Viaggio nel piccolo Paese africano, cruciale per i flussi immigratori verso l’Italia, che ha un legame storico, spesso sottaciuto, con quel territorio
di Silvia Scaranari
Come sempre l’estate porta migliaia di sbarchi sulle coste italiane: emigranti da diverse parti del mondo si riversano sulle nostre coste, facili da raggiungere con il bel tempo e il mare calmo. I Paesi di provenienza sono tanti, ultimamente soprattutto dall’Africa nera, ma c’è uno Stato che fa poca notizia, di cui si parla poco forse perché nutriamo una naturale vergogna: l’Eritrea.
Dall’Eritrea si fugge soprattutto perché è uno dei più rigidi sistemi dittatoriali del mondo, secondo una definizione che si trova sulla rivista di geopolitica Limes: si fugge per evitare l’arruolamento forzato, il carcere per anni senza accusa solo perché denunciato da un vicino, per evitare l’esproprio della propria attività. E si fugge soprattutto se si è “mezzo sangue”, ovvero se si ha un ascendente italiano. Ma su questi profughi si apre un grosso problema, la difficoltà di poter far valere in Italia le proprie origini per mancanza di certificati di nascita, per le anagrafi date alle fiamme durante il tortuoso iter per l’indipendenza, o forse lo scarso impegno dell’amministrazione italiana a voler riconoscere che in quella ex-colonia tanti connazionali sono rimasti e che ad Asmara ancora oggi il caffè si prende al Bar Vittoria, o Moderna, o Roma e che moltissimi si chiamano Giuseppe, Antonio, Giovanni, Carmine…
Eppure l’Eritrea è uno stato giovanissimo, quest’anno festeggia i 30 anni dal suo riconoscimento come repubblica e il suo desiderio di indipendenza aveva benevolmente coinvolto l’opinione pubblica mondiale alla fine degli anni ’80 del secolo scorso.
E’ un piccolo territorio a est del Sudan, a nord dell’Etiopia, e diviso dall’Arabia Saudita dal Mar Rosso, a cui deve il nome. Il territorio, infatti, parte dell’antico Regno di Axum, una vera potenza dal I al VII sec. d.C., arrivato a possedere la parte meridionale dell’Arabia. L’Eritrea assume il suo nome solo nel XIX secolo grazie agli italiani, che acquisiscono parte della zona costiera e la chiamano Colonia eritrea, dal greco erythrós, che significa rosso e aveva dato già nell’antichità nome al Mare.
Oggi è un Paese complesso, registra poco meno di 7 milioni di abitanti, ma divisi in 9 gruppi etnici (tigrini 55%, tigré 30%, ma anche saho, kunama, rashaida… e italo-eritrei), ognuno con la propria lingua (i più diffusi l’arabo e l’italiano), e diverse comunità religiose (musulmani sunniti e sciiti 51,5%, cristiani cattolici, ortodossi, luterani, evangelici 47%, agnostici 1%, altri 0,5%). Con un buon potenziale economico, non sfrutta le sue risorse e vive in un costante rischio sociale dovuto a malattie, carestie, ma soprattutto a mancanza di libertà.
L’area, conquistata nel 1557 da Solimano I e annessa all’Impero ottomano, rimase sotto il controllo turco fino all’arrivo degli inglesi nel XIX secolo, che permisero all’Etiopia di espandersi ed occuparne le aree pianeggianti.
La presenza italiana iniziò nel novembre 1869, quando padre Giuseppe Sapeto acquistò dai fratelli Ibrahim e Hassan ben Ahmad, per conto della Società di Navigazione Rubattino, un territorio lungo circa 6 km per costruire un deposito di carbone per le navi. L’accordo ratificato dal governo italiano l’11 marzo 1870 incluse anche la gestione delle due isole Ommel-Bahar e Ras-el-Raml. Solo nel 1879 arrivò una squadra di operai specializzati per costruirvi una serie di infrastrutture portuali, dei pozzi e un distillatore. Con la scusa di proteggere i lavoratori prese stanza nella baia anche un picchetto armato di marinai. Dopo aver comprato anche l’isolotto di Sennabor e un ulteriore terreno a nord della baia, il 9 gennaio 1881 fu issata la bandiera italiana, ma solo nel marzo 1882 avvenne ufficialmente il passaggio dal prestanome Rubattino allo Stato italiano, dando così inizio alla nostra colonizzazione in Africa.
