La grande opera di inculturazione dei ss. Cirillo e Metodio
di Michele Brambilla
Papa Francesco si sofferma, nell’udienza del 25 ottobre, sul più famoso esempio di inculturazione nel corso della prima evangelizzazione del continente europeo: i ss. Cirillo e Metodio. «Nati in Grecia nel IX secolo da famiglia aristocratica, rinunciano alla carriera politica per dedicarsi alla vita monastica. Ma il loro sogno di un’esistenza ritirata dura poco. Vengono inviati come missionari nella Grande Moravia, che all’epoca comprendeva vari popoli, già in parte evangelizzati, ma presso i quali sopravvivevano molti costumi e tradizioni pagani. Il loro principe chiedeva un maestro che spiegasse la fede cristiana nella loro lingua», che era il paleoslavo.
«Il primo impegno di Cirillo e Metodio è dunque studiare a fondo la cultura di quei popoli. Sempre quel ritornello: la fede va inculturata e la cultura va evangelizzata», e per fare ciò bisogna studiare a fondo la cultura di coloro che ricevono il Vangelo. «Cirillo chiede se abbiano un alfabeto; gli rispondono di no. Ed egli replica: “Chi può scrivere un discorso sull’acqua?”. In effetti, per annunciare il Vangelo e per pregare ci voleva uno strumento proprio, adatto, specifico. Inventa così l’alfabeto glagolitico», che gli serve soprattutto per tradurre la Bibbia e la liturgia, creando uno strumento ancora valido in tutto il mondo slavo. «La gente sente che quella fede cristiana non è più “straniera”, ma diventa la loro fede, parlata nella lingua materna. Pensate: due monaci greci che danno un alfabeto agli Slavi. È questa apertura di cuore che ha radicato il Vangelo tra di loro», è questo il coraggio, dice il Papa, che deve sostenere anche i nuovi evangelizzatori.
«Ben presto, però, iniziano i contrasti da parte di alcuni Latini, che si vedono sottrarre il monopolio della predicazione tra gli Slavi»: il Pontefice non manca si rimproverare «quella lotta dentro la Chiesa, sempre così»: le beghe interne sono sempre pagate dall’evangelizzazione e dai popoli raggiunti dalla missione, davanti ai quali si offre una contro-testimonianza del tutto gratuita. Fortunatamente «insieme al fratello Metodio si appella al Papa e questi approva i loro testi liturgici in lingua slava, li fa collocare sull’altare della chiesa di Santa Maria Maggiore e canta con loro le lodi del Signore secondo quei libri»: si conferma ancora una volta decisivo il ruolo di Roma nel superamento di certe dinamiche controproducenti.
«Guardando la testimonianza di questi due evangelizzatori, che San Giovanni Paolo II ha voluto compatroni d’Europa e sui quali ha scritto l’Enciclica Slavorum Apostoli, vediamo tre aspetti importanti. Anzitutto, l’unità»: ai tempi (IX sec.), l’unità della Chiesa non era ancora stata rotta dallo Scisma d’Oriente (1054). Non c’è vera missione senza rimanere uniti alla Chiesa cattolica! «Un secondo aspetto importante è l’inculturazione, del quale ho detto qualcosa prima: evangelizzare la cultura e l’inculturazione fa vedere che l’evangelizzazione e cultura sono strettamente connesse. Non si può predicare un Vangelo in astratto, distillato, no»: deve incarnarsi in una civiltà.
Terzo, «la libertà. Nella predicazione ci vuole libertà» dai condizionamenti, interiori ed esteriori, che possono verificarsi. «In questo tempo, non lasciamo che le nuvole dei conflitti nascondano il sole della speranza. Anzi, affidiamo alla Madonna l’urgenza della pace affinché tutte le culture si aprano all’afflato di armonia nello Spirito», esorta Francesco rivolgendosi in particolare ai pellegrini di lingua portoghese, pensando però sia all’Ucraina che alla Terra Santa.
Giovedì, 25 ottobre 2’023