Giovanni Cantoni, Cristianità n. 2 (1973)
La comune conversazione conosce l’uso di termini come individuo, famiglia, comune, professione, mestiere, nazione, Stato, ma è certo che di questa catena di vocaboli quasi esclusivamente il primo – cioè individuo – e l’ultimo – cioè Stato – si presentano alla mente quando sono evocati dal termine politica; e certamente solo Stato emerge come possibile incarnazione di autorità, ma soprattutto di potere, di quel potere in cui anche l’autorità si esaurisce quando è privata di ogni maiestas e di ogni pietas.
Eppure la vita dell’individuo, il cui orizzonte terreno sembra limitato allo Stato, si svolge all’interno e sulla base di realtà minori, meno ufficiali ma certo non meno essenziali.
Mi piace spesso dire, in polemica antitotalitaria e antistatalistica, che la priorità dell’individuo sullo Stato si prova togliendo tutti gli individui e vedendo cosa rimane dello Stato, oppure togliendo lo Stato e vedendo se si possono immaginare individui senza Stato! Ebbene, gli individui possono esistere senza Stato, ma non si dà il contrario, ergo … Se qualcuno ha dubbi sulla bontà del ragionamento può provare a immaginare una creatura senza il Creatore, e il Creatore senza creatura: la seconda ipotesi regge, la prima no.
Proseguendo sulla scia di queste considerazioni elementari, si può constatare che un individuo, che è tranquillamente concepibile senza Stato – indubbiamente privo dei vantaggi di questa societas perfecta, ma comunque vivente -, non è invece immaginabile senza il rapporto di individui di diverso sesso, i quali a loro volta presuppongono altri individui di diverso sesso, e così via, fino a postulare una creazione, la creazione di una coppia.
Chiarissimamente la procreazione non è la creazione – non è necessario soffermarsi sul tema -, ma è anche chiaro che l’individuo della specie umana – esclusi per definizione gli elementi della coppia capostipite – necessita di altri individui che rispetto a lui stiano a monte, e certamente di un loro rapporto minimale, almeno episodico perché tale individuo possa essere concepito, ma sicuramente meno episodico perché possa essere allevato ed educato.
Dunque matrimonio e famiglia sono condizioni sine qua non per la vita dell’individuo, sia nel suo momento germinale che nella sua maturazione. Quindi, se è inimmaginabile uno Stato senza individui, è pure inimmaginabile uno Stato senza matrimonio e senza famiglia. Inoltre, considerando che la funzione dello Stato è principalmente legislativo-giudiziaria e militare, non si può pensare che sia secondo natura quello Stato che non riconosce matrimonio e famiglia, circondati da tutte le pensabili tutele per il loro retto funzionamento e anzitutto legislativamente descritti secondo il modello della loro perfezione naturale e rivelata.
Ogni situazione diversa è gravemente lesiva dell’ordine naturale, comporta conseguenze inevitabilmente dannose per il singolo e che ridondano a svantaggio e a pericolo per la comunità di cui lo Stato è ordinamento politico, e in ultima analisi per lo Stato stesso, che in questo modo si potrebbe dire che inquina le proprie fonti.
È comunque certo che tra individuo e Stato ha una sua posizione di rilievo la famiglia, sia come società matrimoniale o coniugale che come società paterna e quindi società erile o padronale. Perciò una prospettiva politico-sociale che abbia in vista esclusivamente l’individuo – come appare sempre più chiaramente nel caso dello Stato moderno – per quanto lo valuti e lo rispetti, non lo valuta e non lo rispetta nel giusto modo, ex ipsa natura rei, se non tutela realtà tanto necessaria all’individuo stesso come il matrimonio prima e la famiglia poi. Naturalmente, dicendo tutela intendo parlare di riconoscimento, di aiuto, di atteggiamento sussidiario verso una realtà primordiale a cui non dà la vita e da cui invece dipende non poco della sua vita, e non presuntuosa interferenza e indebita intromissione e coazione, come se nel Genesi si leggesse: «Dio creò lo Stato» e non piuttosto la narrazione della creazione dell’uomo e della donna!
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La tutela della famiglia comporta anzitutto il fornire a essa, o almeno il non negarle, la possibilità di esistere. L’esperienza e la ragione permettono di cogliere i legami di dipendenza che spesso uniscono il più al meno, lo spirituale al materiale; rapporti o legami di dipendenza, che non sono assolutamente di causalità, ma condizionamenti che sarebbe vano negare in nome di non meglio definite e definibili prospettive angelistiche o spiritualistiche; rapporti o legami che si potrebbero compendiare nella formula «anche i santi si cibano», chiarendo preventivamente che la considerazione non vuole, non deve suonare rivincita di naturalismo su natura domata da virtù e da grazia, ma semplicemente essere constatazione della condizione umana, colta proprio nei migliori rappresentanti dello stesso genere umano.
Ebbene, proprio alla luce di questa considerazione tanto ovvia quanto dimenticata, suona velleitaria o almeno incipiente ogni tutela della famiglia che non le permetta di esistere secondo le necessità che derivano dalla sua natura, cioè di essere una, stabile, duratura, provvida, ecc. e di conquistare con la proprietà la libertà necessaria all’esercizio della sua funzione procreatrice ed educatrice.
Senza cadere in prospettive utopistiche del tipo «tutti proprietari» – che poi si vanificano e mostrano il loro limite in vaneggiamenti di piccole proprietà equamente diffuse, ignorando gerarchie e organicità sia umane che economiche – è però necessario ricordare i vantaggi che la proprietà offre alla famiglia, come garanzia economica di libertà. È inoltre necessario vedere nella proprietà – non solo di immobili o di liquido, ma anche di professione (nel Medioevo si diceva «métier vaut baronnie») – l’unica possibilità non utopistica, cioè compatibile con la condizione umana, di liberazione dal lavoro, sia come opera «trovata» già fatta dalla natura, sia come lavoro già eseguito, non integralmente consumato e dal singolo risparmiato o ricevuto in eredità – e che quindi lascia il tempo per l’otium -; sia come lavoro creativo nell’arte che allevia la fatica. È necessario insomma non dimenticare che la proprietà sta dalla parte della libertà, mentre il lavoro sta dalla parte della necessità.
Ogni politica il cui scopo non sia la gerarchica e organica possibilità di acquisizione di proprietà da parte degli individui, delle famiglie e di tutti i corpi intermedi tra l’individuo e lo Stato – corpi che Francesco Puy propone opportunamente di chiamare basicos, basilari, fondamentali -, è contraria alla natura e rappresenta una prevaricazione socialista dello Stato totalitario, condizione per una ricaduta nella schiavitù.
GIOVANNI CANTONI