Daniele Fazio, Cristianità n. 420 (2023)
1. Andate a Tommaso
Il 22 settembre 2022, ricevendo i partecipanti al Congresso Tomistico Internazionale, promosso dalla Pontifica Accademia di San Tommaso d’Aquino, Papa Francesco ha consegnato — diverso da quello pronunciato a braccio — un discorso in cui, commentando le parole contenute nell’orazione colletta della Messa della memoria liturgica del santo teologo, ha sottolineato alcuni aspetti, sia generali sia particolari, che rendono fondamentale, anche nel contesto contemporaneo, la conoscenza della dottrina e del metodo di Tommaso d’Aquino O.P. (1225-1274) (1). La colletta della celebrazione liturgica, infatti, vuole che si invochi Dio, che ha reso grande san Tommaso per la sua ricerca della santità di vita e la sua passione per la sacra dottrina, affinché doni a tutti i credenti di comprendere i suoi insegnamenti e di imitarne gli esempi (2).
Ragion per cui il Santo Padre invita in primis a considerare che Tommaso è un santo, ossia un «fedele discepolo della Sapienza incarnata» e, dunque, va seguito ed emulato su questa strada, che per lui si è declinata come ricerca appassionata della verità, tanto che fin da bambino — come riporta un suo biografo (3) — egli si è posta la domanda sulla natura di Dio.
Da qui si è sviluppato il suo itinerario intellettuale, generato e sospinto dall’amore, che lo ha reso maestro e Doctor communis. Ne deriva — sottolinea Papa Francesco — che «perseguire umilmente, sotto la guida dello Spirito Santo, l’intellectus fidei non è opzionale per il credente, ma è parte del dinamismo stesso della sua fede. Bisogna che la Parola di Dio, già accolta nel cuore, raggiunga l’intelligenza per “rinnovare il nostro modo di pensare” (cfr Rm 12,2), affinché valutiamo tutte le cose alla luce della Sapienza eterna». La fede, dunque, non può che essere feconda per la ragione e, quindi, non può che diventare cultura, ossia mentalità che guida i credenti ad analizzare quanto accade nella loro vita e nella storia alla luce delle verità naturali e soprannaturali.
Così nasce — secondo importante punto del discorsopontificio — l’attenzione di Tommaso a non disgiungere fede e ragione, ma a operare una sintesi felice fra le due istanze: ali indispensabili all’uomo, come ricordava san Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio (4), per innalzarlo verso le alte vette dello Spirito e dunque verso la conoscenza della Verità. Tommaso non nega il mondo con fughe spiritualistiche, ma tutto ordina secondo Dio: distingue per unire e non per separare. Di conseguenza, ricorda Papa Francesco, «il cristiano […] non teme di avviare un dialogo razionale sincero con la cultura del proprio tempo» perché sa che quanto vi è di buono viene da Dio.
La comprensione degli insegnamenti dell’Aquinate, perciò, raccomanda il Pontefice, quale terzo punto, non deve ridursi a contemplazione di un quadro, cioè a un’attività museale, perché il tomismo è vivente, a condizione che lo si consideri a partire da «[…] un doppio movimento vitale di “sistole e diastole”. Sistole, perché bisogna prima concentrarsi sullo studio dell’opera di San Tommaso nel suo contesto storico-culturale, per individuarne i principi strutturanti e coglierne l’originalità. Dopo, però, viene la diastole: rivolgersi nel dialogo al mondo odierno, per assimilare criticamente ciò che di vero e giusto c’è nella cultura del tempo».
In tale ottica, Papa Francesco ha subito offerto un esempio che lega la dottrina di san Tommaso sulla creazione all’impianto della sua enciclica Laudato si’. Il cuore dell’ecologia integrale sta proprio nella considerazione tommasiana del creato quale «primissima manifestazione della stupenda generosità di Dio, anzi, della sua gratuita misericordia». Esso, infatti, «[…] forma un ordine, un tutto, in cui tutte le creature sono legate perché tutte vengono da Dio e vanno a Dio, e perché esse agiscono le une sulle altre creando così una fitta rete di relazioni». Ogni creatura, dunque, è importante se la si considera alla luce del posto in cui Dio la vuole all’interno dell’ordine che Egli ha impresso al mondo. Le creature rappresentano gradi della sua perfezione: dagli enti, e in qualche mondo grazie a essi, l’uomo si può innalzare fino alla contemplazione dell’Essere stesso, Dio. L’attenzione agli insegnamenti del santo teologo deve essere continua, favorita peraltro in questo anno anche dalla felice ricorrenza del settimo centenario della sua canonizzazione, avvenuta il 18 luglio 1323 ad Avignone, in Francia, con un rito presieduto da Papa Giovanni XXII (1316-1334). Il prossimo anno, ancora, come in una lettera ha fatto notare il Maestro generale dell’Ordine dei Predicatori, il filippino fra’ Gerard Francisco Timoner III, ricorrerà invece il settecentocinquantesimo anniversario della morte del santo (5).
