Una breve riflessione con la speranza di un’Italia migliore
di Marco Invernizzi
Trascorsi alcuni giorni dalla morte di Giorgio Napolitano, credo sia possibile trattare la figura del Presidente emerito della Repubblica con il necessario rispetto che si deve sempre alle istituzioni e agli uomini che le hanno incarnate, ma anche con l’altrettanto necessario rispetto per la verità dei fatti e le conseguenze che ne derivano.
Gli italiani sono stati giustamente “invasi” dai commenti sulla morte di Napolitano, come è giusto che sia per la scomparsa di un Capo dello Stato. Confesso che non ho seguito moltissimo il dibattito seguito alla morte, sia per la quantità sia per la qualità delle polemiche, che non sono mancate. Mi ha colpito la reazione critica alle parole di Gianni Letta, quando ha detto che Napolitano e Berlusconi si chiariranno «lassù» e dal PD sono arrivate contestazioni, come titola Repubblica. Che nel nostro già cattolicissimo Paese non si possa evocare il Cielo senza subire contestazioni mi sembra una cosa veramente triste, che dà la misura della deriva laicista del Partito Democratico. Una deriva confermata dalla reazione scomposta da parte degli stessi ambienti laicisti allo spot di Esselunga sulla bellezza della famiglia, unita e composta da papà e mamma con figli.
Mi ha colpito anche un altro titolo, sempre di Repubblica: «La freddezza della destra», riferita ai funerali. Credo che il titolista del quotidiano intendesse soprattutto i parlamentari di destra partecipanti al “funerale laico”, ma mi ci metto anch’io, come privato cittadino. Anche a me la morte di Napolitano non ha provocato nessuna particolare emozione, se non quella pietà che si deve a ogni uomo che affronta il momento più importante della vita.
Ma mi sono anche chiesto: che cosa devo fare di fronte alla morte di un uomo pubblico come Napolitano?
Sono cristiano e la domanda è diventata subito un esame di coscienza. Le istituzioni sono una cosa seria, e Napolitano è stato il Presidente del mio Paese. Questo è un fatto che impone rispetto. Tuttavia rimane che Napolitano, nel lontano 1956, sostenne l’invasione sovietica che massacrò gli insorti di Budapest, che nel 1974 plaudì all’espulsione dall’Unione Sovietica di Solzenichyn, che non volle firmare il decreto legge del governo che, nel 2009, avrebbe salvato la vita di Eluana Englaro. Come posso dimenticare che Napolitano è stato dalla parte della morte e della violenza nei momenti chiave della sua storia pubblica, e non mi risulta che si sia veramente dissociato da questi suoi atti pubblici? Che fare, dunque, davanti alla sua morte?
La morte è il momento più serio della vita e io ho pregato per la salvezza eterna di Giorgio Napolitano, nella speranza che possa veramente chiarirsi con Berlusconi nella luce e nella pace dell’eternità. L’ho fatto con speranza e con la certezza che il Signore conosce i cuori e sa andare oltre le apparenze, sa penetrare dentro quel mistero che è ogni uomo, continuando ad amare anche chi, come Napolitano, ha esplicitamente rifiutato il Mistero se, come sembra, non ha voluto il sacramento dell’Estrema Unzione e il funerale cristiano.
L’ho fatto perché a nessuno, dico proprio nessuno, augurerei mai la dannazione eterna, la cosa più drammatica che possa capitare a un uomo. Tuttavia, i fatti rimangono, la lunga militanza comunista mai rinnegata, l’uso del potere per condannare a morte Eluana, che altri volevano salvare, l’ostilità esplicita ai governi di centro-destra guidati da Berlusconi. Tutto questo non può essere cancellato dalla sua biografia; in qualche modo lo ha ricordato, con una encomiabile delicatezza, il figlio Giulio durante i funerali, quando ha detto che il padre «ha combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate» (Ansa). Credo allora sia giusto ricordare queste “cause sbagliate”, che non sono di poco conto, senza paura di offendere le istituzioni, che vanno comunque salvaguardate.
Per concludere, mi è venuto spontaneo confrontare i due funerali che hanno attirato tanta attenzione in questi ultimi mesi, quello di Silvio Berlusconi e, appunto, quello di Napolitano. Se il Presidente della Repubblica ha ricevuto l’omaggio di tutte le più alte istituzioni, non solo italiane ma anche europee e internazionali, il più volte Presidente del Consiglio Berlusconi ha certamente ricevuto l’omaggio del “suo” popolo, devoto fino in fondo, nonostante le traversie giudiziarie, il declino politico e le “cadute” morali e di stile, che gli sono state perdonate da milioni di uomini che hanno sempre guardato al Cavaliere come a un punto di riferimento.
Anche questo confronto ci faccia riflettere. Non c’è nulla di populista nel mio giro mentale, né tantomeno disprezzo per gli istituti fondamentali su cui si regge un sistema politico. Ma se non si capisce che gli uomini non percepiscono soltanto il fascino del potere, se non si comprende che hanno bisogno di qualcosa che vada oltre, anche se spesso lo identifichiamo in personaggi discutibili, allora la nostra sarà sempre un’Italia mediocre e senza speranza.
I due funerali sono stati una fotografia dell’Italia di oggi, delle sue contraddizioni, e sono stati soprattutto il segno del profondo grado di scristianizzazione avvenuto nel Paese. Da una parte il rifiuto del conforto cristiano, dall’altro un cristianesimo sociologico che rimane, ma sullo sfondo, certo non come qualcosa di centrale. A noi non è dato giudicare le coscienze di entrambi, perché soltanto Dio conosce veramente il cuore di ogni uomo, ma noi possiamo e dobbiamo prendere atto della realtà, e da essa ripartire se vogliamo veramente contribuire alla nascita di un’Italia migliore.
Lunedì, 2 ottobre 2023