Da Avvenire del 13/04/2023
Amare la vita, dandole importanza è ciò che conta. Più dei soldi. E noi ci siamo persi
Noi italiani facciamo pochi figli. Purtroppo, come i lettori di questo giornale forse sanno meglio di tutti, non è una scoperta. E l’Istat, anno dopo anno, ce lo conferma. Così anche pochi giorni fa. Un osservatore straniero ha detto: «Gli italiani vanno verso l’estinzione». È una notizia desolante, che non indica che non abbiamo gli strumenti che rendono bella o almeno accettabile la vita (soldi, case, scuole, asili), ma che non amiamo la vita, non così tanto da volerla trasmettere. Adesso io abito nel centro storico di una antica città del Nord Italia, e intorno a me ci sono case con pochi o nessun figlio, ma ricordo che una volta, quand’ero ragazzo, e abitavo in campagna, nella miserabile campagna veneta, intorno a me c’erano povere case di contadini che avevano numerosi figli: avevano appena da mangiare, ma il loro pranzo e la loro cena erano una bolgia di mani e bocche. Voglio dire: non avevano tanti figli perché avevano tanti beni, ma al contrario, avevano tanti figli e pochissimi beni. Tiravano avanti ed erano in tanti. Perciò, avendo questa esperienza alle spalle, non sono sensibile al discorso, che oggi vedo tornare sui giornali, dei figli come conseguenza dei soldi. In questa casa ci sono pochi soldi? Allora ci saranno pochi figli. In questa casa invece ci sono tanti soldi? Bene, allora ci saranno tanti figli. Non è così.La vita, la nascita, la quantità dei figli, sono un bene di per sé, anzi sono un bene che può correggere la mancanza di beni. Una coppia può non avere soldi, ma essere felice perché ha dei figli. E al contrario può avere tanti soldi, ma non essere felice perché non ha figli. I figli sono la conseguenza, ma anche la causa della felicità di vivere. Detto altrimenti: un popolo fa figli quando vuole ripetere la vita, ama la vita e vuole che continui, un popolo che fa pochi figli, come noi in questo momento, non è entusiasta della vita che vive, non vuole trasmetterla ad altri, che la sua vita si moltiplichi o si riduca non è una questione che lo impegna più di tanto.Quando vivevo nella civiltà contadina povera sentivo le famiglie che s’interrogavano una con l’altra: « Hanno figli quelli? E quanti? ». Adesso questa sarebbe un’indiscrezione pesante, oserei dire irriguardosa. Non si fa più. Una volta, che una famiglia avesse o non avesse figli era una questione del quartiere, riguardava tutti. Adesso è una questione della famiglia, riguarda lei e basta. Le famiglie intorno ne prendono atto. Una volta non avere figli era difficile. Per questo si facevano i figli. Adesso non avere figli è facile. Non li fai, e basta. Tutto finisce lì. Vorrei fare un passo avanti, anche se mi rendo conto che è rischioso: una volta fare figli voleva dire vivere, adesso è la coppia che non fa figli che vive, e può capitare che le altre coppie provino invidia. Nella società povera la vita era un valore immenso. Cioè che non si poteva misurare. Adesso la vita ha sempre un grande valore ma si misura, non è più infinito.Non facciamo più figli perché non è importante. Se non è importante non ci badiamo. E infatti la notizia ci capita addosso risaputa e come inaspettata.