Su questa scia, pare opportuna una rivisitazione dei nuclei fondanti della filosofia dell’Aquinate, a partire dagli studi dello storico francese della filosofia medievale, e filosofo a sua volta, Étienne Gilson (1884-1978), che dedicò la sua intera vita allo studio del pensiero tommasiano, depurando la lezione del Dottore comune della cristianità dalle incrostazioni didattico-razionalistiche che nel corso dei secoli si erano venute a sovrapporre alla genuinità del suo pensiero e confermandone la perenne validità (6).
2. Nell’ordine teologico la filosofia dell’Aquinate
L’incontro di Gilson con il pensiero di Tommaso d’Aquino non è premeditato, ma casuale. Studiando le fonti scolastiche della filosofia cartesiana (7) — all’interno di un contesto accademico in cui a inizio Novecento dominavano lo storicismo e il positivismo — scoprì non solo che il cosiddetto Medioevo aveva avuto una propria particolare filosofia — contrariamente alle convinzioni dei suoi maestri all’università parigina della Sorbona —, ma pure che fra i più importanti metafisici dell’Occidente vi è stato il santo di Aquino. Fra l’attitudine filosofica di Gilson e il pensiero di uno dei più grandi teologi della cristianità si instaurerà così una profonda affinità, tanto che la filosofia dell’Aquinate, e in particolare il suo apporto alla metafisica e all’ontologia, sarà un parametro fondamentale per la costruzione della prospettiva teoretica del filosofo francese. Quest’ultima, in relazione al percorso filosofico occidentale, può concepirsi — secondo lo storico della filosofia Augusto Del Noce (1910-1989) — come alternativa valida all’immanentismo assoluto espresso dal filosofo neo-idealista Giovanni Gentile (1875-1944), quale esito ultimo del portato della Modernità (8), ma anche, a mio parere, come alternativa ai vari decreti di morte della metafisica enunciati, per esempio, dal filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976).
Per Gilson è chiaro che incontrare Tommaso significa principalmente trovarsi dinanzi a un teologo, a un frate votato alla povertà, a un appassionato insegnante, a un santo. Egli è consapevole di ciò e quindi si sforza di offrire la comprensione della filosofia dell’Aquinate senza risolversi in uno studio teologico, né tantomeno in una presentazione agiografica. È dunque evidente che al nostro interessava rintracciare i nuclei teoretici originali, squisitamente razionali, del pensiero del teologo domenicano.
Certamente, fra gli scritti di san Tommaso vi sono tantissime opere prettamente filosofiche: i Commentarii ad Aristotele, il Commento alle Sentenze, il De ente et essentia e il De potentia, le Questiones disputate e Quodlibeta, ma per Gilson il vero pensiero — anche filosofico — di quello che viene detto anche il Doctor angelicus si trova nelle Summae: la Summa theologiae e la Summa contra gentiles. Nelle opere di carattere filosofico, infatti, Tommaso, che aveva come riferimento soprattutto «il Filosofo», ovvero Aristotele (384-322 a.C.), si muove nell’ambito della ragione naturale greca, che da un lato ha tanto valorizzato, mentre dall’altro lato ha superato su nodi fondamentali. In questo modo Tommaso ha fatto evolvere soprattutto l’interpretazione dell’essere, dominata fino ad allora — eccezione fatta per i filosofi islamici e in particolare per Avicenna (970-1037) e per la filosofia ebraica, di cui è esponente principale Mosè Maimonide (1138-1204) — da una visione essenzialistica. In ambito teologico e per ciò che concerne la teologia naturale, invece, Tommaso rivela il suo personale pensiero, offrendo apporti originali anche a questioni squisitamente filosofiche: «le parti della filosofia tomista sono state elaborate tanto più profondamente quanto più direttamente esse interessavano la teologia tomista. La teologia di san Tommaso è quella di un filosofo, ma la sua filosofia è quella di un santo» (9).
