Perché il Papa è andato in Mongolia
di Michele Brambilla
L’udienza del 6 settembre è dedicata al viaggio in Mongolia. Papa Francesco dice anzitutto che «vorrei esprimere riconoscenza a quanti hanno accompagnato la mia visita con la preghiera e rinnovare la gratitudine alle autorità, che mi hanno solennemente accolto».
Prima di ripercorrere le tappe del viaggio apostolico, è importante capire perché il Papa ha scelto di compierlo. «Perché è proprio lì, lontano dai riflettori, che spesso si trovano i segni della presenza di Dio, il quale non guarda alle apparenze, ma al cuore», come nella vicenda del profeta Samuele, la cui vocazione, avvenuta da bambino, fa da sfondo alla catechesi di questo mercoledì. «Il Signore non cerca», infatti, «il centro del palcoscenico, ma il cuore semplice di chi lo desidera e lo ama senza apparire, senza voler svettare sugli altri. E io ho avuto la grazia di incontrare in Mongolia una Chiesa umile ma una Chiesa lieta, che è nel cuore di Dio, e posso testimoniarvi la loro gioia nel trovarsi per alcuni giorni anche al centro della Chiesa».
La Chiesa della Mongolia può essere presentata come modello all’interno del ciclo sullo zelo apostolico perché «quella comunità ha una storia toccante. È sorta, per grazia di Dio, dallo zelo apostolico – su cui stiamo riflettendo in questo tempo – di alcuni missionari che, appassionati del Vangelo, circa trent’anni fa sono andati in quel Paese che non conoscevano. Ne hanno imparato la lingua – che non è facile – e, pur venendo da nazioni diverse, hanno dato vita a una comunità unita e veramente cattolica. Questo infatti è il senso della parola “cattolico”, che significa “universale”»: ogni Chiesa locale specchio dell’unica Chiesa diffusa su tutta la terra.
«Ma non si tratta di un’universalità che omologa», precisa il Pontefice, «bensì di un’universalità che s’incultura, è una universalità che si incultura. Questa è la cattolicità: un’universalità incarnata, “inculturata” che coglie il bene lì dove vive e serve la gente con cui vive». Proprio «a compimento della mia visita ho avuto la gioia di benedire e inaugurare la “Casa della misericordia”, prima opera caritativa sorta in Mongolia come espressione di tutte le componenti della Chiesa locale. Una casa che è il biglietto da visita di quei cristiani, ma che richiama ogni nostra comunità a essere casa della misericordia: cioè luogo aperto, luogo accogliente, dove le miserie di ciascuno possano entrare senza vergogna a contatto con la misericordia di Dio che rialza e risana».
Cosa significhi “inculturazione” Papa Francesco lo ha spiegato molto bene nell’udienza dedicata alla Madonna di Guadalupe: occorre «vivere come il popolo mongolo», fino a «parlare la loro lingua» e a «prendere i valori di quel popolo e predicare il Vangelo in stile mongolo», mostrando come Cristo porti alla fioritura i semi di bene presenti in ogni cultura.
«Io ho potuto scoprire un po’ di questa bellezza», afferma Francesco elogiando anche la tradizione buddista mongola, con la quale è entrato in dialogo nel corso dell’incontro interreligioso del 3 settembre. «Pensiamo a quanti semi di bene, nel nascondimento, fanno germogliare il giardino del mondo, mentre abitualmente sentiamo parlare solo del rumore degli alberi che cadono! E alla gente, anche a noi, piace lo scandalo: “Ma guarda che barbarie, è caduto un albero, il rumore che ha fatto!” – “Ma tu non vedi la foresta che cresce tutti i giorni?”, perché la crescita è in silenzio. È decisivo saper scorgere e riconoscere il bene» in un mondo che enfatizza solo il male! Questo significa «allargare i confini, guardare largo e alto, guardare e non cadere prigionieri delle piccolezze, allargare i confini del nostro sguardo, perché veda il bene che c’è negli altri e sia capace di dilatare i propri orizzonti e anche dilatare il proprio cuore per capire, per essere vicino a ogni persona e a ogni civiltà».
In proposito, il Santo Padre non manca mai di pregare la Madonna per la pace in Ucraina.
Giovedì, 7 settembre 2023