede. Proprio perché la Chiesa è «una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino» (3), l’apostolato che svolgevamo prima del riconoscimento ha anche acquisito una dimensione pubblica all’interno della Chiesa, appunto con le caratteristiche di un’«associazione privata di fedeli». Se si vuole un’analogia, possiamo forse pensare alla differenza che c’è fra la preghiera privata dei fedeli e quella pubblica della Chiesa.
Infatti, è stata riconosciuta una realtà ecclesiale che può ottenere certi risultati spirituali facendo «bene» — cioè secondo l’intenzione di fare quello che vuole la Chiesa — quanto è scritto nel Direttorio del 1977, riveduto e confermato nei decenni successivi (4). Particolare non di poco conto è che però il Direttorio va studiato e messo in pratica, non soltanto evocato.
Ciò significa che possiamo cercare la santità studiando e diffondendo il Magistero della Chiesa, in particolare la sua dottrina sociale, nella prospettiva della Regalità anche sociale del Signore Gesù, cercando di costruire dei «rifugi», come ricordava il nostro fondatore, Giovanni Cantoni (1938-2020), cioè degli ambienti in cui ripararsi durante la lunga e drammatica traversata del mondo moderno, secondo un’altra sua nota espressione, oppure, per dirla con Gonzague de Reynold (1880-1970), «piantare palafitte in queste sabbie mobili, piantarle quanto più profondamente e solidamente possibile. Una qui, un’altra là, e poi alcune vicine e altre lontane, fino a quando non saranno sufficienti a porre la base della ricostruzione. La chiave è non scoraggiarsi mai. L’essenziale è combattere ogni giorno, perché fino a quando si lotta non si è mai sconfitti» (5).
In questa prospettiva, assume un particolare significato anche l’altra ricorrenza che celebriamo oggi, il quinto anniversario della concessione dell’indulgenza plenaria nel giorno del riconoscimento dell’associazione. Vi sono tanti altri modi per ottenere l’indulgenza plenaria, certamente, ma è altrettanto certo che in quel giorno del mese di aprile chi milita in Alleanza Cattolica, se vuole, può ogni anno ricevere questo beneficio spirituale, alle consuete condizioni previste dalla Chiesa, proprio perché quel giorno la nostra famiglia spirituale ha ricevuto un grande dono (6).
Sempre Cantoni diceva pochi mesi dopo il riconoscimento: «Dopo cinquant’anni Alleanza Cattolica ha ricevuto un riconoscimento ufficiale — è l’inizio, il battesimo, ma è già un passaggio significativo —, e ciò è accaduto non perché abbia modificato qualcosa di essenziale, pur se nel tempo siamo cresciuti qualcosa si è svolto»(7).
Un battesimo dunque, in età avanzata, dopo un lungo catecumenato, quando chi viene battezzato ha dimostrato di credere in quello che fa mettendolo in pratica per un lungo periodo, il tempo di due generazioni. Il battesimo di «qualcosa» che c’è, un’associazione ormai adulta, provata da ostilità e diffidenza, ma capace di convincere i più giovani che «fare la riunione», cercare di combattere la Rivoluzione, ritirarsi periodicamente per studiare e pregare, sono gesti concretamente benedetti dalla Chiesa e non soltanto appaganti perché li abbiamo scelti.
Che cosa è avvenuto in questi dieci anni?
In questi dieci anni sono accaduti molti eventi, anzitutto nella vita della Chiesa, quella visibile, dei numeri, posto che l’altra è sempre e rimane per sempre, fino al compimento celeste, la sposa di Cristo.
Intanto e, soprattutto, la Chiesa ha eletto un nuovo Pontefice, venuto dalla «fine del mondo», come ha detto di sé stesso, cioè dalla «Magna Europa», per usare un’espressione a noi consueta, che indica una comunione ma anche una diversità rispetto all’Europa da cui provenivano i Pontefici precedenti.
