Christian Schaller, vicedirettore dell’Istituto “Papst Benedikt XVI” di Ratisbona e vincitore del Premio Ratzinger nel 2013, ricorda Benedetto XVI
di Wlodzimierz Redzioch
Quando Joseph Ratzinger divenne arcivescovo di Monaco nel 1977, Christian Schaller aveva 10 anni. I suoi genitori lo portavano sempre in cattedrale quando il cardinale Ratzinger celebrava la Santa Messa e predicava. Più tardi, al collegio, Schaller lesse e studiò i suoi libri, che lo affascinavano sempre. Nel 2008 è diventato vicedirettore dell’Istituto Papa Benedetto XVI (Institut “Papst Benedikt XVI”) a Ratisbona, che si occupa della pubblicazione dell’opera completa di Joseph Ratzinger, della creazione di una biblioteca specializzata e di un archivio delle opere scientifiche e di ricerca del Papa teologo. Confessa che «mentre iniziavo a lavorare all’istituto, sia il lavoro scientifico sui suoi testi che il legame personale divennero più intensi. In tutti gli incontri rimanevo stupito dalla sua personalità, che mi faceva sentire timido: dopotutto stavo davanti a un cardinale e poi davanti al Papa! Ratzinger/Benedetto XVI è stato ed è per me un pensatore, un pastore e un maestro per il mio sviluppo intellettuale e spirituale».
In occasione del primo anniversario della morte di Benedetto XVI (31 dicembre 2022) ho intervistato Schaller per ricordare il Papa, ma anche il teologo-cardinale.
– Il card. Joseph Ratzinger per 25 anni ha lavorato al fianco di Giovanni Paolo II. Quali grandi problemi e sfide teologiche doveva affrontare il card. Ratzinger da Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede e quale ruolo ha svolto nel pontificato di Giovanni Paolo II?
– Come Prefetto della Congregazione, il cardinale Ratzinger, in stretto dialogo con il Papa, ha saputo lavorare a progetti per la Chiesa universale con forza argomentativa e competenza teologica. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ne è un esempio. Ma anche la discussione sulla Teologia della liberazione è stata condotta in modo obiettivo. Per Ratzinger la priorità assoluta è sempre stata una classificazione oggettiva dei problemi. Nel complesso, direi che Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger si completavano bene a vicenda, per quanto riguarda i contenuti teologici. Il Papa come “etico sociale”, che guardava alle società e alla politica, e il prefetto responsabile del contenuto della fede.
– Il card. Ratzinger ha dato un contributo importantissimo nella preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica e, dopo, del suo Compendio. Il Catechismo è un testo fondamentale, che indica alla gente in che cosa credere. Perché questa grande opera di Giovanni Paolo II e del card. Ratzinger non è valorizzata abbastanza e spesso viene intenzionalmente ignorata?
– Il Catechismo offre a tutti una raccolta di cosa significa essere cattolico. I punti centrali sono presentati nel dettaglio: fede, preghiera, esistenza cristiana, ecc. Sulla base di ciò, sarebbe un documento importante e chiaro per introdurre le scuole, le famiglie, le parrocchie al cuore della fede. Forse il disprezzo del Catechismo è dovuto a un falso individualismo? Oppure viene rifiutato perché non appare più idoneo come mezzo di annuncio della fede? Forse è anche un problema generale, perché la fede viene vissuta sempre meno.
– Benedetto XVI nella sua omelia della Santa Messa per l’inizio del pontificato, il 24 aprile 2005, ha detto: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia»: parole che riflettono la grande umiltà del Papa e anche il suo totale affidamento a Dio. Ma vorrei chiederle: come e con quale scopo Benedetto XVI si è lasciato guidare dal Signore in otto anni del suo pontificato?
– Credo che Benedetto XVI abbia avuto come compito quello di avvicinare le persone a Gesù Cristo. I tre libri su Gesù testimoniano questa intensa missione, che ha scoperto da solo. Anche le catechesi del mercoledì in piazza San Pietro si sono caratterizzate per l’annuncio dei misteri della fede, spiegandoli ispirandosi direttamente a Cristo. In tutte le fasi della sua vita, la comunicazione del Vangelo divenne un punto focale. Mettere sempre a fuoco l’essenziale, che si collega alle domande di ogni persona: chi è Gesù Cristo per me? Come dovrei vivere e pregare cristianamente? Portare avanti questi principi fondamentali era la missione che gli era stata affidata. Certamente è stato guidato da Dio a fare questo.
