Carmelo Leotta, Cristianità n. 421 (2023)
1. Il decreto-legge del 6 febbraio 2009 e la sua mancata emanazione
La recente scomparsa di Silvio Berlusconi (1936-2023) è stata per taluni l’occasione per ricordare, fra le molte vicende della sua vita politica e privata, il tentativo compiuto dall’allora Presidente del Consiglio dei ministri, nel febbraio 2009, d’impedire l’interruzione del trattamento di sostegno vitale di Eluana Englaro (1970-2009), giovane donna rimasta vittima il 18 gennaio 1992 di un grave incidente stradale, che le aveva procurato una lesione dei tessuti cerebrali corticali e subcorticali, riducendola in stato vegetativo persistente, con tetraparesi spastica e perdita di ogni facoltà psichica superiore.
Il padre di Eluana, Beppino Englaro — nominato tutore nel 1996 all’esito di un complesso iter giudiziario —, aveva infine ottenuto dalla Corte di appello di Milano, con decisione del 25 giugno 2008, l’accoglimento dell’istanza «di autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale [della figlia] realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico» (1). Tale decreto era stato impugnato dal procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, il quale lamentava che si fosse erroneamente ritenuta preclusa una reiterazione dell’indagine sulla irreversibilità dello stato vegetativo di Eluana e che non fosse stata adeguatamente motivata la conclusione circa l’irreversibilità di tale condizione, in assenza di una nuova consulenza tecnica d’ufficio, pur richiesta. Le sezioni unite della Corte di cassazione, tuttavia, con decisione dell’11 novembre 2009, depositata il giorno 13, dichiararono il ricorso inammissibile per assenza di legittimazione ad impugnare della pubblica accusa.
Quest’ultima decisione determinò una forte reazione nel mondo giuridico italiano. Per ricordare solo due autorevoli interventi: il professor Francesco Gentile (1936-2009), filosofo del diritto dell’Università di Padova, già preside della Facoltà di Giurisprudenza presso lo stesso ateneo, definì la decisione delle sezioni unite della Cassazione «un paradosso che scuote le fondamenta giuridiche della nostra comunità, qualcosa di apocalittico e da non minimizzare»; e ancora «un assurdo giuridico, un obbrobrio viziato dall’ideologia» (2). Non meno clementi furono le parole di Marta Cartabia, futuro giudice, e poi presidente, della Corte Costituzionale, e ministro della Giustizia nel Governo Draghi, che, in qualità di professoressa di Diritto costituzionale nell’Università di Milano-Bicocca, stigmatizzava il giudizio di inammissibilità, formulato dalle sezioni unite, del ricorso del procuratore generale di Milano contro il decreto della Corte di appello, ritenendo che tale giudizio fosse frutto di una valutazione non condivisibile, secondo cui «la decisione se sia possibile far morire una persona in stato vegetativo permanente è considerata dalla Corte [di cassazione] un affare meramente privato, che non riguarda la vita della società». Inoltre, ben cogliendo il fulcro del problema, criticava aspramente la scelta, già compiuta dalla sentenza della Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007 (di cui si dirà più avanti), di qualificare la richiesta del tutore di interrompere il trattamento dell’incapace come atto di autodeterminazione terapeutica praticato in nome e per conto del paziente, a presidio della libertà individuale di quest’ultimo. E concludeva: «il diritto all’autodeterminazione del soggetto incapace: un ossimoro, se non fosse affermato dalla Suprema Corte di cassazione» (3).
Fatto sta che i rimedi giudiziari erano stati tutti esauriti: il 3 febbraio 2009, Eluana fu trasportata a bordo di un’ambulanza dalla casa di cura Talamoni di Lecco alla Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) La Quieta di Udine. Il mattino del 6 febbraio venne avviata la progressiva riduzione dell’alimentazione.
Qui si colloca l’intervento di Silvio Berlusconi: quello stesso pomeriggio il Consiglio dei ministri approvò il testo di un decreto-legge volto a vietare la sospensione dell’alimentazione e della idratazione della paziente. Il testo del decreto era il seguente: «In attesa dell’approvazione di una completa ed organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e idratazione in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi».