3. Tra fede e ragione
Allargando lo sguardo, infatti, Gilson — soprattutto nel suo Il tomismo. Introduzione alla filosofia di San Tommaso d’Aquino, che si può considerare l’opera dell’intera vita del filosofo francese — spiega come i frutti più maturi del pensiero tommasiano si possono apprezzare in campo filosofico nell’interazione e nel tentativo di sintesi tra la fede e la ragione. Le novità si trovano, dunque, in un terreno limitrofo alla teologia rivelata, ma appartenente di diritto alla teologia razionale, ossia a quell’ambito di vertice del pensiero che ancora, però, ricade sotto la filosofia. È bene, quindi, comprendere come la fede e la ragione per Tommaso sono due grandi istanze che l’uomo non deve vedere come confliggenti fra loro. Esse non possono che trovare accordo, in quanto entrambe hanno un medesimo autore, Dio: «tra una ragione che viene da Dio e una rivelazione che viene da Dio, l’accordo si deve stabilire necessariamente» (10).
Ciò non vuol dire che le due istanze siano identiche, né tantomeno che non abbiano una loro autonomia e, dunque, metodi loro propri. Si deve ricordare che la ragione è una facoltà naturale dell’uomo, mentre la fede è un dono proveniente da Dio e non può essere il risultato di un mero sforzo dell’uomo. La filosofia, quindi, ha un solo strumento, quello della ragione, mentre la teologia si fonda sulla fede nella Rivelazione e da essa trae necessariamente gli articoli del Credo, che la ragione da sola non potrebbe conoscere. La luce della filosofia — se così possiamo esprimerci — viene dalla riflessione della ragione sulla natura, lato sensu, mentre la luce teologica, nel contesto cristiano, deriva precipuamente dalla Sacra Scrittura.Ma, in fondo, salvaguardando proprio questa distinzione e quest’autonomia, i risultati della ricerca razionale, della recta ratio, e quanto la Rivelazione biblica consegna all’uomo, si rispecchiano o, meglio, sia pur a livelli diversi e con una differenza gerarchica, trovano spesso esiti convergenti, soprattutto per quanto riguarda le zone di confine fra ciò che è di dominio razionale e ciò che è anche presente nel deposito della fede. Ciò significa che in presenza di qualche disaccordo la ragione, in quanto facoltà propriamente umana e quindi fallibile, ha commesso qualche errore e ha bisogno di maggiore purificazione e approfondimento. Proprio per questo su alcuni punti la Rivelazione biblica ha anche illustrato verità — dette «rivelabili» — che la ragione da sola potrebbe conoscere, ma che, lasciata a sé stessa, non espliciterebbe e non capirebbe pienamente.
Proprio nell’ambito del «rivelabile» o, meglio, della teologia naturale, deve essere ritrovata la riforma metafisica e ontologica proveniente da Tommaso. Dunque, nella riflessione su Dio, sulla genesi delle cose e del loro ritorno a Dio, l’Aquinate si presenta come un filosofo originale, in quanto l’accoglienza del dato della Rivelazione fa compiere scoperte prettamente razionali, sciogliendo nodi su cui si era arrestata la filosofia greca.
Se è vero che la filosofia dalle cose cerca di risalire verso l’essere e, quindi, verso Dio, quale principio di tutte le cose, la teologia cristiana, dovendosi occupare delle cause prime, compie esattamente il processo inverso, in quanto, illuminata dalla Rivelazione, discende da Dio per assegnare un senso a ogni realtà. Si comprende, come fa emergere Gilson, che si deve avere l’oculatezza di collocare la filosofia di Tommaso d’Aquino in quest’ordine teologico e, quindi, di accettare la sfida di partire da Dio e non dalle cose. Quella di Tommaso, dunque, è una vera e propria filosofia, ma esposta secondo un ordine teologico: «dico a buon diritto “filosofia”, perché pur insistendo sul carattere essenzialmente teologico della dottrina, sostengo più che mai che questa teologia include, per sua stessa natura, non solo di fatto ma necessariamente, una filosofia strettamente razionale» (11).
4. Fra problema e mistero
Sono certamente note le vie razionali della conoscenza di Dio — ex moto, ex causa, ex possibili et necessario, ex gradu — elaborate dall’Aquinate, anche sulla scorta del lascito greco e aristotelico. Alle «cinque vie», comunque — nota Gilson —, è sottesa una chiara attitudine di Tommaso: quella di vedere che gli esseri presenti nella realtà, per quanto possano diversificarsi fra loro e apparire diversi, dai più semplici ai più sofisticati, non hanno in sé la ragione sufficiente della loro esistenza. Ogni essere è qualcosa che è, e ciò implica principalmente l’essenza delle cose o la loro natura, ma bisogna altrettanto preoccuparsi dell’esistenza delle cose e della natura stessa: un uomo o un cavallo sono sempre un uomo che esiste o un cavallo che esiste. L’esistenza è, pertanto, diversa dalla natura delle cose e tuttavia è fondamentale per poter esprimere la loro stessa natura. Ogni essere — si comprende — non ha alcuna possibilità di darsi da sé l’esistenza: «bisogna dunque che ci sia, come causa prima di tutte le esistenze di questo tipo, un essere in cui l’essenza e l’esistenza facciano una sola cosa. È questo l’essere che noi chiamiamo Dio» (12). Qui la ragione arriva ad agganciare il dato rivelato, ovvero la medesima presentazione che Dio fa di sé stesso a Mosè: «Ego sum qui sum» (Es 3,13). Dio non è più, come nella tradizione greca, un’essenza, quale il Pensiero, l’Uno, il Bene, ma acquista in questo contesto la definizione di Atto puro di esistere: l’Io sono. È l’Essere stesso, senza bisogno di alcuna aggiunta e da cui tutto dipende. In altri termini, la sua essenza è l’atto di esistere. Qui, evidentemente, la nostra ragione ha notevoli problemi a penetrare l’essenza di Dio, per cui il nostro linguaggio si esprime in modo imperfetto e si deve ricorrere all’analogia.