Per alcuni Papa Francesco sta cercando in modo originale di individuare una strada per superare le difficoltà tremende incontrate dalla Chiesa durante il pontificato di Benedetto XVI (2005-2013), un pontificato che, come quello del suo predecessore, ha prodotto un Magistero di una tale ricchezza e profondità che non finirà mai di essere studiato e ricordato. Ma questo non ha impedito le difficoltà che, durante il pontificato di Papa Ratzinger, sono sorte soprattutto a causa dei diversi casi di pedofilia da parte di sacerdoti cattolici, avvenuti in molte diocesi e in particolare in USA, Irlanda e in Cile. Questi casi hanno prodotto una profonda ferita nel corpo della Chiesa nel segno dell’autodemolizione, non meno gravida di conseguenze di quella dottrinale, sfruttata ad arte dalle forze ostili alla Chiesa stessa, che hanno montato una campagna di odio contro la Sposa di Cristo e il suo capo visibile, prima delle dimissioni di Benedetto XVI nel 2013 (8).
Per altri, invece, il regnante pontefice rappresenta una difficoltà, un ostacolo, proprio per la sua cultura diversa e anche lontana da quella europea che ha accomunato i Pontefici del Novecento, molti dei quali sono già stati canonizzati, pur senza dimenticarne le differenze anche notevoli.
Nei confronti di Papa Francesco è cresciuta in questi anni una vera e propria opposizione, organizzata e diversificata, che è penetrata profondamente nel mondo cosiddetto tradizionalista, in parte riscoprendo e sposando l’opposizione al Concilio Vaticano II, ma ha anche attecchito in un mondo che aveva sperato nei pontificati di san Giovanni Paolo II (1978-2005) e di Benedetto XVI come pontificati che avrebbero potuto risanare l’Europa scristianizzata, cosa che purtroppo non si è avverata. Avendo frequentato a lungo questi ambienti, che possiamo chiamare conservatori ma non tradizionalisti, ho potuto verificare direttamente in alcuni casi il progressivo spostamento verso posizioni sempre più ostili alla Gerarchia, a cominciare dal 1986, quando san Giovanni Paolo II incontrò ad Assisi gli esponenti delle altre religioni allo scopo di pregare per scongiurare la guerra atomica fra i due blocchi politico-militari allora contrapposti (9).
La «fretta» e la mancanza di formazione dell’uomo contemporaneo
Ma come è potuto avvenire questo rinnegamento dell’originaria fedeltà conclamata alla Chiesa? Il mondo di oggi, quello successivo all’epoca delle ideologie, è caratterizzato da due elementi per quanto riguarda le relazioni fra le persone. Il primo è una inaudita fretta, visibile in ogni cosa ma, ahimè, anche in circostanze di grande importanza esistenziale, come l’interpretazione di quanto accade. Ricordo l’ironia di Cantoni quando raccontava come, molti decenni fa ormai, qualcuno pretendeva spiegazioni «veloci» perché non aveva troppo tempo a disposizione (lui usava l’espressione: «qualcuno vuole che gli si spieghi come va il mondo al semaforo, prima che scatti il verde»). Oggi tutto ciò si è moltiplicato, ma la cosa grave è che non ci si limita a chiedere, ma si scrive e si pretendono spiegazioni scritte, grazie anche alla rivoluzione digitale che permette a ciascuno di scrivere e di affermare «qualsiasi» cosa e di raccogliere pure molti consensi, perché più si esasperano i toni e si alza la voce più le persone seguono incuriosite.
Il secondo aspetto, strettamente collegato al primo, riguarda la mancanza di formazione. E così ritorno a quegli ambienti conservatori che ho frequentato, composti da brava gente, bene intenzionata e orientata, che però era restia a seguire un processo di formazione lungo e certamente faticoso, quale quello che noi proponevamo loro. Questi ambienti mettevano in pratica una sorta di rivoluzione di segno contrario, anche se non in modo consapevole, opponendo fretta a fretta, cogliendo nell’apologetica soltanto l’aspetto polemico e di contrapposizione e non quello che spiega e racconta il rivelarsi della Verità nella storia (10). Questi ambienti non hanno retto alle sfide e alle tentazioni tipiche del nostro tempo. Nati per difendere il principio d’autorità nella Chiesa e nella società dopo i gravi danni prodotti dall’ideologia del Sessantotto, sono finiti vittime di complottismi di ogni genere, interni alla Chiesa e alla società, mettendo in discussione in maniera strumentale il Magistero e ogni provvedimento dell’autorità politica, dividendo così i cattolici e loro stessi al proprio interno, come i più accorti fra loro hanno recentemente capito e denunciato (11).
