Papa Francesco pubblica una lettera apostolica per i 400 anni dalla nascita del filosofo francese Blaise Pascal, traendone molti consigli e molti moniti per il nostro tempo. Anche dalle anti-gesuite Lettere provinciali
di Michele Brambilla
Il 19 giugno è stata pubblicata dalla Santa Sede la lettera apostolica di Papa Francesco Sublimitas et miseria hominis. Il 19 giugno 1623, infatti, nasceva a Clermont-Ferrand (la stessa città in cui, nel 1096, fu proclamata la Prima Crociata) il filosofo, matematico e scienziato Blaise Pascal (1623-1662), una delle menti più illustri del Seicento, a cui il Papa decide di rendere omaggio. Si tratta di una scelta davvero inaspettata per un Pontefice che viene dalla Compagnia di Gesù, come vedremo.
Non si può negare che «grandezza e miseria dell’uomo formano il paradosso che sta al centro della riflessione e del messaggio di Blaise Pascal», come afferma proprio all’inizio, o che «in un secolo di grandi progressi in tanti campi della scienza, accompagnati da un crescente spirito di scetticismo filosofico e religioso, Blaise Pascal si è mostrato un infaticabile ricercatore del vero, che come tale rimane sempre “inquieto”, attratto da nuovi e ulteriori orizzonti», conscio che i primi segnali del libertinismo e del razionalismo stavano andando potenzialmente a minare la civiltà cristiana che allora informava ogni cosa.
«Proprio questa ragione così acuta e al tempo stesso così aperta, in lui non metteva mai a tacere la domanda antica e sempre nuova che risuona nell’animo umano: “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,5). Questa domanda è impressa nel cuore di ogni essere umano, di ogni tempo e luogo», e Pascal vi rispose considerando quanto la complessità del reale renda manifesta la sproporzione tra Creatore e creatura. «Se faccio tale sottolineatura all’inizio di questa lettera, è per insistere sul fatto che né la sua conversione a Cristo, a partire specialmente dalla “Notte di fuoco” del 23 novembre 1654, né il suo straordinario sforzo intellettuale di difesa della fede cristiana hanno fatto di lui una persona isolata dal suo tempo», e così deve essere anche al giorno d’oggi.
Il Santo Padre pone quindi Pascal come esempio di cattolico coerente con il suo credo che se la gioca “alla grande” nel contesto della cultura del suo tempo e ne ricava un monito per i cattolici odierni, sempre tentati di disertare (quando non ne sono già stati espulsi) i luoghi dove effettivamente “si fa la storia” a noi contemporanea. Da Pascal, Francesco ricava altre “parole d’ordine” care al suo pontificato, come l’invito a porsi in maniera non aggressiva nei confronti dell’interlocutore e l’aforisma secondo il quale «la realtà è superiore all’idea». Tuttavia, come adombrato fin dall’inizio, su Pascal grava un grande “ma”.
Infatti, «prima di concludere, è necessario evocare i rapporti di Pascal con il Giansenismo»: dopo alcune esperienze mistiche, fece un ritiro nel convento di Port-Royal, che era allora il cuore pulsante dell’eresia. Non solo, «se molte proposizioni dette “gianseniste” erano effettivamente contrarie alla fede, ciò che Pascal riconosceva, egli contestava che esse fossero presenti nell’ Augustinus», l’opera del fondatore della corrente, mons. Cornelius Jannsen (1585-1638). Su questa svista del grande filosofo si determinò la trasformazione dell’apologeta della fede nel “pezzo da 90” del “fuoco amico” all’interno delle controversie che lacerarono il mondo cattolico francese alla vigilia della conflagrazione illuminista. Pascal prese infatti di mira nientemeno che la stessa Compagnia di Gesù, accusandola sostanzialmente di diffondere un’antropologia “all’acqua di rose” che sminuiva il peso del peccato. In particolare, combatté le dottrine di Luis de Molina SJ (1535-1600) sulla Comunione frequente.
«Bisogna tuttavia comprendere che, come sant’Agostino aveva voluto combattere nel V secolo i Pelagiani, i quali sostenevano che l’uomo può con le proprie forze e senza la grazia di Dio fare il bene ed essere salvato, Pascal ha creduto sinceramente di opporsi al pelagianesimo o al semi-pelagianesimo che riteneva di identificare nelle dottrine seguite dai Gesuiti molinisti», dice il Pontefice gesuita invitando sorprendentemente a dare «credito sulla franchezza e la sincerità delle sue intenzioni» non al teologo spagnolo, ma proprio a Pascal. Dalle Lettere provinciali (annotate con cura dal Santo Padre nella bibliografia della lettera apostolica), che rimangono uno degli attacchi più feroci mai sferrati alla teologia della Compagnia di Gesù, Francesco trae un nuovo argomento per la condanna del neo-pelagianesimo dei nostri giorni, «che vorrebbe far dipendere tutto “dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali”, si riconosce dal fatto che “ci intossica con la presunzione di una salvezza guadagnata con le nostre forze”. E occorre ora affermare che l’ultima posizione di Pascal quanto alla grazia, e in particolare al fatto che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), si enunciava in termini perfettamente cattolici alla fine della sua vita».
Una lettera apostolica, quindi, molto ricca di spunti, a tratti persino sorprendente, se si pensa alla biografia dell’estensore e a quella del filosofo commemorato: merita una lettura attenta e meditata. Previene, a mia opinione, anche un certo atteggiamento, che sta prendendo piede in vasti settori ecclesiali in vista del Sinodo sulla sinodalità fissato ad ottobre, secondo il quale basterebbe riformare le strutture per risolvere la crisi di fede del mondo contemporaneo.
Mercoledì, 21 giugno 2023