Questa straordinaria acquisizione, però, muta tutto l’universo gerarchico che ne discende. La dinamica analogica permetterà di ritenere ragionevole un Dio trascendente a partire dalla sensibilità e ancora di più di comprendere l’universo quale un suo prodotto, senza per questo confondersi con esso. Tommaso ha così dimostrato l’esistenza del Dio cristiano? Assolutamente no, perché per conoscere il Dio cristiano bisogna spostarsi sul versante della Rivelazione e, quindi, della teologia rivelata. Ha però fatto emergere che la dimensione della ragione e il dato della fede, seppur nei loro differenti ordini, ci conducono a esiti convergenti e che non pongono problemi alla ragione di un credente. Gilson confidava in una lettera a Henri de Lubac (1896-1991), gesuita, teologo e cardinale francese: «Tommaso, Agostino [d’Ippona (354-430)] e tutti i grandi hanno per oggetto l’oggetto stesso della teologia: la realtà creata vista alla luce della Rivelazione, e prima di tutto Dio stesso. Perciò ogni teologia degna di questo nome finisce per fermarsi non dirò di botto, ma vacillante e a tentoni, dinnanzi all’ineffabilità essenziale di Dio. San Tommaso ha avuto in grado supremo questo senso del mistero; ma essendo al tempo stesso compenetrato di un’ammirazione senza limiti per l’intelletto — le due grandi meraviglie sono che vi sia l’essere e la conoscenza — ci mette spesso alle prese con posizioni che consistono nel definire esattamente i contorni intelligibili di un mistero il cui chiarimento filosofico completo è impossibile» (13).
In altri termini, ci troviamo in un contesto teoretico in cui problema e mistero non si oppongono, ma pur nella loro irriducibilità vengono tenuti insieme (14).
5. Nell’ordine creato: il posto dell’uomo
Il creato è, al tempo stesso, assolutamente differente dal Creatore e assolutamente partecipe della sua perfezione. Questa dinamica, espressa meglio nella nozione di partecipazione, fa in modo che ogni essere sia un riflesso di Dio e il creato stesso possa costituire un percorso verso la sua origine. Nessuna creatura, quindi, potrà mai possedere la perfezione di Dio, ma ne parteciperà. In una visione discendente, dopo Dio vi sono gli angeli, in quanto puri spiriti, pure intelligenze, quindi gli uomini e poi gli animali, i vegetali e il mondo minerale. Sicuramente al centro dell’universo tomista vi è l’uomo, in quanto essere che partecipa come corpo della materialità e in quanto spirito delle cose immateriali. Il composto umano — anima e corpo — presenta così tutta la sua originalità. In quanto anima, esso sta all’ultimo gradino delle realtà intelligenti. Dopo la gerarchia angelica — e ancor prima dopo Dio stesso — l’anima è la realtà spirituale che costituisce l’uomo, ma essa non è da sola, in quanto si unisce a un corpo che, come tale, segna il legame dell’uomo alla realtà materiale. Se, tuttavia, l’anima è all’ultimo gradino rispetto alle realtà spirituali, rispetto a quelle materiali, e quindi all’interno del mondo, essa risulta avere un primato. È il confine tra il regno spirituale e il regno dei corpi.