Tuttavia, l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano si rifiutò di firmare il decreto-legge, ritenendolo incostituzionale, come dichiarato con comunicato stampa del Quirinale (4). Già il 6 febbraio, con una nota inviata al presidente del Consiglio dei ministri, il presidente Napolitano, prima ancora dell’approvazione del decreto-legge da parte del governo, aveva preannunciato che non lo avrebbe firmato. Napolitano — invocata la «funzione di garanzia istituzionale che la Costituzione assegna al Capo dello Stato», da cui discende «il potere del Presidente della Repubblica di rifiutare la sottoscrizione di provvedimenti di urgenza manifestamente privi dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall’art. 77 della Costituzione o per altro verso manifestamente lesivi di norme e principi costituzionali» — dichiarava di ritenere carenti i requisiti della necessità e urgenza previsti dall’art. 77 della Costituzione in vista dell’esercizio del potere del governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza e invitava il presidente Berlusconi «[…] ad evitare un contrasto formale in materia di decretazione di urgenza che finora ci siamo congiuntamente adoperati per evitare» (5).
Il decreto-legge venne comunque approvato dal Consiglio dei ministri, ma, in assenza di firma da parte del Presidente della Repubblica, non fu emanato e, dunque, non entrò in vigore.
Con comunicato stampa dell’8 febbraio il Quirinale informava che il presidente della Repubblica aveva ricevuto il giorno precedente una telefonata del card. Tarcisio Bertone, allora Segretario di Stato vaticano, nel corso della quale l’alto prelato, premessa la stima personale per il Capo dello Stato e la volontà di non interferire nelle vicende italiane, aveva ribadito «le note posizioni della Santa Sede sui problemi in questione» (6).
Nel frattempo, il Consiglio dei ministri, in sessione straordinaria, approvava il disegno di legge n. 1369, presentato al Senato, lunedì 9 febbraio, dallo stesso Berlusconi e dal ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi; tuttavia, Eluana morì quella stessa sera, alle ore 19 circa.
Diffusasi la notizia della morte, il presidente della Repubblica, con comunicato stampa, dichiarò: «Dinanzi all’epilogo di una lunga tragica vicenda, il silenzio che un naturale rispetto umano esige da tutti può lasciare spazio solo a un sentimento di profonda partecipazione al dolore dei familiari e di quanti sono stati vicini alla povera Eluana» (7).
2. La vicenda giudiziaria pregressa
L’iter giudiziario che portò all’interruzione dei trattamenti salvavita nei confronti di Eluana si articolò in tre fasi, nel corso delle quali il tutore e padre della ragazza — convinto della impossibilità per la stessa di riprendere coscienza nonché della irreversibilità della patologia e, ancora della inconciliabilità di tale stato e del trattamento di sostegno vitale in corso con le convinzioni precedentemente espresse dalla figlia sul senso della vita e sulla dignità personale — aveva richiesto ripetutamente all’autorità giudiziaria un provvedimento che disponesse l’interruzione del trattamento.
Nel primo procedimento, instaurato nel 1999, l’istanza del tutore fu dichiarata inammissibile dal tribunale di Lecco perché incompatibile con il principio di tutela assoluta inderogabile del diritto alla vita. Il provvedimento venne confermato dalla Corte di appello di Milano il 31 dicembre 1999.
Il secondo procedimento fu instaurato nel febbraio 2002: l’istanza venne nuovamente rigettata dal tribunale di Lecco nel successivo mese di luglio, ribadendo il principio di necessaria e inderogabile prevalenza del diritto alla vita anche dinanzi a qualunque condizione patologica e a qualunque contraria espressione di volontà del malato. La Corte di appello di Milano, interpellata in sede di reclamo, confermò la decisione del tribunale il 17 ottobre 2003. La decisione della Corte di appello fu impugnata dinanzi alla Corte di cassazione, che dichiarò il ricorso inammissibile con ordinanza n. 8291 del 20 aprile 2005, per difetto di partecipazione al procedimento del curatore speciale della persona incapace.
Il terzo procedimento fu avviato, a seguito dell’ordinanza della Cassazione, il 30 settembre 2005 congiuntamente dal tutore Beppino Englaro e dal curatore della persona incapace. La richiesta venne ancora una volta dichiarata inammissibile dal tribunale il 2 febbraio 2006, ritenuto che il tutore non fosse legittimato, nonostante l’assenso del curatore della persona incapace, ad esprimere scelte al posto o nell’interesse di Eluana, trattandosi di scelte che avrebbero coinvolto diritti e atti personalissimi. La Corte di appello di Milano con provvedimento del 16 dicembre 2006 reputava ammissibile il ricorso, stante il generale potere di cura della persona da riconoscersi in capo alla rappresentante legale dell’incapace ai sensi degli articoli 357 e 424 del codice civile. Tuttavia, ritenne che l’istanza del tutore nel merito non fosse accoglibile poiché l’attività istruttoria espletata non consentiva di attribuire alle idee della persona incapace, espresse all’epoca in cui era cosciente e sana, efficacia tale da renderle idonee a manifestare una volontà certa di contrarietà alla prosecuzione delle cure e dei trattamenti salva-vita.