– Il card. Ratzinger, da cardinale decano, nella sua famosa omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro, durante la Missa pro eligendo Romano Pontifice che precedeva il conclave, denunciò il pericolo di «una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Come Benedetto XVI si contrapponeva a questa nuova dittatura, che condiziona il nostro mondo ed anche tanti ambienti della Chiesa?
– Ha resistito con la fede in Dio, in cui l’uomo sperimenta se stesso come creatura e attraverso la quale riconosce anche che c’è qualcosa che è al di sopra di lui. E se Dio esiste, allora esistono anche la verità e la ragione. La sua reazione al relativismo sociale è, si potrebbe dire, la ricerca della verità attraverso i mezzi della ragione, per mostrare che c’è qualcosa che non può essere messo in discussione, come ad esempio la dignità umana, la libertà e l’umanità nel loro insieme. Centrale in questa idea è la fede nel Creatore del cielo e della terra; poiché nella creazione si possono trovare elementi della volontà divina, non tutto può essere relativo o arbitrario.
– Non si può negare che Benedetto XVI abbia avuto contro di sé i grandi media internazionali, specialmente negli ultimi anni del suo pontificato. Mi chiedo: perché tanta ostilità?
– La cronaca inappropriata e ostile verso Benedetto XVI mi è sempre stata incomprensibile. Chiunque si occupi dei suoi scritti, sermoni e conferenze, scopre un pensatore aperto e grande, che aveva in mente tutti gli ambiti della società, della cultura e della politica, nonché la discussione teologica. E chi lo ha conosciuto personalmente è rimasto colpito dalla sua cordialità e empatia. L’unico modo in cui posso spiegarmelo è che sosteneva una vita basata su convinzioni che molte persone non vogliono più vivere o non capiscono più. Un’altra spiegazione potrebbe essere che fosse visto come il rappresentante di una Chiesa che gli stessi intendevano negare. Anche questo è incomprensibile, perché aiutava le persone proprio a comprendere la Chiesa e a considerarsi parte di questa comunione.
– Malgrado tanti gravosi impegni nel governo della Chiesa, Benedetto XVI ha scritto tre libri su Gesù di Nazaret. Perché il Papa ha ritenuto necessario farlo?
– Sono riuscito a spiegarlo un po’ nella domanda precedente. L’idea nacque dal confronto con la figura centrale della nostra fede. Nella prefazione al primo volume, scrive che ha intrapreso un viaggio interiore durato molto tempo. In altre parole, Gesù Cristo era il centro della sua vita e della sua opera. Per lui era importante che tutti si avvicinassero alla persona di Gesù di Nazaret, perché è una persona che ci parla e alla quale possiamo rispondere. La sua comprensione della fede è del tutto personale: una persona incontra un’altra Persona. Ciò è fondamentale per la sua cristologia, che in questo modo ha effetti concreti sulla vita delle persone. Forse i libri su Gesù contengono anche il nucleo della missione papale: predicare Cristo.
– Benedetto XVI è stato non soltanto uno dei più grandi teologi della Chiesa, ma anche uno dei più brillanti intellettuali del mondo, che non temeva il confronto delle idee. Quale ruolo ha svolto Benedetto XVI nella promozione del dialogo tra la fede e la ragione?
– Per Benedetto è sempre stato chiaro che fede e ragione vanno insieme. Crediamo in un Dio venuto nel mondo come “il Verbo”, come ci racconta il Vangelo di Giovanni nel capitolo 1. Pertanto, la fede non può solo essere una “parentesi pia”, ma richiede anche una spiegazione ragionevole. Ecco perché il dialogo con il mondo è importante, perché riguarda le verità generali della ragione. La fede senza ragione diventa suscettibile alla pura emotività; la ragione senza la religione diventa un freddo macchinario. Entrambe hanno bisogno di un correttivo da parte dell’altra. Qui Benedetto ha davvero aperto un orizzonte per un dialogo fruttuoso tra fede e ragione.
– Benedetto XVI riteneva molto importante mostrare la ragionevolezza della fede. Riteneva – vedi il famoso discorso di Ratisbona – che la ragione aiuta la fede a non cadere nel fondamentalismo e la fede aiuta la ragione a non cadere nel totalitarismo. Non le sembra che il mondo che rifiuta la fede, apparentemente democratico, stia diventando totalitario?