La conoscenza umana, dunque, non può fare a meno di esplicitarsi a partire da queste caratteristiche antropologiche. Se, infatti, l’anima permette l’astrazione e, quindi, il raggiungimento dei princìpi primi, questa operazione viene iniziata sempre a partire dal sensibile. Grazie ai sensi e, quindi, all’espressione corporea dell’uomo, che ha l’anima razionale con le sue diverse caratteristiche e ripartizioni, l’uomo è capace di apprendere. Ogni ente — suggerisce Gilson — nell’universo tomistico ha una sua natura, così come una sua materia. La natura o, per meglio dire, la forma, lo rende partecipe dell’universalità, mentre la materia lo rende particolare, lo individualizza. L’operazione della conoscenza — sensibile e intellettuale — permette, dunque, di liberare l’universale dal particolare, ma universale e particolare si devono considerare strettamente uniti. «È questa l’opera dell’intelletto agente: rendere intellegibile l’oggetto sensibile, astraendo il significato intellegibile dalle condizioni materiali. E siccome il conoscere intellettivamente è l’attività specifica dell’uomo, l’intelletto agente, condizione necessaria per tale attività, non dovrà essere concepito come una intelligenza separata, alla maniera di Avicenna, ma come una facoltà dell’anima umana» (15).
Ogni forma è naturalmente attiva, ovvero tende verso il fine della sua realizzazione: ciò fa sì che l’uomo ricerchi il bene. Tale movimento implica la presenza della volontà, che di suo racchiude proprio un’inclinazione verso il bene. Volontà e intelletto sono strettamente uniti, in quanto la volontà ha bisogno che l’intelletto le presenti il bene per poterlo raggiungere. La scelta, limitata ai beni particolari, che segna la nostra libertà, consiste nell’anelito dei vari oggetti al Bene supremo, comunque irraggiungibile: «la volontà è libera di fronte ai beni finiti, e può scegliere fra essi quello a cui si autodetermina, perché l’intelletto può cogliere il significato del bene, la ratio boni in tutta la sua ampiezza, e perché la volontà è un appetito intellettivo» (16). Questa tensione, tuttavia, ci permette di scoprire che il fine di tutto il creato, uomo compreso, è un fine trascendente a cui bisogna tendere fin dalla vita terrena, a maggior ragione per il fatto che l’anima stessa è la parte immortale dell’uomo. A illustrare all’uomo il fine e il percorso per raggiungerlo è la morale. Essa ci permette di conoscere e ordinare le passioni, allontanarci dai vizi, coltivare le virtù e perseguire la felicità che si compie nell’esercizio speculativo della conoscenza della verità. Questa, comunque, è una tappa non ultima del percorso che lascia immaginare, appunto, la conoscenza di Dio, che però non si può raggiungere pienamente, stante l’incapacità a penetrarne l’essenza. Ma ciò, invece di portarci a una posizione scettica o a rigettarci nell’angoscia, preannuncia una dimensione ultraterrena da raggiungere quale fine ultimo dell’uomo.
Rispetto a questo panorama filosofico, che mantiene il suo circolo vitale con la teologia, Gilson si è impegnato a far emergere gli elementi di assoluta novità del suo maestro ideale, Tommaso. Su questo versante è d’accordo anche la filosofa italiana Sofia Vanni Rovighi, che sottolinea come tali aspetti innovativi furono sin da subito percepiti anche dai contemporanei dell’Aquinate, non tanto rispetto ai contenuti ma quanto alla trasfigurazione di concetti presenti già da prima e ora presentati sotto un’altra prospettiva. Novità, dunque, «non nei materiali di cui era fatto [l’insegnamento], che erano quelli soliti: dottrina dei Padri, e specialmente S. Agostino, filosofia aristotelica e neoplatonica, ma, come suggerisce il testo di Guglielmo di Tocco [1280-1335], nel modo personale di ripensare quei materiali, che è poi, forse l’unico modo di essere originali in filosofia: guardare coi propri occhi quella verità che, in qualche modo, si manifesta a tutti gli uomini. E S. Tommaso era profondamente persuaso che la filosofia fosse una progressiva scoperta di una unica verità accessibile ad ogni ricercatore di buona volontà» (17).
6. Riforma metafisico-teologica ed ontologica
Contrariamente alla prospettiva agostiniana che fra i secoli XII e XIII costituiva l’esclusivo punto di riferimento della teologia cristiana, la ragione — nella linea aristotelico-tomistica — non è più soggetta a illuminazione, ovvero non intuisce le operazioni di comprensione dell’essere, ma deve riconoscere i propri limiti, per cui essa, distinta dalla fede, non si deve occupare dello specifico ordine teologico: insomma, non può cogliere le ragioni eterne e, se anche tentasse di farlo, finirebbe in un vicolo cieco. Rispetto ai limiti che Tommaso pone alla ragione in teologia va chiarito con Gilson che questi sono «testimonianza di un progresso decisivo verso la conoscenza del potere proprio della ragione; se egli proibisce ai teologi di dimostrare il dogma della Trinità o la creazione del mondo nel tempo, è proprio perché sa che cosa è una dimostrazione» (18), ovvero una spiegazione meramente razionale di un fatto o di un evento.