Beppino Englaro propose ricorso per Cassazione il 6 marzo 2007, cui fece seguito la sentenza della Suprema Corte n. 21748 del 16 ottobre 2007, con cui si ritenne, in estrema sintesi, che:
- —nelle situazioni in cui sono in gioco il diritto alla salute o alla vita, ovvero in cui assume rilievo il rapporto medico-paziente, la soluzione giuridica degli interessi in gioco deve fondarsi sul riconoscimento, in posizione primaria, dell’autodeterminazione terapeutica, da cui il diritto del malato anche di rifiutare o di interrompere il trattamento sanitario necessario alla vita;
- —tale diritto sussiste anche nel caso in cui il soggetto adito non sia più in grado di manifestare la sua volontà; in assenza di una volontà manifestata dall’interessato, al posto dell’incapace, è autorizzato a compiere tale scelta il suo legale rappresentante, legittimato anche a chiedere l’interruzione dei trattamenti che tengono in vita artificialmente l’incapace;
- —dal momento che la scelta terapeutica muove spesso da convinzioni etiche, religiose, e comunque soggettive, del malato, anche quando la volontà è espressa dal rappresentante, la scelta deve essere espressione delle convinzioni valoriali del paziente, ancorché incapace;
- —la scelta terapeutica deve comunque essere vincolata al best interest del malato.
Il cuore della sentenza si rinviene nel passaggio in cui ammette che, quando il malato si trovi da anni in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione e idratazione, il tutore del paziente, nel contraddittorio con il curatore speciale, può richiedere, e il giudice può autorizzare, la disattivazione di tale presidio sanitario in presenza dei seguenti presupposti: «(a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona» (8). In assenza di uno di questi presupposti, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita.
3. La decisione della Cassazione del 16 ottobre 2007
La decisione della Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007 segnò il momento di svolta nella vicenda di Eluana Englaro, cui fecero seguito le già menzionate decisioni del 2008, prima quella della Corte di appello di Milano, che accolse l’istanza di autorizzazione a disporre l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana, e poi quella delle sezioni unite della Cassazione, che dichiarò inammissibile il ricorso del procuratore generale contro lo stesso decreto della corte milanese.
La decisione della I sezione della Cassazione, tuttavia, non segnò un punto di svolta solo nella vicenda storica di Eluana, ma anche l’approdo, quanto meno sul piano della giurisprudenza, a posizioni che, in estrema sintesi, si possono riassumere nei termini che seguono:
- —sul piano del metodo, la decisione del 2007 è espressione emblematica del cosiddetto «creazionismo giudiziario», tale per cui il giudice, in particolare le alte corti, produce in modo innovativo le regole di diritto, anche in antitesi con il diritto positivo, così come interpretato in modo consolidato nel tempo. L’adozione di tale metodo decisorio, a prescindere dai contenuti della decisione, è purtroppo assai frequente nei provvedimenti giurisdizionali a forte impatto etico-valoriale e le corti di tutto il mondo, a partire dalla Corte Suprema degli Stati con il caso Roe c. Wade del 1973, ne hanno fatto ampio utilizzo, facendosi paladini di posizioni di «avanguardia rivoluzionaria» nella disciplina della biogiuridica;
- —sul piano dei contenuti, la sentenza del 2007 riduce la scelta terapeutica a mera autodeterminazione, laddove essa è invece sintesi dei tre criteri bio-etici e bio-giuridici di autonomia del paziente, beneficialità della cura e giustizia; quest’ultimo inteso come parità di trattamento dei malati. Tutti e tre tali criteri, congiuntamente e non disgiuntamente, devono orientare le possibili scelte di cura compiute in un contesto di alleanza terapeutica fra medico e paziente (9);
- —l’assolutizzazione del principio dell’autodeterminazione individuale nelle scelte di cura — affermando che la cura può essere rifiutata a prescindere da una valutazione oggettiva della sua opportunità sul piano medico, anche quando ne deriva la morte del paziente — comporta l’introduzione, dinanzi a gravi patologie del malato, di una deroga al principio dell’indisponibilità della vita;
