Di Andrea Morigi da Libero del 12/08/2023
Discriminare bianchi, cristiani e eterosessuali non è più di moda. Almeno in America, dove negli ultimi tre anni molte grandi aziende che avevano imposto ai loro dipendenti i corsi e le pratiche di rieducazione ideologica che vanno sotto il nome di DEI (Diversità, Equità, Inclusione), ci hanno ripensato. Tutto era nato nel 2020 sull’onda del caso George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto a Minneapolis. Si pensava che il nuovo corso “woke” fosse la via maestra per sconfiggere il razzismo contro i neri e la conseguente rabbia sociale alimentata dal movimento Black Lives Matter, di formazione marxista. Con il risultato che il criterio per assumere personale era divenuto quello dell’identità e non più quello del merito. Nel frattempo, altre categorie si erano messe in coda per essere designate come vittime della società patriarcale o dell’omofobia. Finché i diritti delle minoranze hanno finito inevitabilmente per prevalere su quelli della maggioranza. E per di più senza evidenti risultati nella mentalità degli americani, che semmai hanno iniziato a sviluppare una reazione contro la Teoria critica della razza, l’ideologia di genere, la tirannia dei pronomi.LA MORTE DEGLI “DEI” Così, ricorda John Horvat, vicepresidente della Società americana di Difesa di Tradizione, Famiglia e Proprietà, già dalla metà del 2022 numerosi consulenti, a loro tempo cooptati nei consigli d’amministrazione delle imprese e anche nelle agenzie governative per introdurre il nuovo credo detto “azione affermativa”, ora si trovano senza funzioni o addirittura senza lavoro. Del resto, la produttività e la professionalità degli addetti non si misurano con il colore della pelle, ma con parametri economici. E, dal punto di vista del fatturato e degli utili, l’esperienza è stata assolutamente negativa.Alcuni hanno fatto addirittura autocritica, come Martin Brown, responsabile della inclusione per lo Stato della Virginia, che ha suscitato lo scandalo del quotidiano progressista The Washington Post, dichiarando il 27 aprile scorso al Virginia Military Institute che «gli DEI sono morti». E non si riferiva affatto a realtà soprannaturali. L’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore ha chiesto le sue dimissioni, benché Brown sia tale (diciamo pure “bruno”, senza cedere a facili ironie) di nome e di fatto.Si fa presto negli Stati Uniti a dare dello “zio Tom” a chi non intende la contrapposizione fra etnie come una versione aggiornata della lotta di classe.Se ci si sofferma a indagare sulla realtà, invece, si può facilmente constatare che lo sfruttamento e la mercificazione degli esseri umani sono una prerogativa esclusiva di Paesi comunisti, islamici e africani.Non è mica un think-tank ultraconservatore a sostenerlo, ma le 172 pagine del Global Slavery Index, rapporto mondiale stilato dall’associazione di difesa dei diritti umani Walk Free. In cima alla loro classifica 2023 della turpitudine si piazzano Corea Del Nord, Eritrea (dove la schiavitù era stata abolita dal regime colonialista italiano), Mauritania, Arabia Saudita, Turchia, Tagikistan, Emirati Arabi Uniti, Russia, Afghanistan e Kuwait. La Cina sta tentando un ingresso di prepotenza nella top ten, avendo ormai superato, con 5 milioni e 800mila persone in condizioni di schiavitù, il 10% dei 50 milioni di individui che rappresentano il totale mondiale del fenomeno. In fondo, la Finlandia, preceduta dal Giappone e dai Paesi europei. Ovviamente si parla di schiavitù moderna, legata alle condizioni di lavoro, ma anche al commercio di minori come oggetti sessuali o al loro arruolamento come bambini soldato oppure, per le femmine, ai matrimoni forzati.MODELLI DI CIVILTÀ Insomma, i modelli di civiltà alternativi a quello occidentale sono gravemente carenti dal punto di vista dei diritti umani, per quanto i sostenitori dei “diritti civili” pretendano di affermare il contrario. Quando, alla fine di giugno, la Corte Suprema Usa ha stabilito che i college e le università non possono più prendere in considerazione la razza nelle ammissioni degli studenti, bocciando così i piani di ammissione di Harvard e dell’Università della Carolina del Nord, si è mossa addirittura la Casa Bianca. Il presidente Joe Biden ha attaccato i giudici costituzionali, che ritiene «fuori fase con il sistema di valori fondamentali del popolo americano», dicendosi convinto che «la grande maggioranza degli americani non sia d’accordo con le sue recenti decisioni». In realtà, sono i Democratici a non accettare il fallimento delle proprie politiche, mentre un gruppo di tredici procuratori generali statali ha inviato una lettera alle aziende dell’indice Fortune 100 per metterle in guardia da pregiudizi basati sulla razza nelle assunzioni, nelle promozioni e negli appalti. Segno che l’America profonda va nel senso opposto a quello indicato dai progressisti.