– Benedetto XVI descrive correttamente il pericolo che c’è in un mondo senza religione. Molti sistemi politici agiscono senza una connessione trascendente, che risiede nel riconoscimento che c’è qualcosa al di sopra dell’azione umana che è anteriore all’essere umano. Se i politici negano questo collegamento, c’è il rischio che si verifichi un esercizio totalitario del potere. Non ci sono confini, la popolazione diventa una massa che può essere modellata, governata o ridotta in schiavitù a piacimento. La dignità umana e la libertà vengono quindi determinate o negate da chi detiene il potere.
– Mi permetta di ricordare una altra citazione di Benedetto XVI, presa dalla Lettera scritta ai vescovi del mondo il 10 maggio 2009: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che, con lo spegnersi della luce proveniente da Dio, l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più». Guardando il mondo di oggi, si può dire che il Papa aveva ragione?
– Se guardiamo alla situazione attuale nel mondo, c’è molta verità nelle parole del defunto Papa. Dobbiamo convivere con sempre più conflitti globali, alcuni dei quali minacciano gravemente la pace nel mondo, vediamo una crescente disponibilità all’uso della violenza nelle singole società… Posso solo spiegare questo dicendo che Dio viene lentamente espulso dal mondo. Le coordinate dell’interazione umana e pacifica tra le persone e le nazioni sembrano essere cambiate. Data la mancanza di confini che la fede potrebbe indicare, tale sviluppo è logico.
– Il motto dello stemma da arcivescovo, cardinale e Papa Ratzinger era Cooperatores veritatis (Cooperatori della verità). Perché, secondo Lei, per tutta la sua vita il Papa è restato fedele a questo motto?
– Penso che lo vedesse come un servizio alla gente. La verità di Dio, la verità della fede sono stati i principi guida della sua vita perché significano per noi la salvezza. In definitiva, questo motto significava mostrare alle persone come possono ottenere la salvezza eterna: guardare a Cristo, che è la via, la verità e la vita!
– Benedetto XVI è stato un uomo di grande cultura, sensibile all’arte. Per il Papa la bellezza è «il sigillo della verità». Anche per questo motivo si è impegnato affinché la liturgia fosse celebrata nella sua bellezza. Ma questo tentativo di ridare bellezza alle celebrazioni liturgiche – la bellezza che porta al mistero di Dio – è stato percepito da certuni come un ritorno al “passato”. Perché il Papa non è stato capito?
– È vero che Benedetto era un grande amico dell’arte e della cultura. Ma non solo in un senso estetico superficiale, ma perché nelle cose belle che l’arte produce – si pensi ai pittori, ai compositori, ecc. – si esprime qualcosa che va oltre loro stessi. La bellezza è collegata alla verità, e quindi a Dio. Nella liturgia non solo si deve compiere un rito esteriore, ma si deve fare riferimento a Dio attraverso la bellezza della cerimonia solenne. La liturgia non è per la nostra immaginazione, ma piuttosto la nostra opportunità per ringraziare Dio, la bellezza assoluta. Un problema fondamentale, credo, è che la liturgia oggi viene intesa in termini troppo politici o troppo pedagogici. Ma è il luogo del nostro culto, il luogo dove possiamo vedere un pezzo di Paradiso in terra. Forse l’abbiamo dimenticato.
– L’arcivescovo Georg Gänswein afferma che «le persone volevano, sì, vedere Benedetto XVI, ma lo volevano soprattutto ascoltare». Perché la gente apprezzava tanto l’insegnamento di Papa Ratzinger?
– In primo luogo, è stata la sua lingua ad entusiasmare le persone con la sua chiarezza e semplicità. Ma la bellezza della sua lingua esercitava un grande fascino anche sui suoi ascoltatori in tutto il mondo. Ma soprattutto erano i contenuti che spiegava e trasmetteva utilizzando il suo linguaggio. La gente sentiva che: qui un sacerdote, un vescovo e un papa parlano in modo autentico e conforme alla propria esistenza. È stato emozionante.
– Secondo Lei, che cosa sarà considerato come il lascito più importante del pontificato di Benedetto XVI? – Ciò che rimarrà è il suo annuncio del Vangelo, che ha realizzato in modi diversi. Per lui il lavoro teologico,scientifico e universitario era una proclamazione di fede tanto quanto le prediche, le meditazioni o i ritiri che teneva. In definitiva, è un’espressione della sua personalità, che è stata plasmata integralmente dalla missione di comunicare Cristo agli uomini. Chiunque approfondisca i suoi testi renderà giustizia alla sua eredità.
Martedì, 9 gennaio 2024
L’intervista è stata pubblicata sul settimanale cattolico polacco Niedziela, del 3 gennaio 2024.