Comunicato dell’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze
Perché l’attenzione all’Insorgenza
Il Corriere della Sera del 29-11-1996 ha ospitato un’ampia rassegna di opinioni a commento della notizia di un convegno di studi sulle insorgenze antigiacobine e antifrancesi previsto per l’indomani a Bologna. L’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, ritiene di formulare alcune osservazioni riguardo ad alcuni giudizi espressi in tale sede dallo storico professor Giuseppe Galasso.
1. «A che si mira» — si chiede come prima cosa il docente napoletano, in risposta alle domande dell’intervistatore — con un convegno di studi sull’insorgenza italiana? Non sembra debba essere questa la prima preoccupazione di uno studioso nei confronti dello sforzo altri studiosi — fra i quali si situa anche la piccola realtà dell’ISIN — stanno facendo, mossi anche dalla ricorrenza del secondo centenario, per ricostruire la fisionomia storica di realtà certamente discutibili — ma il ruolo della storia non è proprio quello di propiziare la discussione? —, ma anche ricche di pagine significative e, comunque, parte integrante della storia nazionale. Non sembra serio che uno storico del suo calibro — o uno storico tout court — lasci intendere che determinati avvenimenti è meglio rimangano sconosciuti perché rievocano realtà tali da mettere in discussione schemi interpretativi ormai dati per scontati. Ma può uno storico rammaricarsi se talora non si fabbrica storia «a tesi», ossia per giustificare ex post il potere? Dovrebbe poi porsi il quesito se le realtà che egli esorcizza vengano celebrate solo per il gusto retrò di oltranzisti cattolici oppure grazie alla scoperta di molte luci, accanto alle ombre, in queste pagine di storia patria. Dovrebbe essere di suo dominio che le insorgenze italiane — un fatto unitario e rilevante, che sarebbe ora di iniziare a chiamare «Insorgenza», secondo la logica usata per la «Resistenza» — sono una realtà storica enorme, che ha mobilitato parti ingenti della popolazione italiana di allora e non sempre episodicamente, e che le ricerche fino a oggi condotte hanno rivelato solo la parte emersa dell’iceberg. Piace ricordare al professor Galasso, per esempio, che la Massa Cristiana del maggiore Branda de’ Lucioni, milanese, nel 1799 arrivò in Piemonte a inquadrare circa diecimila volontari e ad assediare e liberare da sola Torino dai francesi. E ancora: i caduti tra gli insorgenti e la popolazione civile, a 1799 non ancora terminato, erano, secondo i calcoli del generale francese Paul-Charles Thiébault, comandante delle truppe di repressione nell’Italia Centrale, già oltre sessantamila, senza contare le vittime fra gli occupanti e i «giacobini». Dove e quando il successivo Risorgimento, del quale ogni aspetto anche minuto è stato indagato e celebrato, magari con oneri a carico della collettività, può vantare connotati quantitativamente così grandiosi? Davanti a questi dati impallidisce anche la nozione di «Vandea italiana»: neppure la celeberrima insurrezione vandeana del 1793 raggiunse infatti tali livelli di partecipazione e di tragicità!
2. Secondo punto: «gli eccessi antireligiosi della Rivoluzione», dei quali la storiografia liberale avrebbe reso ragione. Posto che sia davvero stato così, non si può ignorare che, per esempio, un Benedetto Croce tesse — perfino rabbiosamente — il panegirico di quelli che denomina «uomini della libertà», i «giacobini», molti dei quali furono in prima fila nella persecuzione e nelle spoliazioni di chiese e di conventi. Ci permettiamo di osservare: quando mai questi eccessi sono sottolineati o solo ricordati? Quanti italiani ne sono a conoscenza? È dubbio si tratti poi di semplici eccessi, accidentali e sporadici, in quanto l’odio anticristiano esprime la quintessenza dello spirito e della prassi rivoluzionaria. Consigliamo a tale proposito al professor Galasso di rileggere le pagine dello storico francese Jean Dumont, soprattutto le oltre cinquecento de La Révolution française ou les prodiges du sacrilège, o di altri storici francesi contemporanei, come Pierre Chaunu.
In conclusione, riesce difficile interpretare e giudicare l’atteggiamento di chiusura o di ostruzione verso la ricerca della verità storica ostentato dal professor Giuseppe Galasso, ahimè, non per la prima volta e sempre dalle colonne del Corriere della Sera. In base a esso che idea è possibile farsi della condizione della storiografia «ufficiale» italiana odierna, della quale il personaggio è esponente di rilievo ed emblematico?
Milano, 2 dicembre 1996