In questa nuova dinamica, il frutto della distinzione collaborativa fra la ragione e la fede permette di cogliere Dio non più aristotelicamente, come un Pensiero, ma come un Atto puro d’esistere che ha creato ex nihilo il mondo e quindi gli individui esistenti. Platone (428/427-348/347 a. C.) non poteva fare altro che tenere distinti mito e filosofia. Non si sarebbe mai potuto permettere, infatti, di pensare al Demiurgo come a un’idea e all’idea del bene come fosse un dio-creatore, né tantomeno di pensare all’Iperuranio come al Paradiso. Nell’ottica del pensiero cristiano vi è la possibilità di questa unione. In sant’Agostino e nello Pseudo Dionigi (V o VI secolo) non è ancora esplicita un’ontologia esistenziale, in quanto la loro produzione sul piano eminentemente filosofico appare legata all’ontologia greca, per cui «essere» è sempre un essere intelligibile e unico; in Tommaso, invece, giungendo alla nozione di Dio quale Atto puro d’essere, princìpi e cause sono riuniti e si può giungere, almeno nella mente dell’Aquinate — filosofo e credente al tempo stesso —, all’accostamento di due nozioni ora non più dicotomiche: il Dio dei sapienti, principio filosofico, e il Dio personale della storia, portato del mondo ebraico e assunto in ambito cristiano. Commenta Gilson: «Io Sono è il solo Dio di cui si possa dire che è il Dio dei Filosofi e dei sapienti ed egualmente quello di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe» (19).
Gli individui esistenti, dal loro punto di vista, formano sempre una struttura complessa che dipende dalla dinamica potenza-atto. L’unità d’esistenza, che è in questi individui e che raggruppa le loro facoltà, viene conferita proprio dall’Atto puro di esistere. In questo modo Tommaso pone dinamicamente l’actus essendi al centro di ogni ente, tanto da potersi dire che ogni ente è sempre un habens esse (20). Così, riflette Gilson, «superando l’aristotelismo, san Tommaso inseriva nella storia una filosofia che, per il suo fondo più intimo, era irriducibile ad uno qualunque dei sistemi del passato e che per i suoi principi resta perpetuamente aperta all’avvenire» (21).
7. L’ontologia esistenziale
Gli effetti, naturalmente, si evidenziano in campo ontologico. Se, infatti, Tommaso avesse adottato pienamente l’ontologia della sostanza di marca aristotelica e, quindi, la forma sarebbe stata semplicemente l’essenza di ogni ente, questa stessa non avrebbe potuto primariamente trarre origine dall’Atto puro di esistenza. In altri termini, per Gilson la dottrina ontologica dell’Aquinate si attesta sulla distinzione reale di essenza ed esistenza e l’essere, in definitiva, è una comunità fra le due istanze. Il passaggio da un’ontologia dell’essenza a un’ontologia esistenziale avviene in virtù del fatto che, ricercando l’origine delle sostanze e spingendo fino all’ultimo stadio una tale domanda, Tommaso non ha dubbi — secondo Gilson — a ritenere che la forma aristotelica — o l’essenza — non sia elemento ultimo degli oggetti, bensì questo sia proprio l’actus essendi che, come tale, ha origine non nelle cose, ma nell’Essere. Ciò vuol dire che l’esistenza e non l’essenza è l’energia originale dalla quale non solo proviene ogni ente, ma la ragione stessa di ciò che l’essere stesso è. In questo contesto ci ritroviamo per la prima volta nel percorso storico-filosofico innanzi al primato dell’esistenza sull’essenza. Questa dinamica, perciò, rappresenta una svolta importante, che pone Tommaso, anche in campo ontologico, oltre che in quello metafisico-teologico, su posizioni diverse rispetto a quelle della filosofia platonica ed aristotelica. L’essere non viene declinato secondo l’impianto essenzialistico, ma considerando appunto il primato dell’esistenza. Afferma Gilson: «ciò che di proprio san Tommaso ci ha messo è stato di spingersi all’interno dell’ente stesso […]. Alla domanda, vecchia di tanti secoli […]: che cos’è l’essere? San Tommaso ha risposto: è ciò che ha l’esistere» (22) e ancora: «da questo secondo punto di vista la forma sostanziale appare come niente di più che un quo est secondario, subordinato a quel quo est primo che è l’atto stesso di esistere […] occorre dunque collocare l’esse, o atto d’esistere, che fa sì che la sostanza così costituita sia un ens» (23).