Ora, questi ambienti esistono e non vanno abbandonati a loro stessi. Quando nel 1981 si verificò la rottura con Ecône e quasi in contemporanea quella sui referendum antiabortisti, Cantoni in una circolare riservata invitò i militanti a cessare ogni rapporto con gli amici che avevano abbandonato l’associazione. Sarebbe interessante studiare il legame fra le due prospettive, quella lefebvriana e quella che spinse alcuni a non partecipare alla campagna per il referendum «minimale» contro l’aborto, e quello fra i due ambienti che cominciarono a formarsi in quella circostanza e che sono cresciuti e arrivati fino a oggi, avendo continuato a nuocere all’unità sia nella Chiesa sia nel mondo pro-life, ma non è questa la sede.
Penso che oggi la richiesta di Cantoni non sia più praticabile negli stessi termini. Allora si era in un’epoca ideologica, dove le idee sembravano contare più delle persone, che spesso mascheravano i loro problemi esistenziali irrisolti dietro la maschera dell’ideologia, come spiega bene Enzo Peserico (1959-2008) nel suo libro sul Sessantotto (12), anche se a proposito di altri ambienti e di altre posizioni ideologiche. Oggi dobbiamo liberarci da quell’impalcatura e ricordarci che le persone valgono più delle ideologie e che la Verità è una Persona, anche se deve poi coniugarsi in una serie di insegnamenti e di dottrine senza i quali la stessa Verità risulterebbe più difficile da comprendere. Ecco perché credo che il contro-rivoluzionario del terzo millennio debba attrezzarsi per un apostolato a 360 gradi, che sappia valorizzare qualsiasi coagulo, certamente anche quelli che incontra in questi ambienti cosiddetti conservatori, così come in altri. Se le persone sono più importanti delle loro idee, alle persone, a tutte le persone, bisogna innanzitutto stare accanto con paziente benevolenza, a volte limitandosi ad aspettare il tempo opportuno per la loro conversione.
Ovviamente ciò non significa trascurare l’azione pubblica e in qualche modo profetica, che serve per accendere fuochi nella notte del mondo di oggi, sazio e disperato, quanto mai bisognoso, come del resto ciascuno di noi, di un ideale da seguire e servire.
«Cum Petro»
Di fronte a questa crescente confusione, nella Chiesa e in generale nel mondo, l’associazione ha scelto la strada iniziata nel 1981 e proseguita senza incertezze, cum Petro e sub Petro, e soprattutto ha confermato il suo impegno nella diffusione del Magistero, come recita il Direttorio, nella convinzione che la struttura gerarchica della Chiesa sia qualcosa di voluto dalla SS. Trinità per la salvezza e la santificazione degli uomini. Naturalmente questo non significa negare le differenze culturali e umane fra i diversi Pontefici, né negare le difficoltà che spesso l’esercizio dell’obbedienza comporta, come tanti santi hanno dimostrato in tempi non meno turbolenti di oggi nella vita della Chiesa. Non significa nemmeno negare l’esistenza di un processo di autodemolizione all’interno della stessa Chiesa, che persiste e continua a scandalizzare tante persone per bene, anche se è ormai privo dell’attrattiva che aveva negli anni successivi alla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). In questo senso sarà importante nei prossimi mesi dedicare del tempo all’analisi del cosiddetto progressismo in Italia e al potere significativo che ancora possiede nelle strutture ecclesiastiche, ma anche alla sua incapacità, oggi, di suscitare interesse ed entusiasmo, essendo sprofondato in una crisi di senso, come del resto tutta la sinistra internazionale nelle sue diverse espressioni. Sarà anche importante rivisitare il percorso storico della Rivoluzione con tutte le capacità scientifiche che possiamo mettere in campo — e abbiamo cominciato a farlo con il libro di Sanguinetti sul fascismo in occasione del centenario della Marcia su Roma (13) —, proprio per dimostrare come dall’amore per il Magistero possano nascere giudizi storici conseguenti che permettono di comprendere la realtà in movimento.