Unificata agli altri possedimenti conquistati alla fine degli anni Trenta, l’Eritrea entrò a far parte dell’Africa Orientale Italiana, che nel 1947, col Trattato di Parigi, fu tolta all’Italia e controllata dagli Alleati fino al 1949, per poi passare ad essere un protettorato inglese fino al 1972, quando l’ONU la dichiarò federata all’Impero dell’Etiopia. Il lungo periodo italiano, la crescita demografica ed economica (da 300.000 ab. nel 1870 a 1.000.000 nel 1941), la numerosa presenza di eritrei-italiani, il governo durissimo e repressivo di Hailé Selassié portò in breve al nascere del movimento indipendentista, il Fronte di Liberazione Eritreo (FLE), fondato al Cairo nel 1960, a cui si aggiunse nel 1973 il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (FLPE). Il primo, di chiara ispirazione islamica, aveva base nelle zone pianeggianti, mentre il secondo, di ispirazione marxista, era composto in maggioranza da tigrini degli altopiani e appoggiato da Cuba e URSS. Quando, nel 1975, la caduta del governo etiope portò alla nascita di una repubblica di stampo sovietico, il FLPE entrò chiaramente in crisi di identità. Nel 1978 ingenti armamenti forniti all’Etiopia dall’URSS per la lotta contro la Somalia le consentirono di riconquistare gran parte della regione eritrea. La nascita del Fronte di Liberazione Popolare Tigrino (TPLF) e la sua alleanza con il FLPE permise nel 1991 l’occupazione di Asmara. Nel 1993 venne indetto un referendum con il controllo dell’ONU, e venne riconosciuta ufficialmente l’Eritrea come Paese libero e indipendente.
I problemi non finirono, anzi, con la neo-repubblica prese il potere Isaias Afewerki come presidente provvisorio e leader del Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ), nuovo nome dell’ex-FPLE. Il presidente “provvisorio” è ancora al potere.
Dal 1993 non ci sono più state elezioni, non ci sono partiti politici, non ci sono fonti di informazione indipendenti dal governo, l’istruzione – ancorché obbligatoria dai 7 ai 13 anni – vede solo il 33% dei bambini e meno del 30% dei ragazzi scolarizzati.
Come scrive la Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) nel suo ultimo rapporto sulla libertà religiosa, «la Costituzione eritrea garantisce la libertà di parola, di religione, di coscienza e di riunione, ma il governo di fatto limita questi diritti. Il Proclama n.73 del 1995 consente al governo di esercitare un controllo completo sulle attività religiose nel Paese. Vi sono soltanto quattro religioni riconosciute: la Chiesa Ortodossa Eritrea Tewahedo, l’Islam sunnita, la Chiesa Cattolica e la Chiesa Evangelica Luterana dell’Eritrea». Secondo Release International, in Eritrea «i cittadini hanno il dovere di denunciare tutto ciò che accade di spiacevole nella loro comunità, trasformando i normali vicini in spie. Vi sono esempi di persone che denunciano i loro stessi familiari perché cristiani».
Anche se la Costituzione garantisce la libertà, il Governo è animato da un profondo senso anti-religioso, per cui sono frequenti le violenze, gli arresti e gli espropri di beni appartenenti a comunità religiose. Sempre secondo ACS, nel maggio 2021 il governo ha chiuso o nazionalizzato nove scuole, minacciando di fare lo stesso per altre 19 scuole primarie gestite dalla Chiesa, ma già nel giugno 2019 aveva sequestrato tre ospedali, due centri sanitari e 16 cliniche appartenenti alla Chiesa cattolica, che servivano 170.000 persone all’anno.
Le religiose sono state sfrattate e i loro beni sgomberati dai centri sanitari in cui lavoravano e vivevano, e nel settembre dello stesso anno erano state sequestrate sette scuole religiose, quattro delle quali finanziate dalla Chiesa cattolica.
Il governo eritreo ha preso di mira anche la Chiesa Ortodossa Eritrea Tawahedo. Nel febbraio 2022 il patriarca Abune Antonios è morto dopo essere stato agli arresti domiciliari per 15 anni. Era stato arrestato nel 2007 e posto agli arresti domiciliari solo perché si era rifiutato di scomunicare 3.000 sacerdoti su ordine del governo e aveva criticato la loro incarcerazione.
Nel marzo 2022 sono stati arrestati 29 cristiani evangelici dopo che le forze di sicurezza avevano fatto irruzione in un incontro di preghiera in una casa di Asmara. 17 donne e 12 uomini sono stati condotti nel carcere di Mai Serwa senza nessuna accusa nei loro confronti. E’ diffusa la convinzione che in ogni quartiere viva almeno una spia del governo, una specie di “remake” del sistema STASI della DDR.
E non ci si limita alla persecuzione religiosa. Nel settembre 2022, una domenica, i soldati hanno arruolato forzatamente alcuni adolescenti che partecipavano alla Messa nella chiesa di Medhanie Alem, nel villaggio di Akrur. Le truppe hanno costretto i ragazzi del coro a indossare uniformi militari ed ad arruolarsi. Da questa situazione molti tentano la fuga, ma così facendo devono necessariamente passare in Sudan, dove cadono vittime di un regime islamista che si mostra poco propenso ad accogliere profughi cristiani.
Molte aree nel mondo pongono preoccupanti interrogativi. Fra queste, certamente l’Eritrea non gode delle prime pagine dei giornali, ma dovrebbe essere monitorata con maggiore attenzione perché, anche se non si è sensibili ai diritti umani, basterebbe aprire una cartina geografica e capire che detiene una posizione geografica strategica per il controllo del Mar Rosso.
Martedì, 22 agosto 2023