L’importanza di non “sfuggire” alla propria epoca e di non deprecarla, consegnandole il messaggio d’amore di Gesù
di Michele Brambilla
L’infiammazione ai polmoni non consente a Papa Francesco di leggere personalmente neppure il testo preparato per l’udienza del 29 novembre, ma è fisicamente presente in Aula Nervi. In questa pagina di Magistero ricorda che «le scorse volte abbiamo visto che l’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; vediamo oggi un terzo aspetto: esso è per l’oggi», soffermandosi sul fatto che «si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione».
In particolare, «l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi. Ma al tempo stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro. E così consegna le grandi aspirazioni umane alle logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente».
Il Papa cita a proposito «il racconto della città di Babele e della sua torre (cfr Gen 11,1-9). In esso si narra un progetto sociale che prevede di sacrificare ogni individualità all’efficienza della collettività. L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità». Per impedire che l’uomo si faccia del male da solo, inseguendo un suo «delirio di onnipotenza», Dio ricrea subito la pluralità delle lingue, rendendo evidente la confusione che regna tra i costruttori della torre, uniti solo dal desiderio di scalare il Cielo con soli mezzi umani.
«Sembra davvero attuale questo racconto: anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere», osserva il Pontefice. Ciononostante, non c’è epoca inadatta all’annuncio del Vangelo. «Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla», rimprovera, «ma perché viene testimoniata con la vita».
Se ne deduce che «lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita», “fermentando” la pasta del mondo. Il Santo Padre aggiunge un pensiero per la Terra Santa e l’Ucraina. «Pace, per favore, Pace. Auspico che prosegua la tregua in corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari», attesi anche nella parrocchia latina di Gaza, costantemente in contatto con il Vaticano. Quanto al fronte ucraino, «che soffre tanto, ancora in guerra. Fratelli e sorelle, la guerra sempre è una sconfitta. Tutti perdono» con la guerra, e i guadagni dei fabbricanti di armi sono un’ulteriore sconfitta dell’umanità.
Giovedì, 30 novembre 2023