Così Giovanni Cantoni concludeva un suo articolo su Cristianità in occasione del dramma consumatosi a Ecône, con un appello al mondo tradizionalista perché non si lasciasse ridurre al «lefebvrismo», cioè perché scegliesse la fedeltà alla Chiesa rifiutando lo scisma, che egli identificò come una sorta di «ortodossia latina» che sceglieva venti concili ecumenici rifiutando l’ultimo, così come l’ortodossia orientale, nel 1054, si era fermata ai primi sette concili: «La Vergine Santissima faccia sì che — grazie alla tragedia che si è consumata a Ecône — questa lezione venga sempre maggiormente ascoltata nella Chiesa di Dio, schierata a battaglia di fronte a un “mondo” in preda a imprevedibili convulsioni prima del trionfo del suo Cuore Immacolato, e si rafforzi la consapevolezza — dopo la verifica che il conservatorismo non è il contrario del progressismo, ma una cronolatria coniugata al passato anziché al futuro — che il concetto conciliare opposto a “conservatore” non è progressista ma “missionario”» (14). Era un appello missionario, che usava le parole pronunciate dal card. Ratzinger pochi anni prima dello scisma (15), e che ha caratterizzato fino a oggi la storia di Alleanza Cattolica, invitata dal suo fondatore a fidarsi di Dio e della sua Chiesa, costruendo un ambiente che aiuti a percorrere un passaggio difficile e drammatico nel deserto della modernità e della post-modernità.
Missionari perché e per Chi?
Ma che cosa significa questo appello missionario espresso nel 1985 dal card. Ratzinger, ripreso da Cantoni e diventato così importante per la nostra azione? Perché un cattolico del terzo millennio, nell’Europa scristianizzata, chiamato per vocazione a combattere la Rivoluzione per instaurare una cristianità, proprio oggi dovrebbe assumere un atteggiamento missionario nei confronti dei suoi contemporanei?
Ricordo anzitutto le parole del regnante Pontefice, che si allaccia a san Giovanni Paolo II per spiegare come oggi tutta l’azione della Chiesa, di ogni sua componente, debba mettere la missionarietà al centro: «Giovanni Paolo II ci ha invitato a riconoscere che “bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio” a coloro che stanno lontani da Cristo, “perché questo è il compito primo della Chiesa”. L’attività missionaria “rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa” e “la causa missionaria deve essere la prima”. Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa. In questa linea, i Vescovi latinoamericani hanno affermato che “non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese” e che è necessario passare “da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria”. Questo compito continua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7)» (16).
Papa Francesco riprende san Giovanni Paolo II, che scriveva che «si sta affermando una coscienza nuova», cioè che «la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali» (17), ma contemporaneamente avvertiva come si fosse creato all’interno della Chiesa un atteggiamento di rifiuto della missione: «non si può nascondere una tendenza negativa, che questo Documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del Magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo» (18).
L’apostolato culturale
È chiaro che un contro-rivoluzionario deve sempre chiedersi dove sta la Rivoluzione adesso. E così è giusto domandarsi: se mi impegno a costruire rifugi-ambienti, cioè se prediligo l’apostolato culturale volto alla conversione della società, se capisco la priorità dello spirito missionario come condizione per poi formare i cattolici, non rischio di perdere il filo della Rivoluzione?
La Restaurazione del 1815
Un problema simile si manifestò dopo il Congresso di Vienna nel 1815, quando tutto sembrò ritornare in ordine semplicemente perché Napoleone Bonaparte (1769-1821) era stato sconfitto e i legittimi governanti tornavano al potere. Ci si dimenticò che la Rivoluzione opera soprattutto nel corpo sociale più e prima che nella testa del corpo sociale, cioè nei governi. I diplomatici riuniti al Congresso pensarono che fosse sufficiente ripristinare la maggior parte dei governi precedenti le rivoluzioni (che fra l’altro spesso furono guidati da uomini che professavano le ideologie che ufficialmente combattevano), ci si illuse che eliminando i settari (19) la Rivoluzione sarebbe stata sconfitta e, soprattutto, non si cercò neppure di far partire un’opera di rinascita culturale che riguardasse particolarmente le classi dirigenti (20). La Chiesa stessa venne imbrigliata dal giurisdizionalismo, dalle «catene d’oro» dello Stato, come titola un bel libro sul rapporto fra l’Impero asburgico e la Chiesa in Lombardia (21). Non mancarono i «profeti», come il beato Antonio Rosmini Serbati (1797-1855) — che non necessariamente prese le posizioni politiche più adeguate, anche se produsse un’opera di riflessione straordinaria sui principali temi teologici e filosofici posti dagli intellettuali della modernità —, il cui tentativo di una apologetica globale che rispondesse a tutte le critiche del pensiero moderno non fu raccolto, almeno immediatamente (22).