- —l’assolutizzazione del principio dell’autodeterminazione comporta altresì che si debba «ricostruire» la volontà del malato anche quando questi non sia in grado di manifestarla, invocando il suo best interest. Ciò, a ben vedere, avviene in dispregio, a prescindere di qualsivoglia altra considerazione, degli stessi princìpi di attualità, personalità, persistenza e revocabilità del consenso, che sono caratteri irrinunciabili del volere anche muovendo dalla prospettiva dell’autodeterminazione (10). Questa, pertanto, da sola non può risolvere le decisioni di cura di tutti i malati e diventa un simulacro di volontà nei casi del paziente incapace;
- —infine, la sentenza qualifica come trattamenti l’alimentazione e l’idratazione artificiali. In siffatta maniera li colloca sotto il «fuoco» della volontà e subordina la loro attivazione e/o prosecuzione all’imperativo dell’autonomia del paziente. L’alimentazione e l’idratazione, in realtà, seppur realizzati attraverso un dispositivo medico, nonostante la definizione (nello stesso senso) che sarà poi accolta anche nella legge n. 219 del 2017 sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), non consistono propriamente nell’assunzione di un rimedio medico da parte del paziente. Assai dubbia, pertanto, la loro qualificazione come trattamenti sanitari, al pari di un intervento chirurgico o della somministrazione di un farmaco curativo di una grave patologia.
La decisione della Cassazione del 16 ottobre 2007, pertanto, merita oggi, come allora, una severissima critica, avendo di fatto consentito un atto di eutanasia non consensuale di un malato non terminale, sottoposto esclusivamente ad alimentazione e idratazione mediante sondino.
4. Il significato politico dell’intervento del Governo Berlusconi per salvare Eluana
A fronte di un tale quadro, l’intervento del Governo Berlusconi finalizzato a salvare Eluana Englaro ha rappresentato un intervento coraggioso che aprì un vero e proprio scontro tra la Presidenza del Consiglio e l’allora Capo dello Stato; quest’ultimo, infatti, entrando indebitamente nella valutazione politica circa la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza del decreto, compì il grave atto, sul piano anzitutto istituzionale, di impedire l’entrata in vigore del decreto legge che avrebbe obbligato a riprendere l’alimentazione di Eluana, evitandone la morte.
Durante la conferenza stampa, rilasciata nel primo pomeriggio del 6 febbraio, l’on. Berlusconi, che già aveva ricevuto la Nota del presidente Napolitano in cui questi lamentava la carenza dei requisiti della decretazione d’urgenza, affermò: «Sul fronte della mia personale coscienza, io se non avessimo prodotto ogni sforzo nelle nostre possibilità per evitare la morte di una persona che è in pericolo di vita e che non è in morte cerebrale, ma è una persona che respira in modo autonomo, una persona viva le cui cellule cerebrali sono vive e mandano anche segnali elettrici, una persona che potrebbe anche in ipotesi generare un figlio, in uno stato vegetativo che potrebbe variare, come diverse volte si è visto… quindi, io dal punto di vista personale, rispondendo alla mia coscienza, mi sentirei responsabile di una omissione di soccorso nei confronti di una persona in pericolo di vita. In questo caso, poi, sussistono certamente i presupposti di necessità e urgenza di un intervento del Governo, perché questa mattina è già stata iniziata la non fornitura di cibo e di acqua alla persona. La considerazione, la valutazione della necessità ed urgenza di un provvedimento è affidata dall’art. 77 della Costituzione alla responsabilità del Governo. Cita il secondo comma dell’art. 77, il secondo comma dice: “Quando in casi straordinari di necessità ed urgenza, il Governo adotta sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, ecc..”. Se il Capo dello Stato, caricandosi di questa responsabilità nei confronti di una vita, dovesse decidere e perseverasse nella sua decisione di non firmare la presentazione al Parlamento di questo decreto-legge, noi inviteremo immediatamente il Parlamento a riunirsi ad horas e ad approvare in pochissimo tempo, due o tre giorni, una legge che anticipasse quella legge che è già nell’itinerario legislativo, e cioè la legge che contiene questa norma» (11).
