A mensa con il Re siederanno i veri “benedetti”, cioè tutti coloro che non rientrano nei criteri “appariscenti” della mondanità
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco all’inizio dell’Angelus del 26 novembre, «oggi non posso affacciarmi dalla finestra perché ho questo problema di infiammazione ai polmoni e a leggere la riflessione sarà mons. Braida», additato davanti al mondo intero, tra il serio e il faceto, come l’autentico ghost writer delle riflessioni papali.
«Oggi, ultima domenica dell’Anno liturgico e Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il Vangelo ci parla del giudizio finale (cfr Mt 25,31-46) e ci dice che esso sarà sulla carità. La scena che ci presenta è quella di una sala regale, in cui Gesù, “il Figlio dell’uomo” (v. 31), è seduto in trono. Tutti i popoli sono radunati ai suoi piedi e tra essi spiccano “i benedetti” (v. 34), gli amici del Re», cioè di Gesù. Ma chi sono costoro?
Il Papa prosegue osservando che «secondo i criteri del mondo gli amici del re dovrebbero essere quelli che gli hanno dato ricchezze e potere, che lo hanno aiutato a conquistare territori, a vincere battaglie, a farsi grande fra gli altri sovrani, magari a comparire come una star sulle prime pagine dei giornali o sui social, e a loro egli dovrebbe dire: “Grazie, perché mi avete reso ricco e famoso, invidiato e temuto”». Gesù ha altri criteri: per Lui «gli amici sono altri: sono coloro che lo hanno servito nelle persone più deboli. Questo perché il Figlio dell’uomo è un Re completamente diverso, che chiama i poveri “fratelli”, che si identifica con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati». Ecco che il profilo degli amici del Re inizia a delinearsi: non sono coloro che hanno successo stando ai parametri mondani, ma tutti coloro che gli stessi parametri tengono ai margini.
«Ebbene, il Vangelo oggi ci dice che si è “benedetti” se si risponde a queste povertà con amore, col servizio: non voltandosi dall’altra parte, ma dando da mangiare e da bere, vestendo, ospitando, visitando, in una parola facendosi vicini a chi è nel bisogno. E questo perché Gesù, il nostro Re che si definisce Figlio dell’uomo, ha le sue sorelle e i suoi fratelli prediletti nelle donne e negli uomini più fragili», crocifissi come Lui dalle varie circostanze della vita o dai prepotenti di questo mondo.
A proposito di affamati, colpisce la menzione, tra i saluti, dell’anniversario dell’Holodomor, «il genocidio perpetrato dal regime sovietico che, 90 anni fa, causò la morte per fame di milioni di persone. Quella lacerante ferita, anziché rimarginarsi, è resa ancora più dolorosa dalle atrocità della guerra che continua a far soffrire quel caro popolo» per cui esorta ancora a pregare. Almeno sull’altro fronte caldo «oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti – pensiamo alle loro famiglie! –, che entrino a Gaza più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo» tra le parti.
I dolori che attraversano il pianeta non devono paralizzare nello sconforto, ma casomai incentivare la spinta missionaria. «Oggi si celebra nelle Chiese particolari la 38ª Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema Lieti nella speranza. Benedico quanti prendono parte alle iniziative promosse nelle diocesi, in continuità con la GMG di Lisbona. Abbraccio i giovani, presente e futuro del mondo, e li incoraggio a essere protagonisti gioiosi della vita della Chiesa» e della ricostruzione del mondo a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Lunedì, 27 novembre 2023