Qualcosa del genere è avvenuto in Italia dopo le elezioni del 1994, che inaugurarono la stagione del berlusconismo e portarono a circa dieci anni su venti di governi di centro-destra (23). Anche se riuscirono a fermare, in particolare, i provvedimenti legislativi contro la morale, che invece afflissero altri Paesi europei (24), non era con la politica dei governi di centro-destra, così come non era avvenuto con la politica degli Stati dopo la Restaurazione, che si sarebbe potuta fermare la Rivoluzione. Peraltro, neppure con i grandi e straordinariamente fecondi pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si riuscì ad avviare una duratura nuova evangelizzazione dei Paesi europei e nemmeno a debellare il processo di auto-demolizione della Chiesa denunciato da san Paolo VI (1963-1978), che venne solo ridimensionato e ostacolato, continuando a lavorare dentro il corpo della Chiesa (25).
Il principio che la salvezza della società non provenga anzitutto dall’azione dei governi, bensì dalla conversione delle persone, degli ambienti, dei corpi intermedi e, soltanto successivamente, dei governi, vale oggi molto più di allora, perché il corpo sociale è più partecipe alla vita pubblica di quanto non lo fosse nel secolo XIX. Allora la Rivoluzione operò sotto traccia, clandestinamente, nelle società segrete, in attesa di tirar fuori nuovamente la testa, come avverrà con le rivoluzioni del 1848. Sempre dopo il 1815, partì una stagione missionaria importante verso gli altri mondi (26), ma non ci fu una vera azione missionaria dentro l’Europa che si preoccupasse della conversione di una società che aveva subito per oltre un secolo la diffusione dell’illuminismo, che stava patendo il diffondersi di un nazionalismo romantico, una vera e propria rivoluzione contraria rispetto al secolo dei Lumi.
Qualcosa di simile avverrà anche dopo la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), con il ritorno dei cattolici ai governi d’Europa, con il tradimento operato dal cattolicesimo democratico ma soprattutto con l’incapacità di arginare il processo di scristianizzazione che si attuò negli anni Cinquanta, soprannominati ideologicamente «gli anni dell’onnipotenza cattolica» (27). Ma la Chiesa, in quegli anni, non era affatto onnipotente, se non in modo molto superficiale (28). Mai come oggi questa riflessione è importante, come ha spiegato Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) con un’espressione paradossale quando ha scritto che sarebbe più importante ai fini dell’apostolato fermare la diffusione degli spettacoli immorali piuttosto che far cadere un governo di sinistra (29).
Questo perché la Rivoluzione oggi opera anzitutto in interiore homine e lì anzitutto deve essere combattuta. Questo è il senso dell’apostolato culturale, intendendo per cultura ciò che predispone o meno gli uomini a convertirsi, cioè a mutare direzione alla propria vita.
Senza conversione non vi è Contro-Rivoluzione. Naturalmente la conversione del cuore è opera di Dio, noi possiamo soltanto prepararla, cioè creare le condizioni che possano favorirla. Cantoni usava l’immagine del sagrato, cioè di quell’ambito che precede il luogo sacro, dove si prendono le decisioni più intime e decisive che avvengono nella coscienza di ogni uomo e che rimangono legate al rapporto misterioso fra l’anima e il suo Creatore. Però quello che può avvenire sul sagrato non è di poca importanza. Sul sagrato si può ancora comunicare prima del silenzio del luogo sacro, sul sagrato si può «aiutare» a entrare superando le ultime incertezze e tentazioni. «Noi siamo quelli dei sagrati» perché questo è il compito della cultura: seminare, predisporre, aiutare a prendere le decisioni fondamentali della propria vita.
Poi questa decisione spetta a ciascuno e avviene sotto l’influenza della Grazia. E vale anche per la nostra vocazione: per parafrasare sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), l’apostolato di Alleanza Cattolica dipende dai disegni di Dio, ma ciascuno di noi deve operare come se dipendesse da lui, dalle sue intenzioni, dalla sua generosità. E, onde evitare derive pelagiane, ciascuno di noi si affidi al Signore e gli affidi l’associazione, perché Gesù ne faccia ciò che ritiene per la Sua gloria e per la nostra salvezza.
La necessità di andare nella stessa direzione
Alleanza Cattolica è una famiglia spirituale che ha un giudizio sulla vita delle nazioni che nasce dalla scuola contro-rivoluzionaria. In questo senso possiamo chiamarci una «famiglia culturale», persone che stanno insieme per aiutarsi nella via della santificazione cercando di «santificare» la società, combattendo quel movimento che da secoli opera contro l’Ordine per sovvertirlo.