Esse ut actus essendi è la prospettiva metafisica, ontologica e gnoseologica che più caratterizza il pensiero di Tommaso d’Aquino. L’interpretazione del filosofo francese verte, perciò, su un tomismo esistenziale — che nulla ha a che fare con la corrente filosofica dipanatasi su diversi sentieri, da quello religioso a quello ateistico, chiamata esistenzialismo (24) — su cui sicuramente non vi è stata e non vi è concordia nella costellazione di studiosi del pensiero di Tommaso. Gilson non attira, da parte sua, la filosofia di san Tommaso nelle maglie dell’esistenzialismo contemporaneo, ma con il rimarcare il carattere «esistenziale» di tale filosofia non vuol dire altro che il centro del discorso dell’Aquinate è l’essere e che esso viene raggiunto attraverso il concreto, il reale. L’esse, infatti, non può essere totalmente concettualizzato, ma può essere toccato a partire dagli enti, al cui centro è situato.
Una tale declinazione rafforza, però, la visione di un tomismo strettamente realista (25), intollerante di ogni forma di a priori e, quindi, refrattario a ogni filosofia moderna della coscienza. In virtù di questo, Gilson — in contrasto, per esempio, con la Scuola di Lovanio (26) — ribadirà che non vi può essere, se si vuol rimanere fedeli al pensiero di Tommaso, alcun compromesso fra la genuinità del tomismo e la corrente cartesiano-idealistica della modernità, perché entrambi partono da posizioni diametralmente opposte: il tomismo dall’assunto «res sunt» e ogni forma di idealismo dal primato del pensiero — cogito — sull’essere.
«Tutto il pensiero di san Tommaso si è rivolto, come prima intenzione, alla conoscenza dell’esistente concreto dato nell’esperienza sensibile e alle cause prime di questo stesso dato, siano esse sensibili o no. Dalla metafisica alla morale, tutta la sua filosofia […] ne fa fede. Questo è anche il motivo per il quale essa è e resta una filosofia autentica e non una “scolastica”, nel tanto diffuso senso peggiorativo del termine. […] Ogni filosofia degna di questo nome parte dal reale e vi ritorna, mentre ogni scolastica parte da una filosofia e vi ritorna. […] La dottrina di san Tommaso si è potuta degenerare in scolastica ogni volta che la si è separata dal reale che ha per solo oggetto di illuminare. Non è una buona ragione per credere che essa lo sia, perché l’oggetto del tomismo non è il tomismo, ma il mondo, l’uomo e Dio raggiunti come esistenti nella loro esistenza. È dunque vero che […] la filosofia di san Tommaso è a pieno diritto esistenziale» (27).
L’essere, per Tommaso, non va attirato totalmente nelle maglie della concettualizzazione, anzi non scaturisce per nulla dall’essenza, ma può essere concepito semplicemente se si ribalta questa impropria interpretazione che, fin da Parmenide (metà VI e metà V secolo a.C.), ha equiparato essere e pensare. Per Tommaso è esattamente l’opposto e su questo sentiero può quindi trascendere l’ontologia dell’essenza, tipicamente greca, discernendo in cosa le due dimensioni siano unite e in cosa si distinguono. La distinzione sta nel fatto che la radice dell’esistere esula dall’essenza e ne costituisce l’origine; l’unione sta nel fatto che non vi può essere essenza senza atto d’essere. Dunque, esse ut actus essendi è il nome e il programma della riforma ontologica operata da Tommaso ed è il nome del passaggio da un’ontologia dell’essenza a una ontologia esistenziale.
Una tale revisione dell’ontologia si è potuta generare grazie allo stimolo dato dalla Rivelazione, che ha definitivamente mostrato alla ragione la compatibilità del principio in ambito filosofico con quello del Dio creatore e della storia della Rivelazione, ragion per cui la metafisica di Tommaso — che può essere definita la «metafisica dell’Esodo», «Ego sum qui sum» — pervade ogni nuova concezione, a partire appunto dalla rinnovata interpretazione di ciò che l’essere è.
Daniele Fazio
Note:
1) Cfr. Francesco, Discorso ai partecipanti al Congresso Tomistico Internazionale, promosso dalla Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino,del 22-9-2022. Tutte le citazioni senza riferimento sono tratte da questo documento.
2) «O Dio, che in san Tommaso d’Aquino hai dato alla tua Chiesa un modello sublime di santità e di dottrina, donaci la luce per comprendere i suoi insegnamenti e la forza per imitare i suoi esempi» (Messale romano, riformato a norma dei Decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgato da Papa Paolo VI [1963-1978] e riveduto da Papa Giovanni Paolo II [1978-2005], trad. it., 3ᵃ edizione, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, Roma 2020, p. 526).
3) Cfr. Petrus Calo O.P. (metà sec. XIII-1348), Vita s. Thomae Aquinatis, notis historicis et criticis illustrati, a cura di Dominicus Prümmer O.P. (1866-1931), vol. I [e unico], Tolosa 1911, pp. 17-55 (p. 19).
