Giovanni Cantoni, Cristianità n. 261-262 (1997)
Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Pace e perdono, la lezione di Wojtyla, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 4, 5-1- 1997, pp. 1 e 14.
Pace e perdono, verità e giustizia
Il 1° gennaio 1997 è stata celebrata la trentesima Giornata Mondiale della Pace, istituita da Papa Paolo VI nel 1967. Il 17 dicembre 1996 era stato presentato in Vaticano il Messaggio per tale celebrazione, dal titolo Offri il perdono, ricevi la pace, datato 8 dicembre (1). A tale messaggio è stata fatta eco, anche se — mi pare — non senza gravi omissioni. Credo perciò rimanga ancora qualcosa da fare: cercare di colmare tali omissioni, principalmente relative al paragrafo 5 del documento, intitolato Verità e giustizia, presupposti del perdono.
Papa Giovanni Paolo II comincia notando come l’imminenza del terzo millennio suggerisca «una sorta di bilancio del cammino compiuto dall’umanità davanti allo sguardo di Dio, Signore della storia» (n. 1); e, di fronte a un mondo ferito che anela al risanamento ed è schiacciato dal peso della storia, cioè in presenza di un quadro tragicamente ambiguo in quanto non solo connotato da segni positivi, ma anche da «non pochi fenomeni di segno contrario» (n. 2), osserva: «È tempo che ci si decida ad intraprendere insieme e con animo risoluto un vero pellegrinaggio di pace» (n. 1). Dopo aver affermato che la pace è meta perseguibile solamente «sui sentieri del perdono» (n. 1), si dichiara «[…] consapevole di quanto il perdonare possa sembrare contrario alla logica umana» (n. 1), dal momento che «[…] s’ ispira alla logica dell’amore, quell’amore che Dio riserva a ciascun uomo e donna, a ciascun popolo e nazione, come all’intera famiglia umana» (n. 1): «Certo, il perdono non è per l’uomo qualcosa di spontaneo e di naturale. Perdonare di vero cuore, a volte, può rivelarsi addirittura eroico» (n. 4). Ma «tutti abbiamo bisogno di essere perdonati dai nostri fratelli, tutti dobbiamo quindi essere pronti a perdonare. Chiedere e donare perdono è una via profondamente degna dell’uomo; talvolta è l’unica via per uscire da situazioni segnate da odi antichi e violenti» (n. 4). Dunque, niente pace senza perdono e niente perdono senza Dio. Niente pace senza soluzione di nodi storici e niente soluzione di nodi storici senza la luce di una verità superiore.
Se le cose stessero soltanto così, si potrebbe avere l’impressione che il Sommo Pontefice auspichi una sorta di universale «amnistia», di generale «dimenticanza» — questa è l’etimologia di «amnistia» —, dal momento che la stessa amnistia è evocata fra i possibili «meccanismi concreti di riconciliazione» (n. 4). Ma le cose non stanno solamente in questi termini.
Infatti, se «[…] il perdono, nella sua forma più vera e più alta, è un atto di amore gratuito» (n. 5) — afferma Papa Giovanni Paolo II —, perciò prevede un’imitazione di Dio, ricco di misericordia, «[…] proprio in quanto atto di amore, esso ha anche le sue intrinseche esigenze: la prima di esse è il rispetto della verità. Dio soltanto è assoluta verità. Egli, tuttavia, ha aperto il cuore umano al desiderio della verità, che ha poi rivelato in pienezza nel Figlio incarnato. Tutti sono quindi chiamati a vivere la verità. Là dove si seminano menzogna e falsità, fioriscono sospetto e divisione. Anche la corruzione politica o ideologica sono essenzialmente contrarie alla verità: esse aggrediscono le fondamenta stesse della convivenza civile e minano la possibilità di relazioni sociali pacifiche» (n. 5). Perciò, «il perdono, lungi dall’escludere la ricerca della verità, la esige. Il male compiuto dev’essere riconosciuto e, per quanto possibile, riparato» (n. 5).