Una famiglia spirituale non è un partito, nemmeno un ordine o una congregazione religiosa e neppure un movimento ecclesiale, anche se contiene alcuni degli elementi di tutte e tre le realtà. Non è un partito ma si interessa del bene della polis, non è un ordine religioso ma propone una regola di vita e appartiene alla Chiesa per servire l’implantatio Ecclesiae in un mondo scristianizzato, non è un movimento perché ha uno scopo specifico, ma contemporaneamente ne ha molti aspetti.
La vita di una famiglia deve esprimersi con dei modi caratteristici, che non sono quelli legalistici e correntizi dei partiti, ma devono nascere dal desiderio di aiutarsi reciprocamente a salvarsi e a santificarsi.
L’amarezza, lo zelo amaro, la mancanza di fiducia reciproca e l’atteggiamento polemico non sono soltanto delle malattie spirituali che possono distruggere una famiglia, ma sono anche un impedimento all’apostolato, che rimane la prima essenziale esigenza oggi di Alleanza Cattolica. Essa deve crescere, ma lo può fare soltanto se noi lo desideriamo e se Dio lo permette, ma non può crescere se all’esterno mostriamo il volto del «mondo», della sua aggressività e della mancanza di gioia e di serenità.
Giovanni Cantoni, nei ritiri e nei capitoli, dedicava spesso lunghe riflessioni per auspicare e raccomandare di assumere questo stile che rifiuta ogni forma di pessimismo radicale, di ansia da risultato, di zelo amaro verso i confratelli quando hanno opinioni diverse.
Soltanto se sapremo assumere e mantenere questo stile riusciremo ad attraversare il deserto del mondo attuale, appunto senza diventare «mondani», cioè senza diventare dei «rivoluzionati» che credono di combattere la Rivoluzione ma non sono capaci di tessere fra di loro delle relazioni cristiane.
E senza relazioni, rinnovate nello spirito del Vangelo, sarà difficile svolgere qualsiasi apostolato contro-rivoluzionario e operare qualsiasi ricostruzione di una civiltà a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Marco Invernizzi
Note:
1) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 770.
2) Il riconoscimento di Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli con personalità giuridica privata, in Cristianità, anno XL, n. 364, aprile-giugno 2012, pp. 1-3 (p. 3).
3) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 771.
4) Il Direttorio è un «Profilo dottrinale e operativo proposto alla meditazione e alla pratica ad experimentum in occasione del Primo Capitolo Generale tenuto nel mese di maggio del 1977», a cui seguì una seconda versione rivista nel febbraio 2011 e una ristampa di quest’ultima nel febbraio 2017.
5) Gonzague de Reynold, Una «confederazione di palafitte» per salvarsi dalle sabbie mobili della modernità, in Cristianità, anno XLIV, n. 381, luglio-settembre 2016, pp. 57-58 (p. 58).
6) «La Penitenzieria Apostolica, al fine di favorire la devozione dei fedeli e la salvezza delle anime, in virtù delle facoltà ricevute in modo specialissimo dal Santissimo Padre in Cristo e Signore nostro, Francesco, per divina provvidenza Papa, dopo aver valutato attentamente la richiesta recentemente presentata da Marco Invernizzi, reggente generale dell’associazione denominata “Alleanza Cattolica”, con il parere del tutto favorevole dell’Eccellentissimo Vescovo di Piacenza-Bobbio, dai tesori celesti della Chiesa benignamente concede l’acquisto dell’indulgenza plenaria per tutti e singoli i soci, i quali possono applicarla a modo di suffragio anche per le anime dei fedeli che sono in Purgatorio, purché in spirito di sincera penitenza, confessati e nutriti della Santa Comunione, nello stesso giorno anniversario dell’approvazione canonica della detta associazione, 13 aprile, visitino devotamente in forma di pellegrinaggio qualunque luogo di culto di loro pertinenza, partecipando devotamente ad una sacra funzione o pio esercizio, o almeno recitino devotamente la Preghiera del Signore [Padre Nostro] e il Simbolo della Fede [Credo], aggiungendo pie invocazioni alla Beata Vergine Maria» (Concessione dell’indulgenza plenaria ai soci di Alleanza Cattolica, in Cristianità, anno XLV, n. 384, marzo-aprile 2017, pp. 1-2).