L’intervento del governo, di cui si sono qui ripercorse le principali tappe, fu assolutamente legittimo sul piano ordinamentale, a dispetto delle censure preventive di costituzionalità avanzate dall’allora presidente della Repubblica. Il premier Berlusconi compì un gesto che ancora oggi è pregno di un profondo significato sia sul piano istituzionale sia sul piano politico e che ribadisce che compito irrinunciabile delle istituzioni è la tutela di ogni vita umana, a prescindere dalle condizioni in cui tale vita è vissuta. Ciò che si può, tuttavia, rimproverare all’allora presidente del Consiglio è la mancanza di tempestività nella decisione di approvare un decreto-legge e di presentare un disegno di legge, più volte sollecitato da parte dell’associazionismo pro-life (12). Di ciò probabilmente lo stesso Berlusconi si rese successivamente conto; infatti, quando a distanza di un anno dalla morte della giovane donna, fece recapitare un messaggio alle suore Misericordine di Lecco, che per molti anni avevano accudito la ragazza, manifestò apertamente, per quanto riferirono i media, il proprio rammarico e il proprio dolore per non aver potuto evitare la morte della povera Eluana (13).
Note:
1) Corte di Appello di Milano, I sezione civile, Decisione del 9-7-2008, in Corriere Giuridico, 2008, vol. XXV, fasc. 9, pp. 1281-1289; nel sito web <https://www.altalex.com/documents/news/2008/10/15/eutanasia-legittimita-presupposti-comparazione-tra-interessi-contrapposti> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-6-2023). In commento, cfr., tra i molti, Carlo Casini (1935-2020), Marina Casini, Emma Traisci, Maria Luisa Di Pietro, Il decreto della corte di Appello di Milano sul caso Englaro e la richiesta di una legge sul c.d. testamento biologico, in Medicina e Morale, 2008, vol. 57, n. 4, pp. 723-745.
2) Cfr. Paolo Lambruschi, Gentile: «La vita umana non è un affare di famiglia». Il filosofo del diritto: la sentenza Englaro è un paradosso apocalittico, in Avvenire, 15-11-2008.
3) Cfr. Marta Cartabia, Per la Cassazione far morire è «affare privato», ibid, 20-11-2008.
4) Cfr. il testo nel sito web <https://presidenti.quirinale.it/elementi/64083>.
5) Cfr. il testo nel sito web <https://presidenti.quirinale.it/elementi/64082>.
6) Cfr. il testo nel sito web <https://archivio.quirinale.it/aspr/comunicati/PRESSRELEASE-001-009736/presidente/giorgio-napolitano/telefonata-del-segretario-stato-vaticano-card-bertone-al-presidente-napolitano>.
7) Cfr. il testo nel sito web <https://presidenti.quirinale.it/elementi/64085>.
8) Corte di Cassazione, I sezione civile, Sentenza del 16-10-2007, in Corriere Giuridico, 2007, vol. 24, fasc. 12, pp. 1686-1695; Famiglia e Diritto, 2007, n. 12, p. 1162 ss.; ivi, 2008, n. 2, pp. 129-145; Danno e Responsabilità, 2008, vol. 13, fasc. 4, p. 421-444; consultabile nel sito web <https://www.altalex.com/documents/news/2008/10/15/diritto-alla-vita-eutanasia-legittimita-limiti>.
9) Sia consentito, per approfondire, rinviare a Carmelo Leotta, voce «Consenso informato», in Digesto delle Discipline Penalistiche, Aggiornamento, V, Utet Giuridica, Torino 2010, pp. 97-130.
10) Per una illuminante disamina critica del passaggio dall’autodeterminazione al best interest del paziente, cfr. Mauro Ronco, La dignità della vita, in Idem (a cura di), Il «diritto» di essere uccisi: verso la morte del diritto?, Giappichelli, Torino, 2019, p. 308.
11) Cfr. il video della conferenza stampa nel sito web <https://www.youtube.com/watch?v=H0g6MXhwPFQ>.
12) Sollecitazioni per l’intervento del Governo furono formulate soprattutto da una giovane associazione allora molto attiva sul fronte, che rispondeva al nome di Due minuti per la vita.
13) Cfr. Berlusconi: rammarico e dolore, nel sito web <https://www.lastampa.it/politica/2010/02/09/news/berlusconi-rammarico-e-dolore-1.37024034>.