«Altro presupposto essenziale del perdono e della riconciliazione — prosegue il Santo Padre — è la giustizia, che ha il suo criterio ultimo nella legge di Dio e nel suo disegno di amore e di misericordia sull’umanità» (n. 5); e rimanda alla sua enciclica Dives in misericordia, dove si legge: «La giustizia, propriamente intesa, costituisce, per così dire, lo scopo del perdono» (2); ma «in nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono» (3). Quindi, prosegue Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, «intesa così, la giustizia non si limita a stabilire ciò che è retto tra le parti in conflitto, ma mira soprattutto a ripristinare relazioni autentiche con Dio, con se stessi, con gli altri. Non sussiste pertanto nessuna contraddizione tra perdono e giustizia. Il perdono, infatti, non elimina né diminuisce l’esigenza della riparazione, che è propria della giustizia, ma punta a reintegrare sia le persone e i gruppi nella società, sia gli Stati nella comunità delle Nazioni. Nessuna punizione può mortificare l’inalienabile dignità di chi ha compiuto il male. La porta verso il pentimento e la riabilitazione deve restare sempre aperta» (n. 5). Dunque, non solo niente pace senza perdono, ma niente perdono senza verità e senza giustizia.
Credo che qualche esempio non sia superfluo, dal momento che le parole sono talora usurate, e «pace», «perdono», «verità» e «giustizia» non fanno assolutamente eccezione, al contrario. Ne farò due: uno per chi intende chiedere perdono e uno per chi vuole offrirlo.
Comincio con quello per i richiedenti. Nel corso del millennio che sta per chiudersi cristiani hanno combattuto cristiani, talora realizzando«forme di antitestimonianza e di scandalo», come scrive Papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (4); e non si può assolutamente escludere — o addirittura negare — che i cattolici non si siano comportati sempre perfettamente. Perciò, assumendo l’eredità dei loro antenati, i cattolici consapevoli di questo devono non solo offrire perdono per i torti ricevuti, ma anche chiederlo. Ma il perdono non tocca la verità, né quella storica, né quella teologica: chiedere perdono non significa scusarsi né delle condizioni culturali del tempo, né di essersi eventualmente difesi né, tanto meno, di aver creduto e di continuare a credere alle verità teologiche negate da Lutero o da Calvino, ma semplicemente scusarsi per aver talora ed eventualmente difeso male una causa giusta, dove male indica ogni eccesso, compreso quello di legittima difesa.
Vengo al secondo esempio. Durante la Rivoluzione francese e la guerra civile spagnola migliaia di persone sono state uccise perché adepti di una determinata religione, di cui sono divenuti martiri, «testimoni» per eccellenza; ed «è una testimonianza da non dimenticare» (5), sentenzia il Santo Padre nella stessa lettera apostolica. Quindi, offrire perdono da parte dei cattolici francesi o spagnoli non significa né dimenticare, né chiedere scusa della propria identità religiosa, ma dichiararsi — ed essere — disponibili a ritenere pacificante il pubblico riconoscimento del male commesso ai loro danni, dei misfatti di cui sono stati corporativamente vittime.
E così via. Comunque, è certo che chi trascura i presupposti del perdono, cioè la verità e la giustizia, non persegue la pace ma, trovandosi eventualmente in difficoltà, si limita solamente a una temporanea sospensione del conflitto.
Note:
(1) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace-1° gennaio 1997 «Offri il perdono, ricevi la pace», dell’8-12-1996. Tutte le citazioni senza riferimento sono tratte da questo documento, con l’indicazione fra parentesi del relativo paragrafo.
(2) IDEM, Enciclica Dives in misericordiasulla misericordia divina, del 30-11-1980, n. 14.
(3) Ibidem.
(4) IDEM, Lettera apostolica Tertio millenio adveniente circa la preparazione del Giubileo dell’Anno 2000, del 10-11-1994, n. 33.
(5) Ibid., n. 37.