7) Giovanni Cantoni, Il «Catechismo della Chiesa Cattolica», «cosmo semantico» per il secolo XXI, ibid., anno XL, n. 365, luglio-settembre 2012, pp. 23-26 (p. 23).
8) Cfr. Marco Invernizzi, Il disagio nella Chiesa, ibid., anno XLVII, n. 399, settembre-ottobre 2019, pp. 3-40.
9) Cfr. Idem, San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero, con Prefazione di Livio Fanzaga S.P., Sugarco, Milano 2014, pp. 165-170.
10) Cfr. Avery Dulles S.J. (1918-2008), Storia dell’apologetica, con Prefazione di mons. Luigi Negri (1941-2021), Fede e Cultura, Verona 2010, e Peter Kreeft e Ronald K. Tacelli S.J., Il tascabile dell’apologetica cristiana, trad. it., con Invito alla lettura di don Pietro Cantoni, Ares, Milano 2006.
11) Cfr. Roberto de Mattei, Quando la confusione penetra nel mondo della Tradizione, in Corrispondenza Romana, 1° giugno 2021 e Idem, Papa Francesco e la tentazione dei tradizionalisti, ibid., 22 giugno 2022. I due articoli sono utili per comprendere la deriva di certi ambienti tradizionalisti, anche se sono purtroppo sempre interni a una prospettiva di critica al pontificato (o ad alcuni pontefici) che non condivido. Sul tema centrale dell’obbedienza al Magistero per evitare il rischio della sola Scrittura o della sola Tradizione, cfr. il testo di Pietro Cantoni, Oralità e Magistero. Il problema teologico del magistero ordinario, D’Ettoris, Crotone 2014.
12) Cfr. Enzo Peserico, Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco, Milano 2008.
13) Cfr. Oscar Sanguinetti, Fascismo e Rivoluzione. Appunti per una lettura conservatrice, Cristianità, Piacenza 2022.
14) Cfr. G. Cantoni, «Tu es Petrus», in Cristianità, anno XVI, n. 158-160, giugno-luglio-agosto 1988, pp. 3-6 e 19.
15) Cfr. Rapporto sulla fede, Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1985, p. 9.
16) Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii Gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013, n. 15.
17) San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Redemptoris missio» circa la permanente validità del mandato missionario, del 7-12-1990, n. 2.
18) Ibidem.
19) Cfr. M. Invernizzi e Francesco Pappalardo, Società segrete, Unità e Risorgimento, in 1861-2011. A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia. Quale identità?, a cura di F. Pappalardo e O. Sanguinetti, Cantagalli, Siena 2011.
20) Cfr. M. Invernizzi, L’Italia fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. 1794-1848, in Paolo Martinucci, Per Dio e per la patria. Profili di contro-rivoluzionari italiani fra Settecento e Ottocento, D’Ettoris, Crotone 2018.
21) Cfr. Pietro Lorenzetti, Catene d’oro e libertas ecclesiae. I cattolici nel primo risorgimento milanese, con Prefazione di Giorgio Rumi (1938-2006), Jaca Book, Milano 1992; e Le dolci catene. Testi della controrivoluzione cattolica in Italia, accolti e presentati da Vittorio E. Giuntella (1913-1996), Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1988.
22) Cfr. Ignazio Cantoni, Beato Antonio Rosmini-Serbati (1797-1855), in Cristianità, anno XXXVIII, n. 355, gennaio-marzo 2010, pp. 79-83.
23) Cfr. Giovanni Orsina, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 2013.
24) Cfr. Alfredo Mantovano, Perché ce l’hanno con l’Italia (e con Berlusconi), in Cristianità, anno XXXIX, n. 362, ottobre-dicembre 2011, pp. 67-72.
25) Cfr. Roberto Regoli, Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI, Lindau, Torino 2016.
26) Cfr. Enrico Chiesura, Fino agli estremi confini della terra! Il carisma missionario nel XIX secolo, Mimep-Docete, Pessano con Bornago (MI) 2002.
27) Pietro Scoppola (1926-2007), Tra l’eredità di Pio XII e il Concilio Vaticano II, in Marco Impagliazzo (a cura di), La nazione cattolica. Chiesa e società in Italia dal 1958 a oggi, Guerini e Associati, Milano 2004, p. 83.
28) Cfr. M. Invernizzi e P. Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007.
29) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009), presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009, p. 92.