Da mito fondativo della Repubblica nata dalla Resistenza a pietra d’inciampo del primo governo ‘conservatore’ in Italia?
di Renato Veneruso
La categoria dell’antifascismo nasce nell’elaborazione e nella pratica politica comunista degli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso. Siamo nel 1924, al V° Congresso del Partito Comunista d’Italia (PCI), il partito nato dalla scissione di Livorno del 1921 dal Partito socialista (PSI). Palmiro Togliatti, che ne sarà il capo dall’esilio di Mosca, parla, nella Risoluzione sul fascismo, della necessità di uno «sforzo per creare il fronte unico di tutti i ceti dei lavoratori nella lotta contro il fascismo».
Specie dopo la fallimentare esperienza di contrasto sia alla socialdemocrazia della Repubblica di Weimar che alla impetuosa affermazione dei nazionalsocialisti, l’antifascismo è il primo passo di una strategia che impone la necessità della politica dei Fronti Popolari, che apre alla tattica di alleanza anche con i partiti borghesi e ‘liberali’.
Tale politica frontista, in nome della parola talismano ‘antifascismo’, formalizzata con il VII Congresso del Komintern (l’Internazionale comunista) nell’estate del 1935, si declina:
- in Spagna con l’appoggio, prima, al governo del socialista radicale Caballero, poi, con il Fronte Popolare dei rojos – guidati dallo stesso Togliatti, commissario politico nominato da Stalin – che resistono armi in pugno alla insurrezione militare dei tercios del generale Francisco Franco ed alla Cruzada anticomunista da questi promossa;
- in Francia, con il governo del Fronte Popolare socialcomunista che porta al patto franco-sovietico, che suggella l’ingresso internazionale dell’URSS nel novero della Società delle nazioni, già sdoganato dal riconoscimento ufficiale dell’URSS da parte degli Stati Uniti nel novembre 1933, sempre in funzione antitedesca.
Tale sforzo unitario dei comunisti continuerà per l’intero periodo bellico (con la significativa parentesi tra la stipula del patto Ribbentrop-Molotov nel 1939 e l’invasione tedesca dell’URSS con l’operazione ‘Barbarossa’ nell’agosto del 1941, che, tra l’altro porterà all’abbandono sovietico dei ‘compagni’ francesi nelle mani dei tedeschi invasori), fino a consolidarsi ed implementarsi con la costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), creato, in nome dell’antifascismo e della lotta armata al ‘nazifascismo’ (la ‘Resistenza’), il giorno dopo l’armistizio anglo-italiano, l’8 settembre 1943.
Il CLN, sin dalla sua costituzione, oltre all’egemone PCI e al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e Democrazia del Lavoro, vedrà la partecipazione anche della Democrazia Cristiana, del Partito d’Azione e del Partito Liberale.
Il sigillo politico di tale accordo trasversale si avrà con la ‘svolta’ di Salerno del 22 aprile 1944, con la quale i comunisti italiani accettano di entrare anche formalmente nei governi luogotenenziali dell’ancora Regno d’Italia, con incarichi ministeriali che vedono – tra gli altri – Togliatti vice-presidente dell’esecutivo e poi anche ministro Guardasigilli, fino al terzo governo De Gasperi nel 1948.
Il 18 aprile di quell’anno, l’Italia, dopo il referendum del 2 giugno 1946 – che sceglie la forma statuale della Repubblica – e la promulgazione della Costituzione votata dai ‘padri costituenti’ eletti tra le fila dei partiti ciellenisti il 28 dicembre 1947, elegge i propri rappresentanti in Parlamento.
L’attuazione degli accordi di Yalta del febbraio 1945 tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale e, in particolare, la divisione dell’Europa con l’assegnazione dell’Italia alla sfera di influenza americana, inducono il PCI ad abbandonare l’esperienza politica dei governi del CLN e a scegliere la strada del Fronte Popolare, presentandosi alle elezioni insieme al Partito Socialista e alle altre liste di sinistra sotto il simbolo di Giuseppe Garibaldi. Tuttavia, il Fronte viene clamorosamente sconfitto dalla Democrazia Cristiana, che raggiunge quasi la maggioranza assoluta dei suffragi, grazie all’appoggio determinante dei Comitati Civici di Luigi Gedda, che, ispirato da Papa Pio XII, raccoglie la società civile cattolica e moderata invitandola a votare il partito di ispirazione cristiana.
L’antifascismo rimarrà, da allora, forte e insistente nella egemonia culturale gramsciana di conquista delle ‘casematte’ del potere civile, cui il PCI si dedicherà da quel momento in poi, fino a trascolorare nella mitologia di fondazione della nuova Italia, asseritamente nata dalla lotta antifascista e dalla Carta costituzionale scritta in suo nome.
Se è vero, quindi, che la redazione della Carta fondamentale non afferma professatamente l’antifascismo (a non voler considerare la disposizione transitoria che vieta la ricostituzione del partito fascista), nondimeno la sua interpretazione ed applicazione – la cd. Costituzione ‘materiale’ – ha sempre posto l’accento sull’antifascismo appunto come mito di fondazione, come dimostra il veto dei partiti del cosiddetto ‘arco costituzionale’ nei confronti del partito erede della Repubblica Sociale Italiana, il MSI – Movimento Sociale Italiano.
Parrebbe, quindi, nel giusto l’attuale segretario del PD, Elly Schlein, la quale rivendica che l’antifascismo non è nella Costituzione ma è la Costituzione, se non vi fosse stata, sin da subito, appunto il 18 aprile 1948, una scelta della maggioranza degli italiani decisa a favore del modello ‘occidentale’ nel nome dell’anticomunismo.
E neppure il fallimento dell’impero ideocratico sovietico e la chiusura dell’esperienza politica del comunismo, anche italiano, hanno consentito, nella cd. ‘seconda’ Repubblica, di potere realmente pacificare ed unificare la nazione italiana attraverso il superamento della falsa alternativa fascismo/antifascismo; una falsa alternativa che nessun peso ha mostrato di avere, nelle scelte della maggioranza degli elettori, anche nelle recenti elezioni politiche, nonostante l’ennesimo tentativo di demonizzazione del partito nato dalle ceneri di Alleanza Nazionale, in cui si era sciolto il MSI (peraltro proprio sull’altare del dichiarato rifiuto del fascismo).
E’ giunto allora il tempo, soprattutto da parte di chi intende proporre anche in Italia una via all’autentico conservatorismo, di celebrare anche la vera ‘liberazione’ dell’Italia, quella dalla morsa di entrambe le ideologie del Novecento, avvenuta sempre in aprile, ma del 1948.
Martedì, 25 aprile 2023