Prosegue la lettura in chiave missionaria dei documenti del 21° concilio ecumenico, considerando in particolare la dimensione vocazionale dell’apostolato e la “pari dignità” dei battezzati, pur nella distinzione dei carismi e dei ministeri (l’Ordine è un sacramento)
di Michele Brambilla
All’inizio dell’udienza di mercoledì 15 marzo Papa Francesco specifica che «proseguiamo le catechesi sulla passione di evangelizzare: non solo su “evangelizzare” ma la passione di evangelizzare e, alla scuola del Concilio Vaticano II, cerchiamo di capire meglio che cosa significa essere “apostoli” oggi», ricordando che «la parola “apostolo” ci riporta alla mente il gruppo dei Dodici discepoli scelti da Gesù. A volte chiamiamo “apostolo” qualche santo, o più generalmente i Vescovi: sono apostoli, perché vanno in nome di Gesù», come i primi dodici, «ma siamo consapevoli che l’essere apostoli riguarda ogni cristiano? Siamo consapevoli che riguarda ognuno di noi? In effetti, siamo chiamati ad essere apostoli – cioè inviati – in una Chiesa che nel Credo professiamo come apostolica».
Molti cattolici, però, non sono consapevoli del fatto che “apostolo” «significa essere inviato per una missione» con l’aiuto costante dello Spirito Santo, pertanto «un altro aspetto fondamentale dell’essere apostolo è la vocazione, cioè la chiamata». La dimensione vocazionale dell’apostolato risalta particolarmente in san Paolo, dato che «san Paolo nelle sue lettere si presenta così: “Paolo, chiamato a essere apostolo”, cioè inviato, (1 Cor 1,1) e ancora: “Paolo, servo di Gesù Cristo, apostolo inviato per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio” (Rm 1,1). E insiste sul fatto di essere “apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti” (Gal 1,1)».
«L’esperienza dei Dodici apostoli e la testimonianza di Paolo interpellano anche noi oggi», benché molto spesso ci sentiamo sconfitti in partenza e ci dimentichiamo del fatto che la grazia divina continua ad agire in noi e in coloro che ascoltano il nostro annuncio. «È una chiamata che riguarda sia coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine, sia le persone consacrate, sia ciascun fedele laico, uomo o donna, è una chiamata a tutti» i fedeli cattolici, affinché il seme che in loro ha fruttificato dia frutto anche nelle anime dei nostri contemporanei. Clero e laicato non devono trascorrere il tempo il reciproca diffidenza, o ostacolarsi a vicenda, perché l’apostolato dei laici nulla toglie allo specifico del Sacramento dell’Ordine.
Essere apostolica è un attributo che appartiene in solido alla Chiesa cattolica nella sua interezza, perciò «nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate: qui non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, questo non è cristianesimo», ma paganesimo allo stato puro! Il Pontefice domanda chi sia più importante nella Chiesa: il vescovo, il prete o il laico? «No … tutti siamo cristiani al servizio degli altri. Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, il bambino, il vescovo …? Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante degli altri e un po’ alza il naso, sbaglia», bisogna pregare per lui.
Non si tratta di egualitarismo in salsa ecclesiale, ma coloro che sono più in alto nella gerarchia dovrebbero conservare l’umiltà che deriva dal riconoscersi chiamati dal Signore senza alcun merito personale.
«Mentre cerchiamo di dialogare con il mondo, sappiamo anche dialogare tra noi credenti?»: domanda molto pertinente, in un momento in cui il mondo cattolico è percorso dalle polemiche interne e si presenta al mondo con un vocabolario che, spesso, è mutuato dalle ideologie avverse, proprio mentre tanti nostri contemporanei attendono da noi una Parola di vita.
Giovedì, 16 marzo 2023