Di Gennaro Malgieri da Sannio Matese Magazine del 17/02/2024
Aleksej Anatolevich Navalny è morto da eroe. Nella Siberia estrema, laddove neppure i lupi latrano e la temperatura scende a quaranta gradi sotto zero. Si è spento durante l’ora d’aria, il 16 febbraio, accasciandosi sul suolo ghiacciato; vani sono stati i tentativi di rianimarlo, sia nel carcere che lo ospitava e trentasette minuti dopo in ospedale dove è arrivato con una flebo infilata nel braccio. L’hanno ucciso, con il veleno tempo fa, con le insopportabili condizioni nelle quali lo avevano ridotto, con il freddo polare della sua piccola cella di 3 metri per 2. Un omicidio programmato. Come tanti altri, a cominciare da quello della giornalista Anna Politovskaja.
In un primo tempo aveva trovato un rifugio sicuro in Germania, ma non se la sentiva di stare lontano dalla sua Russia per quanto dominata da una gang di assassini guidata da un uomo che ritiene di essere uno statista, invece è un vecchio manutengolo del KGB in pensione, sia pure dorata, il cui divertimento è assassinare popoli come i georgiani, i ceceni, gli ucraini; appropriarsi di Donbass e Crimea; sorvegliare i dissidenti, perfino quelli vicini al suo entourage.
Navalny si era scelto Vladimir Putin come competitore. Perché aveva scorto nel capo del Cremlino il satrapo che non si arrestava contro niente e nessuno pur di tenere in scacco il suo stesso popolo e minacciare quelli vicini che finge di trattare come “amici”.
“Questo regime e Vladimir Putin hanno personalmente la responsabilità di tutte le cose terribili che hanno fatto al nostro Paese, alla mia famiglia e a mio marito”. Così Yulia, la moglie di Navalny. E quante altre mogli potrebbero dire lo stesso?
Navalny era un nazionalista, un tradizionalista, un patriota che non poteva vivere lontano dalla sua terra dove era tornato sapendo che la vita sarebbe stata dura e breve.
Di questi oppositori al mondo ve ne sono pochi, ma quando emergono sanno farsi riconoscere nella maniera più clamorosa: con la morte eroica. Ed il mondo, per quanto distratto, dovrebbe considerarli come avanguardie della libertà e nemici della tirannia.
Perseguitato a lungo, arrestato, detenuto, esiliato, costretto ad abbandonare la sua Patria, sia all’estero che in Russia Navalny ha fatto sempre sentire la sua voce attraverso il blog che animava dal quale le denunce di corruzioni e crimini addebitati alla cricca del Cremlino erano all’ordine del giorno.
Il compromesso non faceva per lui. A lui era destinata la tetra e gelida prigione di Kharp, nella Siberia del Nord, probabilmente ucciso da un ictus provocato da un’embolia arteriosa, come hanno scritto i giornali. Ma c’é anche chi dice che sia stato ucciso a sangue freddo: notizie che fuoriescono, in maniera contraddittoria, dalla colonia penale IK-3 a tutti nota come «Lupo polare» dove Navalny era arrivato a Natale da un luogo non certo più ameno.
Avrebbe potuto fare sue le parole di Anna Politkovskaja: “Ma, alla fine, che cosa avrei combinato? Ho scritto ciò di cui sono stata testimone. E basta. Sorvolo espressamente sulle altre “gioie“ della strada che mi sono scelta. Il veleno nel tè. Gli arresti. Le lettere minatorie. Le minacce via Internet e le telefonate in cui mi avvertono che mi faranno fuori. Quisquilie. L’importante è avere l’opportunità di fare qualcosa di necessario. Descrivere la vita, parlare con chi ogni giorno viene a cercarmi in redazione e che non saprebbe a chi altri rivolgersi. Dalle autorità ricevono solo porte in faccia: per l’ideologia al potere le loro disgrazie non esistono, di conseguenza neanche la storia delle loro sventure può trovare spazio sulle pagine dei giornali”.
La Politkovskaja, animatrice di “Novaja Gazeta”, assassinata nel 2006 dai gangster del Cremlino, come Novalny si batteva contro la corruzione degli oligarchi e la soppressione della libertà. Ora il nuovo eroe ha raggiunto la coraggiosa giornalista. Putin ha fatto spallucce sia in questa che in quella occasione. Il mondo libero dovrebbe mettere in fila i crimini orchestrati dal satrapo di Mosca e non avere titubanze nello schierarsi contro di lui considerando i pericoli che incombono sui confini orientali dell’Europa.
Noi occidentali non possiamo perdere la partita decisiva nella contesa tra il mondo schiavizzato e quello libero. Bisogna scegliere dove e con chi stare. Questa volta nel nome di Aleksei Navalny.