4) «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Fides et ratio» circa i rapporti tra fede e ragione, del 14-9-1998, incipit).
5) Cfr. il sito web <https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/domenicani-il-doppio-giubileo-in-onore-di-tomaso-d-aquino>, consultato il 30-4-2023.
6) Cfr. il mio Étienne Gilson. Metafisica dell’actus essendi e modernità, Orthotes editrice, Napoli-Salerno 2018.
7) Cfr. étienne Gilson, La liberté chez Descartes et la théologie, Vrin, Parigi 1987; e Idem, Index scolastico-cartésien, Vrin, Parigi 1982.
8) Cfr. il mio Ermeneutica del moderno. Un confronto tra Étienne Gilson e Augusto Del Noce, in Aretè. International Journal of Philosophy, Human and Social Science, vol. V, 2020, pp. 214-233.
9) É. Gilson, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d’Aquino, trad. it., Jaca Book, Milano 2011, p. 14.
10) Ibid., p. 31.
11) Ibid., p. 1.
12) É. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1999, p. 638.
13) Idem, Un dialogo fecondo. Lettere di Étienne Gilson a Henri de Lubac, trad. it., Marietti, Milano 1990, p. 59.
14) In modo molto suggestivo Gilson pone la relazione difficile e vertiginosa fra il problema e il mistero, istanze che solo apparentemente definiscono due ambiti diversi, ma che si rincorrono e rinfocolano vicendevolmente, in quanto da un lato la ragione può problematizzare il mistero e dall’altro la filosofia trova all’interno stesso delle sue tematiche nuclei che rivestono aura di mistero: «il pericolo comincia davvero nel momento preciso in cui il problema posto dal mistero stesso e come incluso in esso, pretenda di bastare a se stesso e di rivendicare autonomia che non ha. Quando un filosofo commette quest’errore, s’impegola, con le sue combinazioni di concetti astratti, in un’impresa che non può portare a termine. Ci si inoltra allora nel campo delle antinomie della ragione pura. E Kant [Immanuel, 1724-1804] non ha avuto torto di dire che è impossibile uscirne, ma bisogna aggiungere che tutto invita la ragione filosofica a non entrarci, poiché essa non dev’essere né discussione di puri problemi né abdicazione davanti al mistero, ma sforzo continuamente rinnovato a trattare ogni problema come legato ad un mistero o a problematizzare il mistero scrutandolo con l’aiuto del concetto. Ora c’è un mistero di cui si può dire a buon diritto che è per eccellenza l’oggetto della filosofia, poiché la metafisica lo presuppone: il mistero dell’atto di esistere. Ponendolo al centro stesso del reale, la filosofia di san Tommaso si è messa al sicuro dal rischio, fatale al pensiero metafisico, di sterilizzarsi nella purezza dell’astrazione» (Idem, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d’Aquino, cit., pp. 616-617).
15) Sofia Vanni Rovighi (1908-1990), Storia della filosofia medievale. Dalla patristica al XIV secolo, Vita e Pensiero, Milano 2006, pp. 112-113.
16) Ibid., p. 113.
17) Ibid., p. 104.
18) É. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche al XIV secolo, cit., p. 905.
19) Idem, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d’Aquino, cit., p. 221.
20) Spiega Vanni Rovighi: «Dio è l’Ipsum esse substinens, e l’Essere sussistente è uno solo; ogni altro ente dunque non è l’essere ma lo ha, lo riceve, ne partecipa, il che è quanto dire: è causato. Ma se ogni ente che non sia Dio è causato, non vi è nulla che non dipenda da Dio, e quindi Dio non trova nulla fuori di sé, per dir così, e perciò produce dal nulla tutto ciò che produce, ossia è creatore» (S. Vanni Rovighi, op. cit., pp. 109-110).
21) É. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche al XIV secolo, cit., p. 649.
22) Idem, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d’Aquino, cit., p. 652.
23) Ibid., p. 228.
24) Cfr. Armando Rigobello (1924-2016), voce Esistenzialismo, in Enciclopedia filosofica, 20 voll., Bompiani, Milano 2010, vol. V, pp. 3604-3616.
25) Cfr. É. Gilson, Il realismo. Metodo della filosofia, trad. it., Leonardo da Vinci, Roma 2008; e Idem, Realismo tomista e critica della conoscenza, trad. it., Studium, Roma 2012.
26) Scuola filosofica di ispirazione tomistica, fondata presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, dal futuro cardinale Désiré Mercier (1851-1926) nel 1882. Da essa nacque il movimento detto neotomismo, che in Italia influenzò particolarmente i filosofi dell’Università Cattolica di Milano.
27) É. Gilson, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d’Aquino,cit.,p. 607.